SCIENZA E RICERCA
Come si è evoluta la percezione del sapore acido nelle specie animali?
Per alcuni addentare un limone è uno dei massimi piaceri della vita, mentre altri solo guardando la smorfia dei primi quando sentono l'acidità vengono percorsi da uno spiacevole brivido sulla schiena: il sapore acido è al centro delle battaglie ideologiche tra due opposte fazioni, tanto quanto la preferenza per il dolce o per il salato. Magari qualcuno vorrebbe che l'essere umano non fosse stato programmato per percepire questo tipo di sapore, ma in questo caso è bene che sappia che avrebbe potuto perdersi qualcosa. Per esempio la vita, che vale più di un delizioso cocktail di gamberetti ben condito. Quasi sempre, almeno, dipende dalla qualità del limone.
Ma come hanno imparato i nostri antenati a distinguere il sapore acido? E perché è così importante? Nell'articolo The evolution of sour taste pubblicato su Proceedings of the Royal Society B Hannah E. R. Frank e gli altri autori cercano di rispondere a queste domande, che fino a oggi non avevano ricevuto una grande attenzione scientifica: mentre conosciamo la storia evolutiva della percezione di altri sapori, quella dell'acido rimaneva, e in parte continua a rimanere, un mistero.
Percepire alcuni sapori è importante in termini evolutivi: molte specie, per esempio, hanno imparato a evitare l'amaro perché era caratteristico di molti veleni (sopravviveva chi lo evitava e trasmetteva questa tendenza repulsiva ai discendenti) e, viceversa, ad apprezzare il dolce, perché è una manna quando si ha bisogno di energia per combattere contro altre specie, sopravvivere e trasmettere i propri geni. E l'acido? Anche lui è molto importante, e infatti i primi animali che sappiamo essere in grado di individuarlo sono dei pesci ancestrali, che invece di assaggiarlo lo percepivano grazie ai recettori presenti sulla superficie corporea esterna: grazie a questa capacità, riuscivano a stabilire la salubrità dell'ambiente circostante e quindi, eventualmente, capivano quando dovevano spostarsi. Altre specie ittiche hanno sia i recettori esterni sia quelli interni a livello di papille gustative: il pesce-gatto di mare, per esempio, a volte individua un cibo che gli sembra commestibile, ma i recettori esterni sono più deboli di quelli interni, quindi capita che cambi idea e lo sputi (per fortuna sotto il livello del mare si aggirano pochi chef permalosi!).
Cosa ci permette di percepire il gusto acido? Non lo sappiamo con certezza. C'è un'associazione con il recettore OTOP1, che però è legato anche ad altre funzioni, come quella dell'orecchio interno che ci permette di stare in equilibrio, e comunque non è ancora chiaro se OTOP1 sia responsabile anche dell'apprezzamento o meno di questo sapore: come dicevamo, rimangono molti misteri legati alla percezione del gusto acido, ma gli scienziati hanno dimostrato di voler raccogliere la sfida. In ogni caso, studiare evolutivamente OTOP1 non può aiutarci per comprendere come sia cambiata la percezione di questo sapore dalla preistoria a oggi, perché ci sono troppi fattori in gioco.
A un certo punto i ricercatori hanno notato che quasi tutti gli animali testati (oltre 60) riuscivano a distinguere il sapore acido e alcuni, come maiali e primati, dimostravano anche di apprezzarlo. Non è banale, perché con altri gusti questo non succede e molte specie nei secoli hanno perso la capacità di sentirli (i gatti per esempio non sentono il sapore dolce, se puntano i vostri biscotti è più probabile che sia per il burro o per lo strutto). Certo, il campione non è rappresentativo della totalità delle specie animali, e non è da escludere quindi che ce ne siano altre che hanno perso, e poi magari riacquisito, la capacità di distinguere questo sapore nel corso della loro evoluzione (come è successo con il gusto dolce negli uccelli), ma questi dati sono già un buon inizio.
Come si spiega la permanenza di questa capacità in ogni stadio evolutivo delle specie testate? Se fosse stata inutile, una volta compiuto il passaggio evolutivo che dall'acqua ha portato alla terra ferma, sarebbe andata persa. Nessuna delle spiegazioni che i ricercatori si sono dati convince al 100%: a differenza dei cibi amari, sono ben pochi quelli acidi e pericolosi, o quantomeno abbastanza pericolosi da uccidere e quindi giustificare una selezione naturale, ma del resto non possiamo escludere a priori la loro esistenza. Un'altra ipotesi è quella che l'acido va a interferire con il microbioma, e che quindi le specie che ora non apprezzano quel sapore se ne siano in passato tenute a distanza per preservare il loro equilibrio intestinale.
Ci sono anche casi in cui, viceversa, la preferenza verso l'acido è diventata adattiva. Abbiamo citato il caso delle scimmie e dei suini, andiamo quindi a vedere le ipotesi dei ricercatori sull'inclinazione di queste specie verso il sapore acido. Le scimmie notturne, per esempio, potrebbero aver avuto problemi a trovare il cibo, ma quello più fermentato, quindi acido, era più facile da annusare, e quindi da reperire nella notte. Però anche le scimmie diurne lo amano, e il motivo sarebbe diverso. Le ipotesi sono due: la prima riguarda la selezione naturale, perché, a differenza di altri mammiferi, queste specie hanno perso nel tempo la capacità di produrre vitamina C, quindi si sono trovate costrette a ricercarla nella loro alimentazione per rimediare alla condizione di svantaggio. Oppure, al contrario, la disponibilità di cibi fermentati e la predilezione delle scimmie per questi ha portato la specie a smettere di produrre vitamina C, perché era un processo dispendioso diventato inutile. Anche qui, servirebbero altri studi per stabilire quale delle due ipotesi sia la più corretta.
Dal momento che non si conosce ancora esattamente il meccanismo che ha portato le scimmie ad apprezzare il sapore acido, non possiamo nemmeno sbilanciarci troppo sugli ominidi. Non sappiamo quando e come si è evoluta questa preferenza: potrebbe derivare direttamente dai nostri antenati primati (ipotesi più probabile) o potrebbe essersi sviluppata in un secondo tempo, quando i nostri antenati avevano già cambiato stile di vita passando meno tempo sugli alberi. A quel punto l'evoluzione avrebbe premiato quelli che trovavano a terra cibi marcescenti, che contenevano tra l'altro vitamina C che non riuscivano a produrre autonomamente.
Il risultato di questa generale attrazione per i cibi acidi ha portato nel tempo gli esseri umani a controllare il processo della fermentazione, che contribuiva non solo a migliorare il gusto degli alimenti, ma anche a inibire la formazione di batteri cattivi, che venivano contrastata da quelli buoni presenti nel cibo e nei liquidi fermentati. È una materia ancora tutta da studiare, in modo multidisciplinare, visto che entrano in campo l'archeologia, la biologia evoluzionistica e anche l'antropologia. Ora che è stato aperto il vaso di Pandora, possiamo aspettarci delle novità: nell'attesa, a proposito di fermentazione, possiamo distrarci con una birra.