Le perfezioni di Vincenzo Latronico (Bompiani) non è precisamente un romanzo o, meglio, non ne ha il respiro perché non ne ha le intenzioni, eppure affascina ugualmente il lettore.
La sensazione di chi legge non è infatti quella di immergersi in una storia, ma di trovare un umore, verificare l’esistenza di un modo d’essere, indagare il fondamento di una supposizione, il tutto attraverso l’affastellarsi di dettagli sempre puliti, sempre pertinenti, sempre ben formulati.
Le perfezioni si apre con una carrellata di immagini: sono le foto di un appartamento berlinese caricate su Airbnb, e sono perfette, come tutto quello che viene “venduto” su Internet. Ma se alla guisa di Internet oggi fosse la vita tutta a essere venduta? E quindi trasformata in perfetta anche quando – a maggior ragione – non lo è?
Latronico indaga questa possibilità attraverso la vita di Anna e Tom, che vivono a Berlino ma provengono dall’Italia, e vedono il loro presente sciorinarsi secondo le dinamiche di quella “perfezione” che il mondo d’oggi richiede. Felicità, flessibilità, possibilità di scegliere cosa, dove e quando, colori nitidi e nessun ripensamento.
“Anna e Tom erano dei creativi. Il termine sembrava vago e urticante anche a loro. I loro titoli professionali variavano ma anche in patria sarebbero stati in inglese. […] Internet era entrata nell’età adulta nel momento in cui l’avevano fatto loro. […] Erano cresciuti in un orizzonte di idee in cui l’individualità si manifestava attraverso uno schema di differenze visive, immediatamente decodificabili e in perenne rinnovamento. Erano arrivati attrezzati al momento in cui quel desiderio di esprimere ciò che ci rende speciali si era esteso dai profili dei ragazzini ai marchi, alle aziende, ai negozi e ai professionisti del mondo intero […] Anna e Tom capivano questo bisogno in modo istintivo. In qualche misura era anche per questo che si erano trasferiti a Berlino. Dopo gli studi e gli inizi di carriera, la vita in una città grande ma periferica nel sud dell’Europa cominciava ad apparire monotona”.
Eppure, come in un’eterna Samarcanda, proprio sui luoghi di quelle foto perfette di un appartamento cosmopolita si posa la polvere, sulle vite ammalianti di chi non ha voluto definizioni scende la noia del progetto magnifico (una vita d’assalto) che non si compie: resta la fuga – un nostos in patria – e la sua magnificazione social – foto di luoghi, di pranzi, di attimi immortalati –. “Le immagini erano sempre incantevoli, sempre invitanti […] Eppure qualcosa nello spirito era cambiato. Un tempo, guardando immagini come quelle con la consapevolezza di quanto fossero frustrate e infelici le persone che le avevano scattate, si sarebbero sentiti manchevoli, in colpa: come se la realtà delle foto dovesse avere la meglio sui loro sentimenti, e l’incapacità di godersi una vita tanto desiderabile rivelasse una qualche carenza nel loro carattere. […] Ora quelle immagini gli sembravano una truffa”.
Latronico sa che qualsiasi lettore un po’ avvezzo al pensiero critico ha fatto queste riflessioni almeno una volta. E allora come uscirne?
Con la nostalgia di quando il sogno era possibile perché ancora da realizzare, ancora intentato, in fieri. Rendendosi conto che “quell’abbondanza risultava da un’intersezione specifica fra la storia della città [che avevano scelto] e quella della loro vita” e comprendendo che “l’impossibilità di accedere a una versione oggettiva del passato facendo la tara alla nostalgia, sarà l’esperienza della nostalgia”.
Abbiamo chiesto di più all’autore:
“ l’impossibilità di accedere a una versione oggettiva del passato facendo la tara alla nostalgia, sarà l’esperienza della nostalgia Vincenzo Latronico