Rosella Postorino, con Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli, 2023), viene data per favorita nella corsa alla vittoria del Premio Strega di quest’anno. Lo Strega, si sa, è un premio ambito e complicato i cui meccanismi restano, per alcuni aspetti, sempre un poco misteriosi. Senza entrare nel merito (per ora) del romanzo, si può dire che Feltrinelli non vede un suo autore vincere il prestigioso riconoscimento dal 2005, con Maurizio Maggiani e Il viaggiatore notturno, ma questo – in realtà – non significa nulla.
Come non ha peso il fatto che Mi limitavo ad amare te, uscito all’inizio di quest’anno, abbia già incontrato un deciso favore di pubblico, anche perché, ad avere la maggiore responsabilità sull’esito del Premio, sono i famosi quattrocento Amici della Domenica, che del mondo editoriale fanno parte a diverso titolo.
Che dire però del romanzo di Postorino? Innanzitutto che, come sempre, la scrittrice mette sulla pagina un libro ambizioso, forse più ancora de Le assaggiatrici che le è valso il Campiello nel 2018 e che è rimasto impresso nella mente di molti lettori, raccontando l’umana, umanissima vicenda di Rosa Sauer, una delle assaggiatrici di Hitler.
Come lì, anche in questa nuova prova Rosella Postorino sceglie di intrecciare la Storia degli eventi con quella che a matrioska ne costituisce la grana: cioè la storia dei singoli e, come ha raccontato l’autrice in diverse occasioni, la vicenda prende a lavorare dentro di lei – quasi inconsapevolmente, ma con voracità–dopo aver letto una notizia. Nel caso di Limitavo ad amare te si è trattato di venire a conoscenza del fatto che nel luglio del 1992, quando la guerra nella ex Jugoslavia era iniziata da pochissimo, diversi bambini di Sarajevo, non necessariamente orfani ma che stavano in strutture di accoglienza, sono stati portati in Italia e affidati a centri o famiglie italiane per tutta la durata del conflitto (e oltre).
Ecco quindi come nasce la storia di Nada, una bambina senza un anulare della mano la cui timidezza cela una resistenza insospettabile, di Omar, il suo amico del cuore che dopo un’esplosione non ha più trovato accanto a sé la madre e che sarà perseguitato dalla mancanza, e, infine, di Danilo che a Nada promette di stare vicino per sempre ed è un ragazzo-uomo a tratti troppo ruvido: la Storia agisce su tutti loro ma, per assurdo, le vicende umane, troppo umane che Postorino immagina potrebbero prescindere dalla collocazione storica, perché hanno, come sempre – come nel desiderio d’amore e di maternità di Rosa Sauer, assaggiatrice del Führer – una matrice universale.
Postorino, qui, racconta cosa succede dentro l’animo di tre adolescenti e la bravura sta nel decidere che tutto questo si sarebbe svolto in quel luogo, in quel tempo, sotto lo strazio – lontano – di una guerra vicinissima che diviene, per la sua lontananza, ancora più feroce per chi non è ancora (adulto, in salvo, libero di determinarsi) e non è più (anche solo geograficamente nella propria terra).
Per far questo, cioè tenere tutto insieme – la Storia e le storie –, bisogna essere narratori molto consapevoli, cosa che Rosella Postorino è senza dubbio. Quando la letteratura italiana viene tacciata d’essere ombelicale bisognerebbe opporsi alla definizione con romanzi come questo. Non è dato solo a chi ha vissuto i fatti raccontare le storie, tutt’altro. “Mi limitavo ad amare te” è un verso del poeta bosniaco Izet Sarajlić della sua “Cerco la strada per il mio nome”: “Cosa facevo io mentre durava la storia? Mi limitavo ad amare te”.
Questo frammento d’infinito eternamente presente racconta Postorino: di come Omar, Nadia, Danilo ma anche i loro fratelli, genitori di sangue, genitori adottivi, e, di fondo, tutti noi esistiamo, e a questo sopravviviamo.
L’abbiamo intervistata.
“ Cosa facevo io mentre durava la storia? Mi limitavo ad amare te Izet Sarajlić