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Elezioni 2024: l’Indonesia del nichel, del carbone e della deforestazione

A metà marzo l’Indonesia ha ufficializzato l’esito delle elezioni di febbraio: ne è uscito vincitore Prabowo Subianto, già ministro della difesa del governo uscente, che ha promesso continuità con le politiche degli ultimi anni, incluse quelle climatiche, energetiche e ambientali.

Nonostante una popolazione giovane (l’età media è al di sotto dei 30 anni), il cambiamento climatico non è stato un argomento a cui è stata riservata particolare attenzione in campagna elettorale. L’Indonesia è uno snodo fondamentale sia per la transizione energetica sia per la tutela della biodiversità, ma le (poche) iniziative che andrebbero verso la sostenibilità sono state per lo più inquadrate come questioni di interesse economico ma non ambientale.

L’arcipelago del sud-est asiatico è il primo esportatore di carbone al mondo, con oltre 500 milioni di tonnellate che partono dai porti, come quello di Banjarmasin, a prezzi anche tre volte inferiori al carbone australiano. La più emissiva e inquinante delle fonti fossili viene venduta soprattutto ai due Paesi che più voracemente la consumano, Cina e India, che restano anche i primi produttori globali, davanti proprio all’Indonesia.

Un terzo dei circa 775 milioni di tonnellate di carbone prodotto in Indonesia nel 2023 è rimasto però entro i confini nazionali, per alimentare centrali (molte delle quali nemmeno connesse alla rete) che forniscono più del 60% dell’elettricità del Paese.

Le emissioni indonesiane, che sono nell’ordine di 1 miliardo di tonnellate di CO2 annuo (c’è margine di incertezza nei dati), sono raddoppiate dall’inizio del nuovo millennio e le proiezioni di Climate Action Tracker dicono che continueranno a salire nei prossimi anni. Il Paese si è solo parzialmente impegnato a raggiungere la neutralità climatica entro il 2060, senza fornire tuttavia dettagli su come farlo.

La crescente domanda di energia serve a soddisfare un’altra domanda che sta aumentando sempre di più: l’estrazione e la lavorazione del nickel dalle miniere indonesiane, una componente fondamentale ad esempio delle batterie che servono alla transizione energetica globale, a partire dal mercato dei veicoli lettrici.

Già a partire dal 2009 Jackarta ha gradualmente ridotto, fino a bandirle nel 2020, le esportazioni del minerale grezzo, per favorire la crescita di una filiera di lavorazione su suolo nazionale che consenta di vendere un prodotto sul mercato con valore aggiunto. L’Unione Europea sta provando a contestare questa scelta presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

L’Indonesia intende anche far crescere l’industria nazionale di veicoli elettrici e di rendere interamente green Nusantara, città in costruzione che sarà la nuova capitale a partire dal 17 agosto 2024 (giorno dell’indipendenza). L’iniziativa tuttavia è stata presentata come una priorità per lo sviluppo economico e non come una questione di interesse ambientale, ha commentato su Nature Ika Idris, direttore del centro indonesiano Monash sul cambiamento climatico.

Sebbene l’arcipelago presenti le condizioni per puntare sulle fonti rinnovabili, le carenze infrastrutturali della rete elettrica e le difficoltà nel risolverle hanno fatto sì che l’Indonesia, a differenza dei vicini cinesi e indiani, non abbia ancora vissuto il boom di solare ed eolico, che gradualmente dovrebbero arrivare a sostituire il carbone.

Qualcosa inizia a muoversi, ma troppo poco. Nel 2023 è diventato operativo il più grande impianto fotovoltaico galleggiante del sud-est asiatico nella riserva idroelettrica di Java occidentale. Ai quasi 200 MW installati si conta di aggiungerne altri 500 nella seconda fase del progetto.

Le rinnovabili in Indonesia sono cresciute nel 2022, ma l’obiettivo di far loro generare quasi un quarto dell’energia elettrica nel 2025 probabilmente non verrà raggiunto. Per far crescere l’energia pulita servono investimenti che il Paese da solo non è in grado di sostenere, o sceglie di non sostenere, puntando su fonti più sporche ma più a buon mercato. Alla transizione energetica indonesiana servono i fondi della finanza climatica dei Paesi industrializzati: secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, 90 miliardi di dollari l’anno entro il 2030.

Una legge approvata nel 2022 contribuirà ad accelerare l’adozione di soluzioni rinnovabili, mentre a inizio 2023 è stato introdotto un sistema di scambio e riduzione delle emissioni, analogo all’ETS (Emission Trading Scheme) europeo. Tali misure tuttavia non sono sufficienti per un impegno climatico adeguato: Climate Action Tracker sostiene che se tutti i Paesi facessero come l’Indonesia il pianeta si riscalderebbe di oltre 4°C rispetto all’era pre-industriale. Senza un sostanziale cambio di passo, l’espansione del mercato del nickel continuerà a venir alimentata a carbone.


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Nonostante l’Indonesia ospiti uno dei patrimoni forestali più grandi al mondo, dopo quello amazzonico brasiliano e quello congolese, il bilancio di assorbimento di anidride carbonica del suolo e delle foreste dell’arcipelago asiatico è nettamente in negativo. Significa che invece di catturare CO2, rilasciano in atmosfera una quantità pari a circa la metà delle emissioni annuali del Paese: anche in questo caso i dati variano molto di anno in anno, ma sono anch’essi nell’ordine di 1 miliardo di tonnellate di CO2.

La causa principale è la deforestazione, che secondo Global Forest Watch a partire dal 2016 procede più lentamente, ma è sempre spinta dall’estrazione di risorse. Gli incendi vengono appiccati per liberare terreno da destinare alla coltura di palme da olio, che in Indonesia servono ad alimentare soprattutto l’industria dei biocarburanti.

La riduzione della deforestazione può però essere la via per ridurre le emissioni. Nel 2019 è entrata in vigore una moratoria che proteggerebbe più del 40% della superficie forestale nazionale. La sua efficacia però è stata messa in discussione. Norvegia e Stati Uniti, tra gli altri, hanno sostenuto progetti REDD+ che creano crediti di carbonio per ogni tonnellata di CO2 non emessa dalle foreste. Spesso però i conti non tornano.

Troppo carbone e troppa deforestazione portano l’Indonesia a sbandare vistosamente rispetto alla traiettoria ideale individuata dall’accordo di Parigi. Il Paese vuole legittimamente veder accelerare il proprio sviluppo economico, ma affinché questo sia sostenibile anche dal punto di vista ambientale necessita di investimenti, anche e soprattutto della parte industrializzata del mondo. Servono ad esempio le infrastrutture per una rete elettrica in grado di accogliere quote crescenti di fonti rinnovabili per quel percorso di decarbonizzazione, già avviato da Cina e India, che in Indonesia stenta ancora a partire.

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