SOCIETÀ
Dovremmo metterci più spesso una mano sulla coscienza, noi che possiamo
Dovremmo metterci più spesso una mano sulla coscienza, noi che possiamo. Le nostre mani esprimono un’infinità di espressioni comportamentali differenti, unendosi a un ingente numero di verbi e determinando significati che perlopiù hanno perso molto a che vedere con la manualità. Mettersi una mano sulla coscienza viene in vario modo definito come riflettere bene sia prima che dopo di una determinata azione, esaminare con onestà le possibili conseguenze dei proprî atti, valutare le proprie responsabilità, cose così. Noi ci posiamo anche la mano sugli effetti delle azioni, prima e dopo, perché le mani sono una cifra distintiva, un carattere peculiare delle specie umane. La coscienza, invece, non ce l’abbiamo solo noi fra gli animali, anzi richiama figure vitali antichissime e diffusissime. Noi delle coscienze biologiche ne abbiamo un tipo che rende possibile pensare bene almeno un poco, quando possibile, sia prima che dopo, rispetto alla catena articolata di reazioni e azioni in cui si inserisce un comportamento individuale.
Frasi idiomatiche simili esistono in varie altre lingue e una comparazione meriterebbe un accurato corposo studio sia linguistico che storico. Put a hand on your heart, la mano sul cuore è quasi un sinonimo in italiano, indica sincerità assoluta (truthful, genuine), accezione un poco diversa ma abbastanza coincidente visto che la sede della coscienza e della relativa responsabilità viene spesso abbinata alle connessioni del cervello con il cuore (sia fisiche che morali), posarci sopra la mano è la conseguenza. In realtà, la storia plurale del sapiente pensare ha individuato anche altri luoghi dell’anatomia che ospiterebbero la coscienza: fuori dalle discipline scientifiche testa e cuore restano i più gettonati, ma non hanno l’esclusiva e, volendo approfondire, è la coscienza stessa che ha tante definizioni scientifiche, aldilà delle anatomie e dei vocabolari. Non siamo i soli a essere coscienti e senzienti, tuttavia siamo gli unici ad autodefinirci sapiens, sicché sapienza e conoscenza sarebbero caratteri specifici e precipui delle coscienze umane e della nostra specie, una specie rimasta da circa quaranta mila anni l’unica sopravvissuta del genere Homo, bipede e manifatturiero il genere, tendenzialmente simbolici e cosmopoliti, generalisti e flessibili noi.
Ovviamente anche la coscienza (come la mano) si associa a molte differenti forme verbali, ne abbiamo di frequente esperienza e cognizione. L’ineffabile indefinibile coscienza umana richiama, spesso e comunque, una certa consapevolezza che un individuo sapiens o un gruppo di individui ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto (c. di sé; non ha c. di ciò che dice; popolo che ha c. dei propri diritti e dei propri doveri) e anche, più specificamente, la capacità di valutare le proprie doti e attitudini (avere c. delle proprie forze; ho c. dei miei limiti; non ha c. di ciò che vale). Dovremo quindi dare autonoma sapiente rilevanza alla consapevolezza del valore morale dell’operato, per un individuo e forse, separatamente, per una comunità di individui sapiens (anche se in quest’ultimo caso tende a essere illustrata solo attraverso discipline e termini giuridico-istituzionali o morali-religiosi o di usi e costumi).
Insomma lì, trovatelo il posto giusto e poi mettiamoci la mano. Sappiamo probabilmente molto, quasi tutto, su cosa sia e possa fare una mano, anatomicamente e metaforicamente, certò è abbastanza palpabile e la relativa fraseologia sterminata. Invece, come detto, meno sappiamo della coscienza e delle coscienze, noi sapiens ne discutiamo “animatamente” da millenni, la questione è più sfuggente e la fraseologia è ampia, seppur appunto diversificata per i diversi significati. Lo stesso cervello è organo complesso, un “coscienziometro” preciso non esiste e la collocazione del “sentire” è articolata, fluida nel corpo e graduale nell’encefalo, pesano ruoli diversi di emisferi, lobi, poli, di tronco e midollo, delle regioni frontali e parietali della corteccia (il cui ruolo complessivo è sempre più discusso). Il sistema nervoso centrale e periferico è nervoso.
Oltretutto, gli stimoli vengono e vanno, si ricevono attraverso i sensi e producono subito qualcos’altro di diverso, fisicamente e psichicamente, in termini di reazioni, elucubrazioni o ipotesi (che fra i sapiens sono pure associabili a culture e morali). La psicologia scientifica ed evoluzionistica è ben altra cosa da quella che pratichiamo correntemente nelle nostre relazioni personali e, talora alcuni, professionali. Ricerche sempre più approfondite sono in corso e, letterariamente, va giustamente molto di moda indagare sulla “natura” della coscienza. Il rapporto fra encefalo e mente è questione assolutamente interdisciplinare. Per esempio, Giorgio Vallortigara ha spesso notato che “le odierne neuroscienze combinano senza remore le tecniche di analisi delle discipline che operano al livello molare (come la psicologia cognitiva e l’etologia) con quelle che operano al livello molecolare (come l’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso)”.
Il cervello va ossigenato, è ovviamente e comunque “incarnato” nel corpo di un individuo vitale e immerso in un contesto di ecosistemi ricchi di fattori biotici e abiotici. Partire dall’anatomia o dalla filosofia non basta. Sono usciti moltissimi saggi, pure nell’ultimo decennio, spesso di neuroscienziati o di biologi evoluzionisti. Di recente, potete trovare in libreria o in biblioteca un testo acuminato e aggiornato, originale proprio perché le pagine contengono frequenti magiche figure e il testo continui punti interrogativi: Simona Ginsburg ed Eva Jablonka, Figure della mente. La coscienza attraverso le lenti dell’evoluzione, illustrazioni di Anna Zeligowski, traduzione di Francesco Peri, Raffaello Cortina Milano, 2023 (orig. Picturing the Mind, MIT 2022), pag. 199 euro 24 (grande formato).
Dentro e fuori di noi, coscienti o senzienti (sinonimi) sulla Terra. La biologia evoluzionistica può guidarci proprio nel labirinto del nesso imperscrutabile tra mente e cervello, tra lo psichico (stato di coscienza) e il fisico (irritazione del tessuto nervoso), suggerendo sempre nuovi quesiti e nuovi dubbi, domande più che risposte. L’approccio corretto prende le mosse da alcuni dei modi classici in cui abbiamo cercato di figurarci la coscienza e di concepire la natura della mente, soprattutto da due antiche concezioni di portata generale, il dualismo e il fisicalismo. L’orientamento naturalistico ed evoluzionistico impone di considerare tutti gli organismi vitali (batteri compresi) e di valutare bene la transizione dalle specie animali non coscienti a quelle coscienti, correlata all’emergere di una forma di apprendimento associativo aperto e illimitato, che caratterizza alcuni animali dotati di cervello, una vera e propria “premessa” ai caratteri sui generis e alle ripercussioni strabilianti e mostruose della coscienza umana.
Un simile approccio aperto ed evoluzionistico può utilmente far leva su una narrazione scientifica piana e matura, accompagnata seriamente da immagini visive (tavole illustrate e disegni ironico-giocosi) e immagini verbali (metafore vigilate con valore epistemico), per aiutare l’immaginazione e l’interpretazione a spaziare con maggiore libertà, dischiudendo altrettante prospettive sui molteplici risvolti della coscienza e passando in rassegna alcune varietà anomale che aiutano a spingersi verso le possibili espressioni future, come l’intelligenza artificiale e addirittura una coscienza in mondi virtuali o extraterrestri. Miscelando arte, filosofia e scienza le tre autrici stimolano davvero immaginazione e consapevolezza di noi lettori, rivelandoci svariati modi in cui si possono esplorare i paesaggi della mente.
Due esperte famose filosofe della biologia di formazione scientifica, entrambe di origine isaeliana, Simona Ginsburg (nata negli Usa, 1947) ed Eva Jablonka (nata in Polonia, 1952), con la “conforme” collaborazione della medica artista Anna Zeligowski (nata in Polonia nel 1952), anche lei di origine israeliana e ora residente in Puglia, hanno realizzato un testo efficace, interessante e fertile per renderci più coscienti sulla coscienza. Si tratta di una proprietà antica e diffusa tra gli animali, probabilmente evoluta per creare un nuovo insieme di obiettivi, visto che consente all’organismo di prendere decisioni flessibili e dipendenti dal contesto, raggiungendo obiettivi che altrimenti non sarebbero affatto riconosciuti come tali, e finisce per coincidere con la sua capacità di orientarsi in un territorio nuovo e complesso, per procurarsi cibo o trovare un partner. Un essere senziente possiede un’autonoma agentività; ha esperienze private, soggettive e coerenti; si preoccupa e si impegna per la propria sopravvivenza e riproduzione. Per le specie umane hanno fatto poi via via grande differenza l’evoluzione di sistemi simbolici, che includono la capacità linguistica.
Il volume si articola in cinque carrellate e “panoramiche”. Ciascuna di queste sezioni svolge dai dodici ai sedici argomenti, per un totale di sessantasette paragrafi brevi, discorsivi e ricchi di vividi punti interrogativi. Ciascun paragrafo è accompagnato da un’immagine, altrettante metafore visive che entrano in risonanza con il tema specifico svolto nel testo e con l’immaginazione del lettore, introducendo punti di vista supplementari, talora arricchiti anche da frasi in esergo, citazioni altrui e versi della poetessa inglese Jean Monet (ispirati alle tavole). Molto stimolanti nella quinta sezione i riferimenti alle presunte “anomalie”, alle lesioni cerebrali, ai deficit cognitivi e mnemonici, alle encefalopatie, alla fantascienza, alle menti prodigiose, alle sostanze psichedeliche, all’inconscio, ai robot. Indicazioni bibliografiche nelle puntuali note conclusive e buon indice analitico.
Le autrici collocano negli artropodi e vertebrati del Cambriano il primo punto di svolta, riprendendo Darwin (e Tomasello in riferimento all’agentività), periodo che, per un concorso di fattori geochimici, climatici e biologici, “ha visto insorgere una forma di vita paurosamente attiva, altamente interattiva e ferocemente competitiva: la vita animale come la conosciamo”. A giugno 2023 è uscita sulla Lettura del Corsera una bella conversazione, “La coscienza del pavone”, fra Telmo Pievani e una delle autrici, Eva Jablonka, che spiega: “La femmina di pavone sceglie il maschio con la coda più lunga e i motivi più colorati, simmetrici e luminosi. La sua capacità di discriminare, che è possibile secondo noi solo quando l’animale è cosciente, ha portato all’evoluzione di modelli complessi e diversi nel corpo maschile”.
Rispetto al futuro sottolinea: “Ogni salto tecnologico può essere utilizzato in modo improprio, portando a maggiori disuguaglianze, manipolazioni, sfruttamenti. In un mondo dominato dalle idee capitaliste, dove la crescita economica sembra essere il valore supremo, in un mondo in cui molti leader promuovono attivamente l’egoismo, il razzismo e il sessismo, è necessario preoccuparsi del modo in cui ci troveremo immersi in realtà virtuali che possono essere controllate da manipolatori”. Anche una manipolazione viene a proprio modo dalle mani, non a caso nel testo delle tre autrici c’è un colto paragrafo su “mani, utensili e memoria come estensione della mente” ove fra l’altro si ricorda che in ebraico “la parola yad, mano, significa anche monumento e memoriale. È la mano a creare e trasmettere la memoria condivisa”. Manipoliamo con coscienza, dunque. Mettiamo la mano più spesso sulla coscienza, orsù.
Gli inviti a comportarsi secondo coscienza, correttamente spesso si accompagnano a un conflitto di interesse: non fare così perché urta la mia di coscienza e di esistenza. Gli studi sulla coscienza umana non possono che sfociare, a un certo punto, nelle relazioni fra le coscienze fisiche e nella dimensione della coscienza collettiva; tornare dall’anatomia verso la filosofia (per quanto entrambe non bastino), espandersi verso la geografia e la storia, la psicologia relazionale e di massa, la sociologia e il diritto, la politica e le dinamiche internazionali. Il troppo pensare, il flusso cosciente di pensieri impedisce, tuttavia, una riduzione ai processi chimici e meccanici, invade altri campi: intenzionalità, razionalità, esperienze, introspezioni, meditazioni; e poi libertà controllo sogni aspirazioni illusioni, dolori gioie amori odi, chi più ne ha ne metta (di mani sulla coscienza).
Educarsi a mettere la mano sulla coscienza, prima e dopo un comportamento individuale, è abbastanza complicato e non garantisce un vantaggio personale certo. Inoltre, ci si può comportare non bene anche se qualcuno agisce secondo la (propria) coscienza, in tutto o in parte. Il comportamento umano non è vantaggioso o produttivo in sé, risulta sempre un poco “imperfetto” e può essere improduttivo o persino autodistruttivo. Potremmo dire che usare mindfulness determina forse spesso un vantaggio collettivo per la comunità di cui si fa parte. Oltretutto, chi è abituato, formato, educato a praticarla “fa gruppo” e provoca perlopiù una reciprocità, almeno rispetto a chi ha altre abitudini comportamentali.