CULTURA
Così ha inizio il male, il più bel libro di Marías: tra verità e finzione
Nel libro Nera schiena del tempo del 1998 Marías esordisce affrontando in modo esplicito uno dei temi cardine di tutta la sua produzione come romanziere: il rapporto tra realtà, verità e finzione narrativa, nodo, questo, con cui il narratore viene a patti in tutti i suoi libri facendo letteralmente attraversare al lettore tutte le sfumature e i gradi di verità possibili, conducendolo lentamente alla discoperta di quale essa sia veramente.
In questo libro, dunque, scrive: “La vecchia aspirazione di ogni cronista o sopravvissuto, riferire l’accaduto, dare conto di quel che avvenne, lasciare traccia dei fatti e dei delitti e delle gesta, è una pura illusione o chimera, o meglio la frase stessa, quel concetto stesso, sono già metaforici e fanno parte della finzione. Riferire l’accaduto è inconcepibile e vano, o è piuttosto possibile soltanto come invenzione”. Cosa intende? Lo ha spiegato bene in un’intervista in cui dice che lo scopo della letteratura è quello di soddisfare il bisogno che qualcosa si possa raccontare in modo completo e senza che poi cambi volto. “Se tentiamo di raccontare le cose della vita vera (un avvenimento storico, un incidente a cui per esempio abbiamo assistito) – dice – queste possono essere smentite, perché sono sempre parziali (potrei essere arrivato sul luogo dell’incidente dopo che si sono svolti fatti essenziali che possono cambiare di segno all’evento). Della vita ci sono interpretazioni infinite: non si ha mai c’è la certezza della verità. Invece una finzione, anche se sappiamo che è inventata, è per noi immutabile: è accaduta così e basta, per sempre, in modo insindacabile. E questo ci dà consolazione”.
Per Marías, dunque, il narratore onnisciente si fa “interprete di vite”, perché conosce “la verità”: cosa pensano e perché agiscono in un certo modo i personaggi, e non è un caso che spesso nei suoi romanzi scelga di alternare la terza persona alla prima per dare voce allo stesso personaggio. Questo è molto evidente nelle sue due ultime opere, Berta Isla e Tomas Nevinson, in cui il protagonista è una spia spagnola dell’MI6 inglese, un personaggio cioè dall’identità frammentata per definizione. Ma non è tanto (o non solo) nella mancata integrità dei personaggi, ossia nella connaturata complessità dell’animo umano, che si fonda la parzialità del punto di vista sulla realtà. Nei romanzi di Marías c’è sempre un fatto del cui accaduto si ha contezza fin da principio ma di cui non si conoscono fino in fondo i contorni e a mano a mano che si legge ci si rende conto quanto il grado di verità che gli avevamo attribuito non sia quello giusto.
Molto spesso questo accade immediatamente: il fatto viene svelato subito, quasi fosse una colpa da confessare. I suoi due libri più famosi, non a caso, Un cuore così bianco che gli ha regalato la celebrità nel 1992 e il successivo Domani nella battaglia pensa a me del 1994, hanno in comune un tratto fondante: l’incipit spiazzante.
Ascoltali qui letti dalla voce dell’attore Roberto Serafini:
In apertura accade qualcosa di travolgente che appare un dato di fatto irremovibile e inconfutabile. Solo successivamente, nel dipanarsi dell’azione, e seguendo le riflessioni del narratore, ci rendiamo conto di avere avuto una visione parziale, e tutto il processo di scrittura è teso a portarci invece alla “verità”: alla ricostruzione corretta dei fatti, alla comprensione delle intenzioni, dei movimenti del cuore e della mente di chi ha agito.
I lettori che hanno incrociato anche solo superficialmente Javier Marías sanno che l’autore spagnolo innesta la sua letteratura su quella di Shakespeare (non foss’altro per i titoli, ma c’è molto di più) e che dal bardo prende in prestito anche quelle frasi che hanno a che fare con il compimento delle azioni. Una delle domande implicite e più angosciose della sua letteratura è infatti sempre la stessa: quali conseguenze hanno le cose che facciamo?
“I had done the deed, tanto quanto Macbeth aveva commesso il suo” si legge a un certo punto in Tomas Nevinson, come in Un cuore così bianco Marías scrive: “I have done the deed, pensai, o forse pensai: Sono stato io, o lo pensai nella mia lingua, ho fatto l’azione, e ho commesso l’atto, l’atto è un fatto ed è un’azione e per questo prima o poi si racconta”.
Il libro in cui questo processo di emersione della verità avviene con maggior maestria è Così ha inizio il male del 2014, pubblicato in Italia da Einaudi nel 2015. Qui l’incipit è molto più raccolto – il fatto scabroso non è esplicitamente menzionato: “Non è passato molto tempo da quando è successo tutto quanto – meno di quanto duri in genere una vita, e che piccola cosa è una vita una volta che è finita e quando ormai la puoi raccontare in poche frasi e non lascia nella memoria altro che ceneri che si staccano alla minima scossa e volano al minimo alito di vento –, eppure una storia così oggi non sarebbe più possibile. Mi riferisco a quello che successe a loro, Eduardo Muriel e sua moglie Beatriz Noguera, quando erano giovani, più che a quel che successe a me con loro, quando il giovane ero io e il loro matrimonio era una lunga e indissolubile infelicità”.
Siamo lasciati volutamente nell’ignoranza dei fatti, anche se percepiamo un urto passato e qualcosa che certamente incombe. In queste poche righe già vediamo dispiegare dall’autore una delle figure retoriche più comuni del suo narrare: l’ossimoro. Come può un matrimonio essere da sempre una lunga e indissolubile infelicità? Vero è che in Spagna nel 1979 ancora non era in vigore la legge sul divorzio (entrata nell’81) e che, quand’anche avessero voluto, Muriel e Beatriz non si sarebbero potuti separare.
A raccontare la storia è Juan De Vere, giovane assistente dello scenografo, uomo bizzarro ed elegante, con una benda sull’occhio, che per dialogare con il ragazzo ama distendersi per terra (ancora una volta: vedere il mondo da una prospettiva “altra”). Juan frequenta la sua casa e i suoi salotti di intellettuali, ma soprattutto ha modo di entrare in contatto con la moglie e saggiare la temperatura della loro unione.
Il “fatto” che in Un cuore così bianco e in Domani nella battaglia pensa a me apre la narrazione qui arriva a pagina 62 (di 451): Juan assiste a una scena notturna in cui la moglie bussa implorante alla porta del marito per essere accolta.
Ascoltala qui, letta da Roberto Serafini:
Ci è sempre più chiaro che qualcosa non va, ma cosa? Qualche pagina dopo leggiamo le parole durissime che Muriel ha per Beatriz: “Non capirai mai quello che hai fatto, per te non ha importanza, non l’ha avuta allora e non ne avrà finché campi, speriamo almeno che tu non sia eterna, speriamo che non duri troppo. Che stupido sono stato ad amarti per tutti quegli anni, più che ho potuto, finché non sapevo niente. È stato come amare un cocomero, un’anguria, un carciofo”.
Comprendiamo che certamente qualcosa deve essere successo, tanto più che Muriel di lì a qualche pagina chiederà a Juan di indagare su un suo amico di vecchia data, Van Vechten, che si sarebbe comportato “in modo indecente con una donna, o forse più di una”. Ma anche Muriel, forse, non si sta comportando bene con una donna: proprio con sua moglie, potrebbe pensare il lettore. O forse è lei ad aver fatto qualcosa di scabroso?
E infatti Juan De Vere coglierà Beatriz in flagrante a far l’amore proprio con Van Vechten in una stanza del santuario di Darmstadt, anche se dapprima gli sembra che il rapporto non sia consensuale.
Ecco, ora ci sembra di capire meglio. Ci illudiamo, per esempio, che Muriel sia geloso e che l’amico gli abbia rubato la donna. Ma andando avanti a leggere ci rendiamo conto che basta aggiungere un frammento di vita in più alla storia o completare una frase in modo diverso e le cose appaiono sotto un'altra luce. Marías ci mostra – operativamente – quello che teorizza quando dice che conoscere la realtà è impossibile, se non appunto attraverso la letteratura.
“La verità è una categoria destinata a rimanere in sospeso finché si vive” fa dire proprio a Muriel “[…] è illusorio volerla stanare, una perdita di tempo e una fonte di conflitti, una stupidaggine. E tuttavia non riusciamo a farne a meno o meglio non riusciamo a fare a meno di chiederci quale sia, con la certezza che esista, che si trovi in un luogo o in un tempo ai quali c'è precluso l’accesso”.
C’è un problema di inconoscibilità dunque, o di relativizzazione della conoscibilità. E poi c’è l’inganno: non sempre la difficoltà di interpretazione dipende da un’oggettiva impossibilità. “Ci sono persone che traggono piacere dall’inganno, dall’astuzia e dalla simulazione, e fanno uso di un’enorme pazienza per tessere le loro reti” scrive l’autore nello stesso libro seguendo il filo dei pensieri di Juan De Vere, quando, anche lui, si trova ormai così invischiato nei fatti da dover cominciare a mentire.
Nel frattempo infatti Beatriz ha tentato il suicidio, Muriel si è apparentemente addolcito con lei e ha chiesto a Juan di smettere di indagare su Van Vechten, ma Juan non ce la fa. Muriel cerca di persuaderlo così: “Tutto ciò che ci viene raccontato, tutto quello a cui abbiamo assistito, è solo diceria, per quanto chi ce lo racconta giuri di dire la verità. E non possiamo passare la vita a dare ascolto alle voci, ancor meno ad agire in base al loro andirivieni. Quando si è rinunciato a questo, quando si è rinunciato a sapere quello che non si può sapere, allora, parafrasando Shakespeare, allora forse così ha inizio il male, ma ormai il peggio è passato”. Questa è la frase che Amleto pronuncia alla regina dopo aver ucciso per errore Polonio, il padre di Ofelia.
Di continuo Marías ci costringe a chiederci se la verità sia quella che costruiamo col pensiero, e quindi sia sufficiente non sapere per evitare il peggio, anche se così ci si macchia di una colpa: si tinge di male il mondo.
Cita spesso nei suoi romanzi (per esempio ne Gli innamoramenti del 2011 e i in Berta Isla del 2017) Il colonnello Chabert di Balzac, in cui si racconta la storia di Hyacinthe Chabert, soldato della Grande Armata, creduto morto dopo la battagli di Eylau e gettato quindi nella fossa comune con gli altri cadaveri, e che invece morto non era ma solo creduto tale, cosa che fu sufficiente a non fargli più ritrovare posto nell’umano consorzio, al momento del suo ritorno, perché “i morti devono restare al loro posto e niente deve modificarsi”. Metafora assolutamente trasparente: l’ordine delle cose è dettato dalla mente, e neppure trovarsi davanti vivo e vegeto quello si crede un cadavere può intaccare uno stato di fatto creato dal pensiero.
Ecco quindi che tacere un episodio, un dettaglio – o viceversa rivelarlo – può cambiare completamente il corso degli eventi. Abbiamo capito che Van Vechten ha un segreto, e non è quello di avere una relazione sessuale con Beatriz, ma qualcosa di legato agli anni del Franchismo, e Juan, frequentandolo, sta sgretolando il suo muro di mistero; anche Beatriz aveva un segreto e l’ha tradito, svelandolo al marito che gliene ha fatto una gravissima colpa – del fatto di averlo rivelato e paradossalmente non di averlo taciuto – e ora persino Juan, la voce narrante, ne ha uno, ma lo mantiene, perché la verità minerebbe il suo matrimonio con Susana, la figlia di Muriel e Beatriz.
Questo è quello che accade nella vita: coesistono molteplici verità possibili, pare dirci lo scrittore, come se la maggior parte degli sliding doors fossero “gneosologici”.
“Chi può sapere cosa diventerà ciascuno” si legge nelle ultime pagine di Così ha inzio il male “nel corso di una vita, nulla ci impone di astenerci in nome di congetture o predizioni che trascendono dal nostro intelletto, la sola nozione che abbiamo è quella dell’oggi, mai quella del domani, per quante volte ci affanniamo dietro a prefigurazioni”.
“ Riferire l’accaduto è inconcepibile e vano, o è piuttosto possibile soltanto come invenzione Javier Marías
E per chi non teme lo spoiler, ecco come si è chiude il cerchio della conoscenza, qui:
Juan e Beatriz avevano passato una notte d’amore, la terribile azione di lei nei confronti del marito era stata quella di avergli rivelato con molti anni di ritardo di aver letto la lettera in cui lui, prima di sposarsi, le diceva di amare follemente un’altra a cui poi aveva rinunciato dal momento che a Beatriz era morto improvvisamente il padre e lei gli aveva fatto credere di non aver mai saputo dei suoi tentennamenti. Beatriz infine era riuscita davvero a togliersi la vita, e Muriel aveva ingenuamente fatto sapere a Juan, il giorno del funerale, che la moglie era in dolce attesa, così Juan crede che il figlio possa essere suo. E “… se mai fosse venuta al mondo, quella creatura sarebbe stata sorellastra di [sua] moglie, ma anche sua figliastra, e insieme figlia e cognata [di lui], e le figlie che h[a] avuto con Susana sarebbero state insieme sue sorelle e sue nipoti…”.
Anche Edipo, se solo avesse saputo, avrebbe agito diversamente. Così Muriel, e forse Susana, ma anche a cascata tutti gli altri. Solo il lettore è l’unico che può capire fino in fondo quel che è accaduto e così riposarsi su di una verità ultima: nota fino in fondo, come dice Marías, e per sempre.
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