È stata annunciata (e votata) oggi la cinquina di titoli finalisti alla cinquantanovesima edizione del Premio Campiello, insieme allo Strega il capofila dei premi letterari italiani per notorietà, per tradizione, per capacità di spostare le vendite.
Con la giuria rinnovata (il presidente è Walter Veltroni, ai nomi storici si aggiugono Edoardo Camurri e Daria Galateria), a tergo di un anno in cui anche il racconto editoriale si è dovuto ripensare, e, in qualche modo, con lui anche la letteratura contemporanea stessa, il Campiello conferma la volontà di selezionare titoli poco “commerciali”.
Per entrare in cinquina è necessario ricevere a ogni scrutinio almeno 7 voti all’interno della Giuria dei Letterati, che esprime la propria preferenza in modo palese: una volta identificata la rosa dei finalisti (a Palazzo Bo, all’Università di Padova l’ultimo venerdì di maggio) tocca poi alla giuria popolare (solo una volta nella vita si può farne parte), durante l’estate, decretare il vincitore.
Quest’anno, però, nelle selezioni di ambedue i grossi premi c’è un grande assente: è Nicola Lagioia che con La città dei vivi (Einaudi) avrebbe meritato un riconoscimento per la capacità – indiscutibile – di fare letteratura. E se è vero che allo Strega nella prima fase si può in qualche modo abdicare (lui lo fece, spiegandone le ragioni anche su Facebook – peraltro lo aveva già vinto nel 2015 con La ferocia e giusto l’anno scorso Sandro Veronesi veniva premiato per la seconda volta –) il meccanismo di selezione del Campiello è completamente in mano alla giuria, che fino all’ultimo pareva orientata a farlo rientrare nella cinquina ma poi si è diretta verso altri titoli. Certamente La città dei vivi è un libro per alcuni tratti difficile (la storia per nulla romanzata, ma scandagliata, dell’omicidio di Luca Varani) ma proprio per questo – e perché riuscito – letterariamente molto potente.
Sono quindi in finale: Paolo Nori con Sanguina ancora (Mondadori), Andrea Bajani con Il libro delle case (Feltrinelli) – ce ne parla qui –, Paolo Malaguti con Se l’acqua ride (Einaudi), Carmen Pellegrino con La felicità degli altri (La Nave di Teseo) e Giulia Caminito con L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani) – l’abbiamo intervistata in più occasioni sul suo lavoro di editor e anche proprio sull’ultimo romanzo –.
E se Lagioia manca, Bajani e Caminito sono in lizza per entrambe le medaglie: qualcosa, di certo, significa. Sono questi romanzi trasversali e molto ben scritti che indagano, in modo diverso e variamente esplicitato, quel nodo inestricabile che è l’animo umano. Per nulla c’entrano con gli sconvolgimenti che ci hanno colti in quest’ultimo tempo (sono nati prima e guardano, come sempre accade, all’universale) ma non è un caso forse che scavino dentro quanto di più primigenio abbiamo: la nostra vita. Nori invece si dedica a Dostojevskij, Carmen Pellegrino dà voce a una donna che sente e Malaguti scrive una barcarola, che ci trascina in una corrente fatta di approdi e risalite.
L’appuntamento è dunque al 4 settembre per conoscere il nome del vincitore: quest’anno la serata conclusiva non si terrà al Gran Teatro La Fenice di Venezia (nonostante l’anniversario: 25 anni dal rogo) ma all’Arsenale. Quali ulteriori sorprese?