CULTURA

Nei nervi e nel cuore. Intervista a Rosella Postorino

Rosella Postorino, scrittrice ed editor, vincitrice del Campiello con Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018) e per un soffio anche dello Strega con Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli, 2023), torna in libreria con un libro che non è un romanzo. Ma nemmeno un saggio. Nei nervi e nel cuore, uscito per Solferino, è una raccolta di pezzi che ha pubblicato su Sette e che toccano nervi e cuore suoi, nostri e del nostro presente. È raro che una scrittrice decida di mettersi a nudo così, scegliendo parole appuntite e precise (come sempre fa) per restituire un pensiero lungamente riflettuto sugli aspetti più disparati che compongono l’esistenza. Le origini e l’influenza che queste hanno su una vita, le volte che non sappiamo dire di no, il prezzo della realizzazione professionale, Dio e la Natura, la responsabilità del desiderio di ciascuno, il “dilemma del prigioniero” quando hai i minuti contati, l’ineludibilità del dolore, il tentativo di essere normali e davvero molto altro ancora. Lo sguardo della scrittrice è profondo, verticale, s’appiglia al presente così come all’eterno e taglia. Come sempre Postorino, sia nei romanzi che in questo libro, ha l’immenso pregio di non voler compiacere nessuno. Il pensiero della narratrice  diventa materiale attraverso le storie che scrive ed è, a conti fatti, una visione ampia della vita. Quella stessa che restituisce qui. Attraverso fatti minimi e pensieri grandi che incontrano una penna generosa, perché a dire le cose così come stanno ci vuole generosità. E coraggio.

Cominciamo dal titolo. Quando citi Pavese in merito agli adulti che da bambini credevano che “quando nulla era avvenuto, o dormiva solamente nei nervi e nel cuore, qualcosa di bello li aspettasse” cosa credi che possa essere, oggi, quel qualcosa di bello? In quest’epoca così confusa? E per Rosella Postorino cos’è?

"Qualcosa di bello sono per me le relazioni, quelle in cui senti di non doverti nascondere, e la scrittura, perché la scrittura è la mia identità più profonda, più segreta, messa a disposizione dell’identità di un altro, è qualcosa di smisuratamente intimo che diventa però parte dell’esperienza, dell’immaginario, della vita di un altro. Qualcosa di bello in generale credo possa essere la sensazione di non aver soffocato troppi desideri, di aver provato ad ascoltarli. (Non esistono epoche limpide)".

I testi che compongono questo tuo “memoriale per il presente” sono stati pubblicati su Sette, in una rubrica che condividi con Avallone, Gamberale, Ciabatti. Come hai scelto i temi? Soggiace una “questione femminile” che non può essere ignorata, ma come credi possa essere posta perché non suoni come una voce che ci scambiamo “tra di noi che la conosciamo”, spesso perché la sperimentiamo sulla nostra pelle? Dici: “Potrei scrivere pagine intere sulla violenza delle parole che gli uomini rivolgono alle donne. Molte sono in questo libro”. Gli uomini non vogliono o non riescono a capire?

"Quando ho accettato di scrivere per la rubrica l’ho fatto perché mi veniva data completa libertà. Ho pensato ai libri Outside e Le monde extérieur. Outside 2 di Marguerite Duras, la scrittrice della mia vita, e forse per questo ho sempre immaginato che un giorno quei pezzi li avrei pubblicati. Forse per questo hanno sempre avuto la coerenza e la compattezza di un libro. I temi sono gli stessi dei miei romanzi, e in sostanza credo che ogni pagina di questo libro tocchi il cuore tematico della mia scrittura: lo stupore del venire al mondo, la sua condanna. Anche in questo caso la mia scrittura è sollecitata dalla realtà, come avviene nei miei romanzi. Qualcosa che accade nel presente, cioè in quel pezzetto di Storia in cui sono immersa, mi porta a scavare, anche dentro di me. Stavolta il personaggio sono io, ma come potrebbe essere chiunque altro. Sulla questione femminile: molti uomini mi hanno scritto dopo aver letto il libro. Forse perché in questo libro confesso anche il patriarcato che io stessa ho interiorizzato e di cui sono (stata) involontaria portatrice, confesso le mie stesse contraddizioni".

Nel libro si legge: “Io la rinnego, la natura, perché è più forte, è totalitaria, della mia individualità non tiene conto, mi ha dato un corpo destinato a schiudersi e una cognizione del dolore che gliel’ha impedito, mi ha destinata a voler vivere e sapere di dover morire, mi ha obbligata ad accettare che chi amo non sia eterno”.Dio, la natura, un disegno superiore, la propria traccia nel mondo (la scrittura, nel tuo caso). Come si tengono insieme? O non si tengono?

"Si tengono insieme nel senso che io scrivo perché Dio non c’è, o perché è muto, e oscuro, perché il suo eventuale disegno mi è incomprensibile e mi indigna, dato che non è logico (poteva fare meglio, essendo lui l’intelligenza per antonomasia) e soprattutto è crudele. Talmente crudele che lui non può dunque avere la caratteristica dell’assoluta bontà. Allora, al contrario di Sant’Anselmo, che lo dava per esistente perché a Dio, in quanto essere perfetto, non poteva mancare l’attributo dell’esistenza, io lo do per inesistente proprio perché gli manca l’attributo della bontà. O almeno: sono certa che non esista il Dio del Vangelo, cui tanto ho creduto da bambina. Che esista un motore immobile aristotelico non posso escluderlo, ma in quel caso non si occuperebbe di me né di nessun altro essere umano, ed è esattamente per questo che io scrivo".

Ti ho sentita dire qualcosa circa il fatto che questo tuo libro di riflessioni possa essere considerato un “libro sul padre”. In che senso? Di cosa siamo eredi? E di chi?

"Il mio primo romanzo era sul padre, e in fondo anche il secondo, in senso largo, perché della condizione di maschio e di pater familias raccontava anche la disgrazia, il peso schiacciante, non solo la colpa. In questo libro c’è mio padre con il suo amore introverso, il suo veto sul mio corpo, la sua distanza che poteva sembrare distacco e che invece da adulta ho letto come rispetto, c’è il confine sottile tra protezione e proibizione, un equilibrio che è sempre difficile trovare nella relazione genitori-figli e in fondo in ogni relazione importante della nostra vita".

Quanto è necessaria la scrittura per chi la esercita e per chi ne beneficia leggendo? Privatamente e socialmente, intendo.Il romanziere è avvezzo a dire attraverso le sue storie. Quando decide di fare quello che, mirabilmente, hai fatto tu con Nei nervi e nel cuore? Cioè esplicitare il pensiero e renderlo, in qualche modo, più ampiamente accessibile?

"Io non sento che in questo libro il pensiero sia più accessibile rispetto a quanto accade in un romanzo. È apparentemente più diretto, ma è comunque mediato da una storia, che di solito è mia, oppure riguarda persone che conosco, ma spesso riguarda anche personaggi di invenzione di cui ho letto o che ho visto al cinema. Semplicemente scrivere un romanzo è molto più difficile. Scrivere veri romanzi è difficilissimo. Ma il presupposto è lo stesso: guardare il mondo con una specie di verginità. Come se niente fosse mai dato per acquisito. Come se dal mondo si fosse un po’ fuori, con tutto quello che nel linguaggio comune “essere fuori” significa".

Che esista un motore immobile aristotelico non posso escluderlo, ma in quel caso non si occuperebbe di me né di nessun altro essere umano, ed è esattamente per questo che io scrivo Rosella Postorino

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