SCIENZA E RICERCA

La dipendenza patologica oltre le basi neurali

Chi più e chi meno siamo tutti dipendenti da qualcosa: dal doppio caffè della mattina, dalle sessioni di chat con gli amici, dalle serate su Netflix. È normale, e se non avessimo delle abitudini che ci fanno stare bene probabilmente la vita sarebbe molto più grigia. Il problema sorge quando la dipendenza diventa patologica, e la persona che ne soffre non riesce ad avere un'esistenza normale senza usare le sostanze o alimentare i vizi che un tempo la rendevano felice o almeno tranquilla, quando questa mancanza impatta sul lavoro e sulle relazioni sociali e quando si diventa disposti a tutto per ottenere la tanto agognata ricompensa. Quando parliamo di dipendenza patologica, possiamo intendere molte cose: ci sono le sostanze psicoattive come le droghe, il tabacco e l'alcol, ma ci sono anche tutte quelle abitudini che a volte non vengono considerate un problema dalle persone che ne sono affette, cosa che non succede, per esempio, con le droghe in senso stretto, almeno fino a quando le conseguenze non impattano pesantemente sulle condizioni di vita. Se per esempio il gioco d'azzardo sta ricevendo l'attenzione che merita e così anche i disturbi legati al cibo, ci sono altre dipendenze comportamentali più subdole come quelle da internet o da shopping.

Ma per quale motivo una persona diventa dipendente? Ci sono sicuramente delle cause biologiche, ma un ruolo molto importante è anche quello dell'ambiente oltre che, naturalmente, la disponibilità delle sostanze quando parliamo di tossicodipendenza e gli accadimenti della vita che possono spingere in questa  direzione. Per chiarire meglio come tutte queste dinamiche dialogano tra di loro abbiamo intervistato Stefano Puglisi Allegra, professore emerito di Psicobiologia a La Sapienza di Roma.

Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo

Le dipendenze spingono a mettere in atto alcuni comportamenti compulsivi, dettati da un bisogno da cui non si può fuggire in alcun modo. Indipendentemente dal fatto che entrino in gioco sostanze o meno, ci sono delle basi comuni a ogni dipendenza: "Negli ultimi decenni - spiega Puglisi Allegra - si è visto che le dipendenze hanno un sostrato biologico neurale comune, che risiede nel sistema nervoso. Il meccanismo che viene innescato è il sistema del reward, della gratificazione, che entra in gioco nella prima fase, cioè quella dell'uso. Successivamente, l'individuo comincia a sentire un'astinenza quando non può avere quella sostanza o vivere quell'evento, e quindi comincia a cercarli perché ne ha bisogno e perché, anche se solo provvisoriamente, aiutano il suo organismo a placare l’astinenza".

Ci sono infatti varie fasi che portano alla dipendenza, o per meglio dire all'addiction, che noi traduciamo, abbastanza impropriamente, come "dipendenza", ma che prevede anche azioni compulsive (la dipendenza vera e propria è la fase precedente all'addiction).
Alla base di tutto questo c'è sempre la ricerca di piacere, benessere e tranquillità o, viceversa, il tentativo di evitare l'ansia, la frustrazione e il dolore (esemplare il caso dell'abuso di antidolorifici che in America ha portato all'epidemia da oppioidi).
Ma cosa succede nel cervello quando una persona diventa dipendente? Puglisi Allegra precisa il ruolo della dopamina (un neuromediatore di cui abbiamo parlato di recente). Se c'è una carenza di soddisfazione e se si percepisce frustrazione diventa necessario attivare il sistema del reward per sentirsi appagati. Il problema è che poi insorge una sorta di adattamento e il sistema va a modificarsi: nel cervello avvengono dei meccanismi di neuroplasticità e con il tempo e con la ricerca continua dello stimolo vengono coinvolte le strutture sottocorticali, che coinvolgono alcune aree corticali nella ricerca compulsiva. Il risultato è che la vita dell'individuo viene indirizzata esclusivamente al raggiungimento di quella sostanza o di quell'evento e a questo punto si entra nella dipendenza vera e propria.

Parliamo di un meccanismo biologico, ma sarebbe sbagliato pensare che si tratti solo di questo, che la dipendenza sia un destino a cui le persone predisposte vanno incontro senza possibilità di salvezza. I fattori genetici, per esempio, sembrano avere un ruolo nella predisposizione alla dipendenza, ma altre variabili sono molto più determinanti: "Individui con un genotipo uguale - precisa Puglisi Allegra - possono andare incontro alla dipendenza oppure no. Per molto tempo si è pensato che gli aspetti genetici fossero importanti, e per certi versi lo sono, ma ci sono soprattutto altri fattori che portano alle dipendenze. Per prima cosa c'è l'esposizione alle sostanze, per poi proseguire con i fattori ambientali, ciò che accade nell'esistenza dell'individuo, le condizioni di vita, gli eventi stressanti e via dicendo".
Proprio per questi motivi alcune persone predisposte alle dipendenze possono anche non svilupparle mai: un ambiente funzionale, persone accoglienti, una buona gestione dello stress e altre variabili legate al contesto sociale possono tutelare l'individuo. E poi, ma non è questa la sede per discuterne, bisognerebbe fare un ragionamento sulla disponibilità delle sostanze per quanto riguarda le tossicodipendenze.

Se non ci fosse l'offerta della sostanza da abuso non ci sarebbe l'abuso. Sembrerà banale, ma è una cosa che dovrebbe farci riflettere Stefano Puglisi Allegra

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