SOCIETÀ

Cop28: inizia la transizione, ma con molte concessioni all’Oil & Gas

Il phase-out, l’abbandono graduale dei combustibili fossili, non è stato inserito nel testo finale del Global Stocktake (GST). Il documento su cui si erano concentrate le maggiori aspettative di questa Cop 28 è stato approvato la mattina del 13 dicembre, un giorno dopo la fine prevista dei lavori.

I combustibili fossili però, innominabili per i Paesi produttori di petrolio e innominati nei testi degli ultimi tre decenni di conferenze sul clima delle Nazioni Unite, per la prima volta compaiono, anche se non nella formula che molti avrebbero voluto: erano quasi 130 i Paesi schierati per il phase-out, ma le resistenze di quelli produttori di petrolio non hanno concesso di più.

Il testo invita (calls on, una terminologia giudicata debole nel gergo della diplomazia climatica, manca l’urgenza) le parti a fare una transizione che li porti lontano dai combustibili fossili, che sia “equa e ordinata”, con un’azione decisa in questo “decennio critico”. Il termine inglese su cui si è trovato l’accordo è nuovo, non era presente nelle bozze circolate nelle precedenti due settimane di negoziati: transitioning away.

Questo riconoscimento potrebbe essere ritenuto storico e segnare l’inizio della fine dell’era del petrolio, del gas e del carbone. Tuttavia, non è sufficiente stabilire che la transizione energetica si farà: per avere speranza di limitare il riscaldamento globale entro livelli di vivibilità occorre farla in fretta.

È importante quindi il riferimento alla scienza, al grado e mezzo e alla neutralità climatica da raggiungere entro il 2050. Sono inoltre stati confermati gli obiettivi di triplicare le rinnovabili, raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030 ed entro la stessa data la riduzione della produzione di energia elettrica generata da carbone, le cui emissioni non siano abbattute (unabated).

Quest’ultima è però una delle tante concessioni agli interessi dell’industria Oil & Gas. Il testo del GST infatti legittima una serie di strumenti che lungi dall’accelerare la transizione sono già stati usati come distrazioni e false promesse che, di fatto, l’hanno già ritardata. Su tutti, la cattura e il sequestro della CO2 con cui si vorrebbe appunto abbattere le emissioni dei combustibili fossili, ma che lo stesso direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia, Fatih Birol, ha definito una fantasia, se pensata per un uso su larga scala.

Il testo riporta che in particolare (ma non solo) andrà utilizzata nei settori le cui emissioni sono difficili da abbattere (hard-to-abate), quindi l’industria pesante come acciaio, cemento, alluminio. Viene però anche citato l'idrogeno a basse emissioni, ovvero anche quello blu, la cui anidride carbonica in fase di produzione viene assorbita da impianti CCS (a oggi non efficaci).

C’è poi un esplicito riferimento all’utilizzo di carburanti a basse emissioni (come i biocarburanti) e si riconosce l'importanza dei combustibili di transizione, tradotto: il gas, dal cui utilizzo sarà difficile liberarsi in tempi brevi. È anche riportato un impegno a ridurre le emissioni di metano, ma è troppo generico perché non sono esplicitati obiettivi concreti.

Troppo poco, troppo vago, così come il riferimento al phase-out dei sussidi ai combustibili fossili, ma solo di quelli considerati inefficienti: un’altra scappatoia per continuare a finanziare l’estrazione e la vendita di petrolio e gas.

Delude anche quanto emerge dal fronte della finanza climatica, indispensabile per realizzare la transizione soprattutto nei Paesi in via di sviluppo che necessitano di tecnologie, competenze e soprattutto di fondi di cui non dispongono. Il Sud del mondo se ne va insoddisfatto dalla Cop 28 per la mancanza di obiettivi finanziari concreti e per un insufficiente riconoscimento del principio di giustizia climatica, secondo cui chi ha emesso di più deve pagare di più. La stessa approvazione del fondo loss & damage era avvenuta troppo in fretta senza sciogliere alcuni dei nodi più critici.

In sintesi, il testo del GST, che servirà a redigere i nuovi piani nazionali (NDCs – Nationally Determined Contributions) da approvare alla Cop 30 in Brasile nel 2025, esplora un’ampia gamma di soluzioni, che vanno dalle rinnovabili alla CCS, passando anche per l’energia nucleare, l’idrogeno e il gas.

La transizione energetica globale vede con questo documento il suo punto di inizio, per quanto estremamente tardivo. Di come dovrà dispiegarsi e quanto veloce dovrà correre, tuttavia, nel documento non ci sono indicazioni chiare né tanto meno vincolanti, ma solo volontarie, come fa notare tra gli altri lo scienziato Johan Rockström. Se ne dovrà continuare a discutere in molte sedi, anche e non solo alle future Conferenze sul clima. La prossima, la Cop 29, è stato deciso che si terrà a Baku, in Azerbaijan, altro Stato la cui economia è fortemente incentrata sull’energia fossile: il gas.

E lungo la strada che porta a Baku si continuerà a discutere anche di finanza climatica. Grazie all’approvazione del testo sul New Collective Quantified Goal, ad esempio, si tenterà, con una serie di incontri preparatori che si terranno per tutto il 2024, di andare oltre l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari, promessi e non raggiunti nemmeno nel 2023, da destinare ai Paesi in via di sviluppo. Anche in questo testo, tuttavia, non viene esplicitato alcun nuovo obiettivo concreto.

Quello sul GST è infatti solo uno di una ventina di documenti su cui era attesa la decisione della Cop28. Gli altri riguardavano temi quali adattamento, finanza climatica, loss & damage, altre iniziative di mitigazione, agricoltura e sistema alimentare, mercati dei crediti di carbonio e il loro ruolo nel conteggio delle emissioni, rapporto tra crisi climatica e minoranze, equità della transizione. Su alcuni la decisione finale non è arrivata ed è stata rimandata all'anno prossimo.

Tutti questi però dipendevano in qualche misura da quello che sarebbe rientrato nel testo del GST, vera pietra angolare dei negoziati. Per capire allora come si è arrivati all’approvazione del 13 dicembre, facciamo un breve riassunto di cosa è successo negli ultimi giorni a Dubai.

Sin dal 1 dicembre, le bozze di GST a cui si stava lavorando menzionavano la necessità di abbandonare gradualmente i combustibili fossili per provare a restare sotto il grado e mezzo di riscaldamento globale. In quella del 5 dicembre diverse opzioni menzionavano il phase-out.

L’8 dicembre, Reuters aveva rivelato che la presidenza dell’Opec, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio di cui fanno parte 13 Stati tra cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, aveva spedito una lettera ai suoi membri dicendosi molto preoccupata dei riferimenti all’abbandono dei combustibili fossili nei documenti ufficiali in discussione alla Cop 28.

L’11 dicembre, a circa 24 ore dalla fine della conferenza, la presidenza emiratina di Sultan Al Jaber aveva proposto una nuova bozza da cui era scomparso ogni riferimento al phase-out. Le parti venivano invitate a intraprendere azioni che avrebbero potute includere (could include), tra le altre, una generica riduzione del consumo della produzione dei combustibili fossili.

Il commissario per il clima dell’Unione Europea, l’olandese Wopke Hoekstra, con la ministra spagnola per la transizione ecologica, Teresa Ribera, avevano ritenuto irricevibile quella nuova versione. Il ministro John Silk delle Isole Marshall, che verrebbero interamente sommerse dall’innalzamento del livello dei mari con un aumento del riscaldamento globale oltre la soglia critica, aveva dichiarato: “è una condanna a morte per noi. Ma non ce ne andremo in silenzio nelle nostre tombe acquatiche”.

“I combustibili fossili causano il 75% di tutti i gas serra. Loro sono il problema. Se non andiamo alla radice della crisi climatica allora tutto il resto è una distrazione” aveva detto l’attivista ugandese Vanessa Nakate. “Tutto il resto sarebbe impossibile. Le riparazioni alle perdite e ai danni sarebbero inimmaginabili. L’adattamento sarebbe impossibile”.

Come spesso accade, la conferenza sembrava sull’orlo del collasso, della rottura dei negoziati. Alcuni hanno iniziato a ritenere che un mancato accordo fosse una soluzione migliore di un accordo che concedesse troppo ai petrolieri. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre è iniziata a circolare una bozza non ufficiale che usciva dalla dicotomia phase-out/phase-down (abbandono o riduzione graduale) e che presentava la nuova terminologia (per lo meno nel gergo diplomatico) della transizione.

L’approvazione è arrivata la mattina del 13 dicembre, non senza recriminazioni. L’intesa sul testo sembra sia arrivata quando i rappresentanti delle piccole isole non erano nella stanza dei negoziati. Ciononostante, gli applausi in sessione plenaria al momento della ratifica si sono fatti sentire, ma non dalla delegazione dell’Arabia Saudita.

Il velo di ipocrisia è stato levato, l’elefante nella stanza è stato visto e additato da tutti. È ancora un compromesso politico rispetto alle indicazioni ben più drastiche che arrivano dalla comunità scientifica, ma era difficile immaginare che i combustibili fossili venissero individuati come problema da cui liberarsi per la prima volta alla Cop ospitata da un petrostato. Probabilmente però è avvenuto proprio per questo.

Oltre alle abilità diplomatiche dei negoziatori dei quasi 130 Paesi che erano a favore del phase-out, e nonostante i pochi spazi di contestazione lasciati agli attivisti, le pressioni sono arrivate, forse mai così insistenti, soprattutto da alcuni organi di stampa. La BBC aveva rivelato gli affari poco limpidi della presidenza degli Emirati poco prima dell’inizio della conferenza. In pieno svolgimento, il Guardian aveva diffuso un video in cui il presidente Al Jaber faceva esternazioni negazioniste sulla scienza del clima. Reuters ha pubblicato la lettera con cui l’Opec esortava i suoi membri a contrastare l’inserimento del phase-out nei documenti ufficiali.

È anche grazie a questa costante e crescente attenzione dell’opinione pubblica che in molti, tra cui il commissario europeo per il clima Hoekstra, ritengono che la Cop28 segna l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili.

Ci sono voluti circa 30 anni, ma le conferenze sul clima delle Nazioni Unite sono riuscite a mettere d’accordo tutti i Paesi del mondo sul fatto che il problema non sono soltanto le emissioni di gas serra, ma le fonti che le generano. Ci vorranno altri tre decenni per realizzare la transizione energetica. Conta però come si farà. L’attenzione di tutti deve rimanere alta.

 

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