Peccato che chi legge solo su carta non possa godere dell’ultima fatica di Paolo Zardi, romanziere prolifico, e – nel suo modo – tradizionale e sperimentale insieme, ma sempre originale.
In questa sua opera di 180.000 battute (uscita per Kobo Original, la casa produttrice di ereader che è diventata anche, da poco, editore di ebook e audiolibri), infatti, il romanziere fa il tentativo – che a colui che di mestiere “inventa” deve riuscir bene anche quando descrive storie e personaggi lontani dalla sua esperienza – di immedesimarsi in tre diversissime donne colte nel momento in cui il tratto distintivo per il loro genere (o uno dei), essere procreatrici cioè, si manifesta. Così, nel racconto di Zardi, Anita, Giulia e Sara, tutte discendenti di quell’Eva primigenia che avrebbe in comune idealmente con loro un frammento di patrimonio genetico, sono il frutto narrativo uno sguardo disincantato (e insieme ingenuo) di come un uomo immagini l’universo femminile colto in quello gli risulta il mistero più grande: il momento in cui aspettano un figlio.
“Eva esiste – si legge – La madre di tutte le madri. Tutti portiamo una minuscola traccia del suo DNA in ognuna delle nostre cellule. Non c'è nessuna ricombinazione – lo sperma dell'uomo non arriva a portare in dote i suoi mitocondri. Di mamma in mamma. Ogni volta che si fa una figlia, ogni volta che voi fate una figlia, si spinge un po' più in là l'informazione che ci ha trasmesso questa Eva. È fantastico”.
copertina del romanzo di Paolo Zardi
Tra le protagoniste, come tra le donne tutte, di avere un figlio c’è chi lo desiderava e chi no, chi l’aveva programmato e chi decide di programmare nel momento esatto in cui lo scopre, chi sceglie di affidarsi alla natura e chi alla mente, anzi di più alla scienza. Come ne L’invenzione degli animali Zardi sceglie la strada dell’analisi razionale e rinviene per i suoi personaggi una “teoria evolutiva” che però è sempre da validare.
“Si trattava di un modo diverso di guardare la vita – chiosa uno dei personaggi più spirituali della storia – di decidere dove posizionarsi all'interno di quella linea che congiungeva batteri e uomini, filamenti di DNA all'organizzazione multicellulare. La cultura era una conquista recente e la felicità, di questo ne era convinta, piantava le sue radici nei substrati più profondi della vita”. E quel che si evince, e che tutti sappiamo in realtà, è che le domande di fondo – che siano fatte guardando il prossimo o distopico futuro, o il trapassato, – sono sempre le stesse. Tra queste, suprema: cosa porta due esseri umani ad accoppiarsi per procreare? Cos’è, in definitiva, l’amore? Compare 25 volte, questa parola - amore -, nel romanzo. E la risposta, sappiamo anche questo, non esiste: “Non c'entravano il numero di cromosomi, la normalità e la presunta normalità: erano la fragilità e la forza di quella fragilità; la voglia disperata di vivere e qualcosa che aveva a che fare con la dignità della vita stessa, il cui sguardo non poteva essere evitato. I figli ti dicevano che non era sufficiente l'amore: bisognava sprofondarci dentro fino al collo, e poi ancora più sotto, fino a perdere il respiro”.
Abbiamo intervistato l’autore.