CULTURA
Il contesto dei gialli, le isole ambientazione naturale, il caso Bussi / 3
Lo scrittore francese di gialli Michel Bussi ha avuto straordinario successo durante tutto l’ultimo decennio, in patria e a livello internazionale. Nel 2020, secondo la classifica GFK-Le Figaro, è il secondo scrittore francese per numero di libri venduti (quasi un milione di copie solo nel 2019). I primi due romanzi (non tradotti in italiano, ma in parte riadattati dallo stesso autore per romanzi successivi) risalgono al 2006-2007 e vendettero all’inizio poche migliaia di copie, ma cominciarono a raccogliere attenzione fra i lettori del genere e nei festival del roman policier. Dal terzo del 2008 superò le duecento mila copie, mantenendosi a quel livello per il successivo, per giungere ai grandi riconoscimenti di critica e di pubblico di Ninfee nere del 2011, con il quale vinse il premio dei lettori al festival Cognac Polar, il premio del polar mediterraneo (festival di Villeneuve-lès-Avignon), il premio Michel-Lebrun alla 25a ora di Le Mans, il premio dei lettori al festival Sang d'Encre della città di Vienne ("gouttes de sang d'encre"), il Grand Prix Gustave-Flaubert della società degli scrittori normanni, il romanzo “giallo” francese più premiato quell’anno, uscito anche come tascabile il 5 settembre 2013 e poi, ovviamente (considerato Monet), in versione illustrata o graphic novel o bande-dessinées, BD, che dir si voglia).
Bussi era professore di geografia all’Università di Rouen in Normandia ed entrò così nelle alte classifiche letterarie d’oltralpe già nel 2014, all'8° posto (quasi 480.000 libri venduti nel 2013); poi 5° nel 2015 (quasi 840.000 libri venduti nel 2014), poi 3° nel 2016 (più di un milione di libri venduti), 2° nel 2017 (1,1 milioni libri venduti), 3° nel 2018 e ancora 2° nel 2019. Dalla metà del secondo decennio del millennio il successo si è esteso all’estero, con traduzioni in decine di lingue (35, sembra), ben conosciuto in Cina, Brasile, Russia e in tutt’Europa, molto apprezzato in Italia.
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Da noi si scontra un poco con il giustificato prevalente amore per il noir, i suoi sono gialli, da lì eravamo partiti. Ha il suo peso, inoltre, che non ci siano personaggi seriali, ogni romanzo di Bussi narra esistenze in modo conchiuso, magari prese in esame a decenni di distanza e attraverso la narrazione di varie “avventure”, ma senza le attrazioni della serialità, l’affezionarsi al protagonista o ai protagonisti (coppie di vita o lavoro, famiglie e affetti, squadre, tic). Si tratta sempre e comunque di grossi tomi, centinaia di pagine da leggere. Infine, ognuno dei “pezzi unici” ha trame estremamente arzigogolate, usando vari marchingegni letterari di difficile trasposizione e replicazione, sono scritture da scienziato geografo, non da sceneggiatore sincopato.
Non è un caso che Bussi abbia scritto pochissimi racconti e al cinema sia di rado arrivato, non trovate nessun film tratto da uno qualsiasi dei suoi romanzi (credo). Piuttosto sullo schermo ne sono stati trasposti tre come serie televisive francesi a puntate (tante per ciascuno!): Maman a tort, andata in onda in sei episodi in Francia nel 2018 e in altri paesi nel 2019, il romanzo era del 2015; Un avion sans elle, mini-serie franco-belga in quattro episodi, in Francia a inizio 2019, in Belgio a inizio 2020, il romanzo era del 2012; L'ora della verità, 8 episodi, trasmessa nell’estate 2019 in Francia e nell’estate 2020 in Italia, il relativo romanzo Le temps est assassin era del 2016. Da alcuni anni l’autore ha peraltro smesso di insegnare, i due più noti saggi professionalmente scientifici (volumi di geografia politico-elettorale) sono del 1998 e del 2004 e risalgono dunque a prima dei romanzi pubblicati. Resta comunque spesso l’invitato d’onore alle edizioni del celebre Festival International de Géographie. Nel frattempo si sta dedicando a tempo pieno alla scrittura e anche a scritture diverse dai gialli pezzi unici, a esempio libri per ragazzi fra i quali una poderosa trilogia (simpatica per tutte le età) o testi musicali (tutti i titoli francesi dei romanzi hanno origine da canzoni, reali o inventate).
Abbiamo già diffusamente raccontato una decina di trame dei gialli di Bussi, più per illustrare in pratica il meccanismo del romanzo poliziesco o criminale “a enigma” che per le singole storie non tutte e per forza indimenticabili (ma sempre curiose e godibili). Ciò non suggerisce una preferenza per il giallo rispetto al noir, tutt’altro. Su cento romanzi di genere da leggere ne suggerirei anzi in media settanta noir e trenta gialli, i primi fotografano meglio la realtà sociale e danno più compiutamente conto dei paradossi antropologici, dei disagi diffusi, delle contraddizioni del potere a loro contemporaneo (presente anche per noi, se non sono romanzi storici). Ciò non toglie che vi siano giallisti grandi scrittori e capolavori gialli. Ci si può “intrattenere” e solo “intrattenere” sia con gli uni che con gli altri, come per ogni genere di letteratura fiction. E, qualche volta, alcuni libri e alcuni autori vanno oltre la compagnia di qualche ora, lasciano il segno indelebile nella nostra vita, restano nel tempo, sono fertili anche dopo la chiusura dell’ultima pagina.
Se nei gialli quel che talora manca è la reale vita comunitaria, quel che talvolta manca in alcuni noir è la plausibilità, non la rappresentazione della realtà: anche i sogni, per capirci, possono essere poco plausibili ma molto belli e significativi allo scopo di identificarci. Spiegava la grande Laura Grimaldi in “Il giallo e il nero. Scrivere suspense” (Pratiche editrice Milano, 1996) nel paragrafo intitolato alle “non regole” del noir: “Siamo nel campo della più totale sregolatezza… Qui tutto è ammesso, colpi bassi inclusi… Follia, odio, vendetta, disperazione, solitudine, tradimento…” (che ci sono nelle vite di tutti) “Ogni pulsione omicida, ogni sfumatura della sofferenza… Nel noir le colpe sono assai più collettive e investono, appunto, la società in quanto portatrice di falsi valori, tanto che l’eventuale colpa di un individuo, spinto all’atto criminale dall’assenza, dalla corruzione o dall’incuria della società, diventa quasi un atto di legittima difesa. La disperazione, in altri termini, è il noir e la sua mancanza di speranza e di parametri certi”. Nel giallo l’enigma è certo, quello di fondo e quelli più piccoli hanno soluzione, sia “giusta” che no, ci piaccia o meno. La grande letteratura può eruttare da ogni genere letterario: l’eccelso Daniel Pennac entrò in paradiso narrando gli orchi, un volumetto della Serie Noire (a proposito sta per uscire l’ultimo e finale Malaussène)!
Bussi scrive gialli. Come spiegato è stato ormai quasi tutto tradotto in italiano. I primi due hanno avuto una loro storia editoriale, per esempio Omaha crimes del 2007 è divenuto Gravé dans le sable nel 2014 e non è stato ancora tradotto. Per le trame eravamo arrivati all’ultimo nel 2017 (in Italia nel 2018). Poi nel 2019 uscì sia in Francia che in Italia il romanzo J’ai dû rêver trop fort, “Forse ho sognato troppo”, trad. Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o Roma, pag. 431 euro 17. Siamo sul Bacino della Senna ma non ci limitiamo alla Francia e a Parigi, si peregrina pure a Montréal, Los Angeles, Barcellona e Giacarta, sia nel settembre 2019 che autunno 1999 (venti anni prima). Nathalie Nathy, minuta bella brunetta, chiacchierona e festaiola, occhi grigi con riflessi verdi (azzurri se si sente innamorata), ribelle ciuffo a scopino, ha quasi 53 anni e da trenta fa l’hostess di volo Air France nel mondo, quindici giorni ogni mese in perenne jet lag. Da 27 è sposata con Olivier, corpulento affascinante falegname silenzioso e affidabile che ha anche costruito la bella casa di legno in cui vivono a Port-Joie sulle rive del fiume; hanno due figlie, Laura 26enne infermiera con coniuge e due gemelli piccoli, Margot 18enne liceale conflittuale, tutti i suoi amati familiari punti fermi. Con la piccola Honda Jazz blu fa spesso i centoventi chilometri, avanti e indietro, che li separano dall’aeroporto di Roissy.
Questa volta Nathalie è pensierosa, l’estate 2019 sta finendo e stanno accadendo eventi strani e curiose coincidenze: in particolare, il calendario delle tratte del mese prevede tre successive destinazioni (Quebec, California, Indonesia) esattamente identiche a quelle toccate nel mese che le aveva cambiato la vita, fra settembre e ottobre del 1999. Quel dì, prima di imbarcarsi per Montreal, al confine fra i Gate M ed N, le era capitato di sentire un esile affascinante ragazzo suonare la chitarra, berretto scozzese rosso, lunghi capelli ricci, viso raffinato, con amore reciproco a prima vista. Scoprì che era al marginale seguito dei Cure (gruppo ristretto e vero staff in business class), scambiando poi poche parole in volo, rivedendosi castamente in città senza riuscire a fare a meno di desiderarsi.
Si trattava di Ylian, poi per un mese si amarono e s’incontrarono di nascosto, nei successivi venti anni non lo ha più rivisto, avevano stipulato un complicato contratto (pure di non cercarsi), ognuno per la sua strada. Fu la prima (e ultima) scappatella, mantiene pochi simbolici segni, nel cuore qualcosa di profondo conturbante indimenticabile. Improvvisamente ora tutto la riporta indietro nel tempo, forse c’è del male dietro casi e appuntamenti, qualcuno congiura alle sue spalle: lui stesso oppure amiche colleghe, altro personale di bordo, il marito, le figlie, o chi, come e perché? Finalmente per Bussi un romanzo prevalentemente d’amore, anzi il romanzo degli amori! Forse anche questo in parte è un giallo. Però, qui la cifra fondamentale è la travolgente passionale relazione amorosa, sessuale matrimoniale genitoriale amicale, anche se ovviamente non mancano tracce musicali, contorni noir, investigazioni dilettantesche, avventurosa epica, scientifica geografia, segreti degli affetti e colpi di scena, commedia e tragedia.
Come nelle altre occasioni, la trama è ben congegnata, la vicenda narrata da Nathalie in prima al presente sia nel 1999 che nel 2019, con brevi incursioni in terza su altri, l’amante, il marito, il produttore, la collega. La solida professionalità scientifica consente all’autore di fare campionari delle possibili coincidenze della vita, in relazione poi a contingenti libere scelte dei personaggi in un tourbillon di ossessioni ed emozioni. Staremo sognando troppo (da cui il titolo)? Il filo conduttore è una canzone, belle sentite parole che Ylie dedicò quel dì all’amata e al loro breve incontro, lentamente ne ricostruiamo il lungo testo. Il romanzo ha una dedica significativa, “alle vittime degli tsunami in Indonesia”: si siano essi svolti nel 1999, nel 2004, nel 2006, nel 2018, nel 2019, o in tutti questi anni e in altri ancora, gli eventi meteorologici estremi climatici e geomorfologici sono sconvolgimenti che segnano di continuo grandi popoli e innumerevoli vite individuali, si facciano o meno poi concerti celebrativi.
Due anni fa, nel 2020 è uscito un altro romanzo di Bussi. Prima è stato tradotto in italiano il successivo, ora questo in ordine cronologico, ovvero: Au soleil redouté, nelle librerie italiane da poche settimane: “La mia bottiglia per l’oceano”, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o 2022, pag. 411 euro 18. La storia è però appunto di un paio d’anni fa, insulare, non per la prima volta. Siamo a Hiva Oa (316 km², massimo 1.213 mslm), Arcipelago delle Marchesi, Polinesia francese; a più di quindicimila chilometri da Parigi e seimila dal continente più vicino; il comune associa i due villaggi di Atuona e Puamau (circa 2.300 abitanti complessivi). Verso il 1800, quando noi europei “scoprimmo” le isole, vi vivevano 100 mila marchesiani (sacerdoti, guerrieri, contadini, scultori, danzatori, e così via); dopo un secolo di colonizzazione francese erano ridotti a 2 mila, causa saccheggi, massacri, malattie e tanti divieti imposti; da un trentennio vi è una parziale rinascita meticcia, anche culturale; ora sono circa 10 mila in tutto l’arcipelago, cui spesso si aggiungono moltissimi turisti. Meglio sapere dove si va se non è per vacanza!
Un bel dì arrivano alla pensione “Au Soleil Redouté” le cinque vincitrici (talora accompagnate) di uno strano concorso della casa editrice Servane Astine (la proprietaria) per un laboratorio di scrittura di una settimana, condotto dal famosissimo vendutissimo donnaiolo Pierre-Yves François, dopo una selezione fra 32.859 partecipanti. Sono la graziosa 30enne Clemence Novelle, che si sente vocata; Martine Van Ghal (70 circa), blogger belga; Farèyne Mörssen (40), severa comandante di commissariato a Parigi, con il coetaneo marito Yann Moreau, capitano di gendarmeria in Normandia; Marie-Ambre Lantana (40), esuberante spendacciona alcolizzata, con la figlia 16enne Maïma; Eloïse Longo (30), bella osservatrice malinconica (ha lasciato i due figli). I primi esercizi loro assegnati sono di scrivere un romanzo-diario battezzato “La mia bottiglia per l’oceano” e il proprio testamento ovvero la replica al quesito “Prima di morire vorrei…”, con la regola di “non mentire mai”. Dopo poco Pierre-Yves scompare e Martine viene strangolata con accanto le personali risposte. Non finisce lì, inutile aggiungere altro.
Il titolo francese Au soleil redouté è connesso sia alla chiusa isolata pensione d’ambientazione (dove tutti i clienti sono invitati a scrivere con un gessetto i propri desideri alla lavagna, come nel secondo esercizio) che al concreto timore del caldissimo sole equatoriale; il titolo italiano s’ispira ai dattiloscritti dei cinque romanzi raccolti dallo scrittore (prima di scomparire) con la promessa di correggerli e divenuti poi, con sofisticata maestria, una delle opere effettivamente pubblicate dall’editrice (insieme ad altre due tuttavia, scoprirete quali e perché). La narrazione al presente è così prevalentemente in prima persona: cinque testimonianze, con i cinque diversi punti di vista su quanto sta accadendo, inframezzate dal diario in prima di Maïma e dalle azioni in terza di Yann, tutti e sette i principali protagonisti in scena fin dall’inizio (accanto a pochi significativi altri personaggi), un godibile scientifico ingranaggio “alla” aggiornata Agatha Christie (più volte citata).
Bussi può non piacere (lo capisco), a me piace (come a milioni di lettori nel suo paese): sorprende (sempre meno e comunque non troppo, se avete letto altro di suo), intrattiene con ironia (e autoironia questa volta), manipola le regole del giallo (rispettandole ai giorni nostri), cura ciò di cui parla (argomenti e luoghi), è strettamente ancorato alla realtà sociale contemporanea (pur scrivendo romanzi d’intrattenimento, pregio non limite). Ovviamente, in ogni angolo di quelle isole e di questa storia risaltano schizzi e note biografici di Paul Gauguin (transitato spesso in Polinesia, lì trasferitosi 53enne dal 1901 alla morte nel 1903) e Jacques Brel (lì vissuto per molti anni e sepolto accanto al pittore, dopo la morte nel 1978). Birra e rum, vino d’ananas, Piña Colada. Da visitare anche per mana e tiki, tatuaggi e perle, forse. Segnalo in più punti del romanzo il nesso proprio del metaforico doppio isolamento isola-carcere, dovremo tornarci sopra.
Nel 2021 è poi uscito in Francia Rien ne t’efface, “Nulla ti cancella”, Traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Noir, Edizioni e/o Roma, 2022, pag. 459 euro 16,50. La narrazione inizia con l’antefatto del 21 giugno 2010 a Saint-Jean-de-Luz, costa basca, Pirenei Atlantici. La 40enne Maddi Libéri è un medico generico, una donna razionale, ferocemente indipendente, visceralmente libera, bionda benestante, per scelta una madre single. Vive con il biondo figlio, proprio quel giorno Esteban compirà dieci anni. Prima che lei cominci a visitare i pazienti e che lui vada a scuola, ancora una volta corrono in spiaggia a farsi un bagno. Quella mattina il mare sembra troppo mosso, come nelle altre occasioni intanto che lei si riavvia a preparare la colazione, lui riceve un euro per prendere la baguette. Ma Esteban non arriva a casa, già dopo mezz’ora Maddi inizia a cercarlo, per strada, fra le onde, in mezzo a chi sta sulla sabbia, al forno, poi da polizia, pompieri, soccorso marittimo, almeno venti persone scrutano tracce. Non se ne saprà più nulla.
Un mese dopo le ricerche ufficiali vengono abbandonate, Maddi decide di andare lontano, apre uno studio a Étretat in Normandia, si rifà una vita. Dieci anni dopo né la moneta né Esteban sono stati più ritrovati, nonostante lei non abbia mai perso la speranza, convinta che sia stato rapito. Il 21 giugno 2020 Maddi torna in vacanza (quasi in pellegrinaggio) sulla stessa spiaggia, con Gabriel, ammalianti occhi scuri, capelli bruni, l’unico ad aver accettato tutto il suo dolore, i cambi d’amore, le lacrime, le paure, l’isolamento. Appare un bambino che sembra proprio identico a Esteban, stesso costume, stessa postura, sempre circa dieci anni, si chiama Tom. Che sta accadendo? Coincidenza? Sosia? Reincarnazione? Trappola? Casting? Allucinazione? La 50enne Maddi decide di trasferirsi a Murol in Alvernia, paesino natio di Tom. Chissà perché, si è subito convinta che lui sia in pericolo e forse non ha torto. Comunque ci sono un mistero e nuovi turbinanti guai e omicidi da affrontare, ancora una volta la trama è rocambolesca, scientificamente e modernamente elaborata.
La narrazione del romanzo alterna la prima della protagonista alla terza varia su vari personaggi, qui con meno efficacia del solito. L’autore ha spiegato che gli piace “portare il lettore sull’orlo del precipizio, mollarlo e riacchiapparlo all’ultimo momento”. Questa volta gli riesce meno bene, c’è poco di indimenticabile. Le quattro parti seguono l’unalome, il ciclo delle reincarnazioni delle anime: infantile, bambina, giovane, matura. Anche la relativa fontana avrà un ruolo, tanto più che nella vita reale s’incontrano e scontrano anime infantili e anime mature, e gli opposti possono anche intendersi alla grande. Tre prove irrefutabili dimostrano una reincarnazione: le voglie sul corpo, la xenoglossia, le fobie: scopriamo qualcosa sull’apifobia in particolare. Segnalo la diffusa presenza mondiale di Baby Hatches, in ogni regione le si chiama come si vuole (almeno dieci nomi diversi anche in Italia, cento significati, mille aneddoti).
Può essere utile un’ultima considerazione (in attesa del prossimo Bussi). Per un “giallo” è spesso funzionale il contesto isolato, dalla notte dei tempi della storia letteraria del genere. Quasi più l’ambiente, non facilmente accessibile a tutti (non “fuggibile”), che i personaggi che lo abitano di quei tempi, per quanto originali e “intriganti”. Le isole sono pertanto un’ambientazione naturale “ideale” per questo tipo di romanzi, lo abbiamo visto anche per Bussi, sia quando ha descritto suoi veri viaggi che quando le ha inventate. Ovviamente, l’isola può essere lo stretto specifico ecosistema naturale come pure un antico castello o un teatro di posa o un albergo separato dalla neve o un paesino sperduto di una valle o un borgo in cima a una montagna (anche in biologia evoluzionistica vi sono luoghi con dinamiche “insulari” diversi dalle isole vere e proprie): vi convivono poche anime in pena; vi si trova qualcuno che commette un crimine; diventano quasi un carcere per tutti gli altri; lui o qualcun altro comunque poi ce lo racconta, partendo non dall’inizio ma da dove vuole lui, nella certezza che alla fine scopriremo tutti i perché. Se ne abbiamo voglia.