Silvia Ballestra fa cappotto: in dozzina allo Strega e in cinquina al Campiello con La Sibilla. Vita di Joyce Lussu (Laterza) si fa esempio di quella scrittura ibrida a cavallo tra il saggio e l’afflato del romanzo che contraddistingue, come hanno evidenziato i giurati del Campiello, molta della letteratura recente.
Mette infatti sulla pagina la biografia appassionata ed entusiasta dell'avventurosa Joyce Salvadori, moglie del famoso antifascista sardo Emilio Lussu, e da allora conosciuta come Joyce Lussu, personaggio che la scrittrice ha conosciuto – la prima settantanovenne quando la seconda aveva solo ventun anni, un mese dopo l’uscita del suo primo libro.
C’è quindi il desiderio da parte di chi scrive di tenere memoria e di raccontare “un mito”.
La personalità di Joyce è infatti poliedrica: figlia di antifascisti anglo marchigiani, partigiana, agente segreto, politica, poetessa, scrittrice femminista avant-lettre, instancabile viaggiatrice – con tutti i mezzi (specialmente a piedi) – è una figura composita, a tratti “british” date le ascendenze familiari, per certi versi tipica delle donne emancipate del Novecento. Impossibile non restarne affascinati, quindi, e Ballestra, in questo suo resoconto, fa capire al lettore perché.
Pensando al legame di Joyce con Lussu, autore di romanzi di grande successo come Un anno sull'altipiano o Marcia su Roma non si può non riandare a rapporto di un’altra più famosa emancipata, Simone De Beauvoir, con il suo Jean Paul Sartre, questi due invero molto più borghesi. Joyce era maledetta dal mondo cattolico di allora, ma accettata nell'universo politico progressista del secondo dopoguerra. Solo fino a un certo punto, però. Quando Joyce pensa di far politica al femminile, chiamando le donne essere protagoniste, trova un muro di gomma invalicabile: le donne in politica sono delle “ausiliarie”, le madri di famiglia si possono iscrivere al partito e votare, ma è bene che siano a casa ad “accudire il focolare domestico”, non diversamente da quanto dice da sempre la Chiesa. Joyce batte quindi altre strade, diventando traduttrice di poeti rivoluzionari, come il turco Nazim Hikmet, gli africani Agostinho Neto e Marcelino dos Santos, e poi anche curdi, eschimesi e altri ancora. È una traduttrice singolare, invero, che qualche volta non conosce la lingua ma conosce il poeta o il traduttore del poeta, e lo interpreta senza scrupoli accademici.
Joyce dalla penna di Ballestra emerge come una creatura eccezionale e non certo come prodotto di quel romanticismo femminile che da noi ha portato Anita Ribeiro a diventare la famosa Anita Garibaldi o a vedere come iconiche le donne del Risorgimento, eppure c'è da chiedersi: da dove potrebbe partire Joyce? Quale background potrebbe avere se non quello risorgimentale?
“ E sono di nuovo su quel treno di tanti anni fa, che corre lungo il mare nella notte, sotto la cometa, continuando a pensare a Joyce, a Emilio, alla loro vita luminosa Silvia Ballestra