Audry Hepburn in una scena di Vacanze romane. Foto per gentile concessione Touring Club Italiano
Nella seconda metà del Novecento si è imposta un’immagine iconica per buona parte degli uomini e delle donne dei paesi occidentali (poi anche per gli altri), laddove erano diffusi a livello di massa film e riviste, minuta elegante delicata sofisticata: Audrey Hepburn, danzatrice e attrice più europea che statunitense. Nata il 4 maggio 1929 vicino a Bruxelles dall’assicuratore britannico Ruston e dalla baronessa olandese van Heemstra, crebbe risiedendo in tutti e tre quei paesi: Belgio, Regno Unito e Paesi Bassi. Quando aveva sei anni i genitori divorziarono, lei seguì la madre in vari giri (pur in contatto con il padre), finché nel 1939 si trasferirono nella piccola città olandese di Arnhem. Erano tempi terribili di invasioni e guerra, nel 1940 anche quel territorio fu occupato dai nazisti. Esile, malnutrita e non molto alta (invero un metro e 67), in una situazione familiare e sociale di indigenza, riuscì comunque a studiare danza frequentando il conservatorio fino al 1945.
Gli esordi
Dopo lo sbarco alleato in Normandia del 1944, Hepburn iniziò a fare anche spettacoli come ballerina e a girare come staffetta partigiana. Al termine del conflitto, con la madre si spostarono ad Amsterdam, dove lei continuò a studiare ballo, dal 1948 a Londra, dove tentò con successo di intraprendere l’attività di attrice di opere teatrali (musical all’inizio), con parti minori in alcuni film. Nel 1951 fu scelta per la parte di protagonista in una commedia a Broadway (grazie a Colette), con sei mesi di repliche e l’occasione immediata per una successiva straordinaria carriera di attrice cinematografica, della quale vi è traccia nell’immaginario visivo di centinaia di milioni di umani. Inaugurata il 21 dicembre 2024, resterà aperta ancora fino al 27 febbraio 2025 l’inedita deliziosa mostra omaggio alla “Principessa” Audrey Hepburn presso il Magma, uno dei pochi musei italiani di grafica, nella città marchigiana di Civitanova Marche, esibizione destinata successivamente a trasferirsi a Roma e in altre località nel corso del 2025.
Alcuni anni dopo la nascita, il padre aggiunse al cognome Ruston della figlia anche "Hepburn", quello della nonna materna. Così, la prima parte del percorso espositivo narra le origini, gli studi e i primi passi (non solo di danza) di Audrey Kathleen Hepburn-Ruston, in modo sintetico e chiaro. Il motivo conduttore dell’esibizione risulta in qualche modo intitolato alla “fortuna” accadutale, da lei riconosciuta come tale, e simboleggiata da un vero filo di lana rosso, che guida gli ospiti attraverso ogni stanza dei tre piani del museo, per svelare parallelamente bellezza, bravura, eleganza ed empatia nella vita artistica e privata. L’ultimo piano è dedicato al film forse più noto, Colazione da Tiffany, (1961) e poi al progressivo ritiro dai set verso la fine degli anni Sessanta (nemmeno quarantenne) e alla successiva instancabile attività umanitaria come ambasciatrice speciale per l’Unicef (nominata propriamente “ambasciatrice” nell’autunno 1987, volto ufficiale il giorno della proclamazione della relativa Convenzione), fino alla morte il 20 gennaio 1993.
Il racconto del successo lungo le varie sale
Ogni sala è un tributo al talento e alla carriera. Immagini, oggetti e vari strumenti multimediali accompagnano la narrazione della vicenda biografica. S’inizia con l’infanzia e l’adolescenza, fino all’incontro con la scrittrice Colette in vacanza a Montecarlo, svolta nel tentativo di diventare attrice di successo. Uno spazio particolare è dedicato al mancato incontro fra due “sorelle d’anima”, ovvero con Anna Frank, anche lei nata nel 1929, anche lei appassionata ballerina, residenti in Olanda a pochi chilometri di distanza. A Londra Hepburn lesse il diario per caso in anteprima e ne fu sconvolta (per il gramma e per i parallelismi); decenni dopo rifiutò di interpretare Anne Frank in un film biografico. Il percorso è visto costantemente in connessione con il mondo della moda: lo stile, la foggia e i colori degli abiti che indossava sono spesso divenuti celebri e riprodotti. In particolare, è nota la costante “collaborazione” con Hubert de Givenchy, lei fonte di ispirazione sia per le creazioni sartoriali che per le clienti “consumatrici”, compresi i guanti e i ricami, gli occhiali e le perle.
Sono innumerevoli i film che interpretò in modo memorabile, dopo alcune parti minori: una ballerina in The Secret People con Valentina Cortese nel 1952; avendo iniziato le riprese nella stessa estate già la protagonista regale e infantile di Vacanze romane (1953), nel ruolo della Principessa Anna, regnante di una nazione che non viene mai nominata; copertina di Time a settembre 1953, Oscar a marzo 1954 come migliore attrice. Chi non ricorda la scena in Vespa con Gregory Peck (dietro)? C’è al museo un identico esemplare a due ruote, sul quale potete montare per immortalarvi alla guida e con chi volete. Per alcuni anni alternò i palchi teatrali dal vivo (New York, il cuore) alle riprese cinematografiche con registi e attori famosi (Hollywood, ovviamente): fra l’altro, Sabrina (1954) accanto a Humphrey Bogart; Guerra e Pace (1956, regia di King Vidor); Cenerentola a Parigi ballando con Fred Astaire (1957); Arianna con Gary Cooper e Maurice Chevalier (1957, regia di Billy Wilder); Verdi dimore accanto ad Anthony Perkins (1959, regia di Mel Ferrer che aveva sposato nel 1954); La storia di una monaca diretta da Fred Zinnemann (1959); Gli inesorabili accanto a Burt Lancaster (1960, regia di John Huston).
L’interpretazione più famosa dell’introversa Hepburn riguarda probabilmente l’estroversa Holly Golightly nel film Colazione da Tiffany, sceneggiatura molto liberamente tratta dall’omonimo romanzo di Truman Capote (1958, ambientato negli anni Quaranta) e diretto da Blake Edwards (1961, ambientato negli anni Sessanta e a lieto fine per la coppia protagonista), storia delle traversie di un turbolento innamoramento sulla Quinta Strada di Manhattan, colonna sonora da Oscar (di Henry Mancini). L’attrice continuava ad accumulare premi e sono rimarchevoli anche molte ulteriori opere cinematografiche che ne mostrarono estro e bravura, meticolosa nella cura della bellezza e dell’immagine: fra l’altro, Quelle due (1961, regia di William Wiler, dal dramma e con la sceneggiatura di Lillian Hellman; Sciarada (1963, regia di Stanley Donen); My Fair Lady (1964, regia di George Cukor); Gli occhi della notte (1967, regia di Terence Young). Negli anni Settanta e Ottanta partecipò solo ad altri quattro film, gli ultimi due diretti da Peter Bogdanovich (1981) e Steven Spielberg (1989). Ovviamente sempre ci fu immediato doppiaggio per gli schermi italiani, al suo attivo negli anni Sessanta anche tre David di Donatello come miglior attrice straniera.
Audrey Hepburn, oltre alle “natie” lingue inglese e olandese, parlava bene francese, tedesco, italiano e spagnolo, grazie anche ai molteplici luoghi in cui dovette o scelse di vivere. Morì in Svizzera trentadue anni fa, il 20 gennaio 1993, pochi mesi prima le era stato diagnosticato un tumore al colon in stato avanzato. Era stata sposata con la star statunitense Mel Ferrer (1917 - 2008) fino al 1968, ebbero il figlio Sean (1960); nel 1969 si risposò a Roma con lo psichiatra italiano Andrea Dotti, ebbero il figlio Luca (1970), il matrimonio continuò perigliosamente fino al 1982; negli anni successivi si legò all’attore olandese vedovo Robert Wolders, convissero alacremente e condivisero tanto passioni culturali che impegni militanti; le sono state attribuite altre relazioni, alcune inventate, era una donna conosciutissima e ammirata nella nota dinamica di spettacolarizzazione social.
I tributi dopo la morte
Nel corso dei decenni, soprattutto dopo la morte, sono state decine le mostre dedicate all’attrice, in tante città di vari paesi, da ultimo a Morges in Svizzera da giugno a settembre 2024, concentrata sulla forte amicizia professionale e personale con il conte stilista Givenchy (1927 - 2018). Per esempio, in Italia era già accaduto nell’autunno 2011 al Museo dell’Ara Pacis di Roma, in occasione del cinquantesimo anniversario di Colazione da Tiffany e in contemporanea con il Festival Internazionale del Film di Roma, a sostegno dell’Unicef; a La Spezia da dicembre 2019 a marzo 2020, allestimento originale con materiali già esposti a Bruxelles e Amsterdam per i novanta anni dalla nascita; alla mostra del cinema di Montecatini nel giugno 2023 con un apposito evento in occasione dei trenta anni dalla morte. Altrettanto ricca è la bibliografia specifica (biografie, fumetti, saggi), con il contributo di parenti e colleghi, oltre che di studiosi e ricercatori. La mostra di Civitanova è peculiare e importante anche per l’originale contesto multimediale, quasi unico nel nostro paese.
Con la dotazione iniziale di circa 18.000 manifesti ed artefatti grafici e di comunicazione, risultato della donazione dell’attuale direttore Enrico Lattanzi e della più che ventennale attività di Cartacanta Festival, qualche anno fa è stato avviato il progetto del MAGMA (Museo Archivio Grafica Manifesto), che raccoglie manifesti, archivi di progetto e collezioni a cui dedica mostre, iniziative, pubblicazioni e cataloghi. La biblioteca tematica sulle questioni del visual-graphic design raccogli circa millecinquecento volumi donazioni dei maggiori studi ed esperti italiani. Nell’archivio sono conservate opere di grafica di pubblica utilità, comunicazione istituzionale, pubblicità, editoria, comunicazione politica di tutti i partiti, cinema, propaganda, dei maestri del Novecento, tra i quali spiccano Folon, Alain Le Quernec, Emanuele Luzzati, Milton Glaser, Andrea Rauch, Mauro Bubbico, Mario Piazza, Reza Abedini, Remo Muratore, Albe Steiner, Massimo Dolcini, Marco Tortoioli Ricci, Bruno Munari, Pintori, Walter Sardonini. Il Museo organizza esposizioni, mostre ed eventi sia nei propri spazi che in altri luoghi della città e della regione; collabora con università e scuole; cura l’edizione di cataloghi e monografie.
Il museo è stato inaugurato nel 2020 in un palazzo storico (precedentemente orfanatrofio e poi ospedale), dopo che l’anno prima era stata approvata all’unanimità una legge regionale che definisce Civitanova Marche “Città del Manifesto”. Sono molti i grafici, i pubblicitari, i professionisti, gli artisti, i ricercatori e gli appassionati che utilizzano il fruibile enorme archivio cartaceo multidisciplinare collezionato. Dopo alcuni anni di esposizioni interessanti (di recente Steiner, Pasolini, totem e tabù), durante l’estate 2024 ha ospitato per mesi una mostra dedicata alla famosa rivista degli anni Ottanta Frigidaire (“l’avventurosissima storia dell’arte maivista”), che ha avuto quasi 10.000 visitatori. Il palazzo poi si trova all’interno di un prezioso borgo di straordinario antichissimo interesse storico-urbanistico-artistico-architettonico: Civitanova Alta è situata su un colle, con mura e castello medievali, sopra la zona marina prevalentemente novecentesca e molto urbanizzata. La mostra si può visitare tutti i giorni dalle 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30.