Sulla scia di alcuni recenti fatti di cronaca, abbiamo discusso con Iaia Caputo sull’esposizione e sull’inibizione del corpo, altrui e nostro, in questo particolare e delicato periodo storico. La scrittrice e docente di scrittura creativa e autobiografica ha inizialmente affidato una sua personale riflessione alla bacheca virtuale della sua pagina Facebook, ma viene ripresa e ampliata nella nostra intervista. Il primo fatto di cronaca, nonché fattore scatenante dell’osservazione della nostra società, è quello che riguarda Willy Monteiro e i suoi presunti assassini, ormai noti come i “fratelli Bianchi”. Al centro i loro scolpiti e tatuati corpi, la cui immagine è stata pubblicata in ogni angolo del web e non solo, e che è diventata mezzo per esprimere le nostre emozioni riguardo l’intera faccenda. I due uomini in questione “sono stati presi di mira dai social non tanto e non solo per l’abominevole uso della violenza, per il gesto spaventoso, orrendo che avevano compiuto, ma venivamo presi di mira i loro corpi, che erano effettivamente dei corpi eloquenti”. Infatti i corpi parlano e raccontano molto delle persone, e i loro corpi sono scolpiti, sono molto tatuati, i loro volti raccontavano poco, gli occhi sembravano vuoti. “Erano logicamente i corpi degli assassini”, dice Iaia Caputo, ma continua sottolineando un possibile nesso con il nostro corpo, ovvero di chi li stava osservando e criticando. Dietro a tutto questo odio verso i corpi dei presunti assassini è celata una sorta di scorciatoia, per esprimere dei sentimenti, quelle emozioni provate di fronte alla violenza subita da Willy, che erano di sgomento, di paura. Dall’altra parte, in una sorta di contraltare, lo stesso spavento, la stessa paura vengono esperite di fronte alla fragilità dei nostri corpi, che è stata resa evidente dall’epidemia di Coronavirus. I nostri corpi sono fragili ed è proprio il virus che ce lo sta insegnando, per questo siamo costretti a coprirli per difenderli dal virus, e siamo costretti a tenerli lontani dal corpo degli altri. La fragilità dei nostri corpi è probabilmente ciò che vorremmo dire, ma che non sappiamo dire, mentre ci appassionano molto i corpi altrui. Un altro episodio citato dalla Caputo è il fermento causato dai social attorno al corpo di Armine Harutyunyan, la modella di Gucci così difforme dagli standard estetici di bellezza.
Intervista integrale a Iaia Caputo. Servizio e montaggio di Elisa Speronello
La discussione sposta poi il suo oggetto verso la questione di genere ma senza mai distogliere lo sguardo dai corpi che interessano gli eventi citati. Dapprima Iaia Caputo ha definito la quasi totale assenza di relatrici donne al festival dell’eros e della bellezza di Verona, come una dimostrazione di quanto è retrogrado il nostro Paese. “L’esclusione delle donne e la misoginia sono diventate un vulnus democratico”, perché escludere il 50% della popolazione mondiale rappresenta un problema di democrazia. Il fatto che si è presupposto che solo gli uomini siano in grado di parlare di bellezza e relazioni, oltre a farla arrabbiare la lascia incredula: “come è possibile che questo accada ancora?” questa situazione, secondo la scrittrice, non è più frutto di una esclusione di tipo ideologico, simile a quella dei secoli scorsi. Il risultato è uguale, ossia l’esclusione, ma le donne non sono più discriminate, sono impensate, “non vengono in mente”. Questo accade di continuo, sottolinea la Caputo, perché a chi deve decidere format, scalette per festival, etc, vengono in mente nomi di uomini, quindi le donne non vengono invitate. Quando invece una donna riesce a superare queste difficoltà e viene riconosciuta per il suo successo, arrivano i commenti che la riportano verso la dimensione maschile. Esemplificativo può essere il commento sessista del professor Marco Gervasoni (testualmente: “Ma che è un uomo?) a proposito della copertina de L’Espresso dedicata alla politica Elly Schlein. Infine è un altro caso di cronaca a chiudere l’intervista a Iaia Caputo, come a intrecciare i vari temi affrontati. La tragedia di Caivano che è costata la vita a Maria Paola, caduta dal motorino che il fratello ha speronato perché contrario alla relazione di lei con un uomo che è nato donna. Un delitto macchiato di omotransfobia che ha colpito anche per come è stato descritto da alcuni media nazionali, ovvero da coloro che dovrebbero informare in modo imparziale e corretto. Invece per indicare Ciro sono state usate parole come “ex femmina”, “ex donna” e la relazione tra i due è stata definita “tra amiche” quando invece erano una coppia. Secondo la scrittrice questo fatto sottolinea l’incapacità di trovare le parole per definire quello che già accade, in un Paese che si ritrova a essere complesso, come lo sono molti altri, ma anche profondamente misogino.