Forse alcuni di noi hanno una concezione della società che si ispira al concetto di homo, homini, lupus, che prevede che gli esseri umani si combattano costantemente per sopravvivere. Eppure fin dai primordi l'uomo sapiens ha manifestato una certa tendenza alla cooperazione, che ha portato all'evoluzione di una specie piuttosto collaborativa. Certo, nei secoli si cambia, ma una ricerca pubblicata su Scientific Reports dimostra che quando chiediamo piccoli favori le persone sono più propense ad accettare che a rifiutare e comunque, anche quando lo fanno, spiegano il motivo. Questo lavoro ha un respiro internazionale: ha coinvolto più di 350 persone in luoghi diversi per lingue e cultura cioè città in Inghilterra, Italia, Polonia e Russia e villaggi rurali in Ecuador, Ghana, Laos e Australia aborigena. In questo modo si è potuto anche individuare il ruolo della cultura in queste interazioni, oltre che il legame tra i membri del campione analizzato. Per parlare di questo lavoro abbiamo intervistato Giovanni Rossi, primo autore della ricerca e sociologo all'Università della California (UCLA).
L'intervista a Giovanni Rossi, sociologo all'Università della California (UCLA). Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar
Per prima cosa precisiamo che la ricerca riguarda piccoli gesti di gentilezza, cioè azioni a basso costo, come per esempio passare un utensile all'altra persona mentre cucina, e non le azioni su cui si era concentrata la ricerca precedente, che presupponevano un sacrificio maggiore, come potrebbe essere la divisione di un bottino di caccia.
"Dividerei in due parti la ricerca precedente - precisa Rossi - perché una è la ricerca antropologica ed etnologica degli ultimi anni dell'Ottocento e dei primi del Novecento, che era di tipo qualitativo. Significa che i ricercatori andavano nelle comunità oggetto di studio e prendevano nota e documentavano differenze e somiglianze nella gestione della cooperazione, dell'assistenza e dell'aiuto reciproco. La seconda parte riguarda invece una ricerca più recente, dagli anni Duemila in poi, incentrata sulla psicologia e condotta da antropologi più evolutivi. L'approccio era sperimentale, e venivano sviluppati dei giochi economici da cui venivano tratti i dati: è una ricerca di tipo sistematico, strutturata per essere comparativa, ed è quella da cui siamo partiti noi e che ha documentato delle differenze culturali importanti in questi fenomeni. L'approccio di questo tipo di ricerca è diverso dal nostro, però noi possiamo rapportarci con lei in modo più diretto, perché anche la nostra ricerca è di tipo comparativo".
La ricerca più recente aveva fino a ora trattato quelle azioni che presupponevano un sacrificio maggiore, mentre quella di fine Ottocento aveva riguardato anche gesti più piccoli, ma utilizzando dei metodi molto diversi che rendono più difficile un esame comparativo dei risultati. Se per contenuto il lavoro di Rossi e dei suoi collaboratori è più vicino alla ricerca più antica, non può esserle paragonata per ragioni metodologiche: sotto questo punto di vista l'approccio, comparativo e quantitativo, è più vicino alle ricerche più recenti.
Queste si basano su giochi economici elaborati al computer: agli individui vengono offerti dei soldi che decidono come gestire, se darli o meno ad altri partecipanti all'esperimento e in che quantità, dimostrando quindi un maggiore o minore altruismo.
"Da questi giochi economici - spiega Rossi - è emerso che le diverse culture hanno regole e norme sociali molto diverse tra di loro. Per esempio nel Clan Orma, una popolazione keniana del Corno d'Africa, più ricco sei più generoso devi essere quando per esempio viene richiesto aiuto per la costruzione di una scuola o di una strada. In Papua Nuova Guinea, invece, questo non potrebbe mai succedere, perché se qualcuno ti dà di più tu lo percepisci come un debito molto grosso, anche se quella persona è più ricca. I cacciatori di balene in Indonesia prevedono una divisione equa e meticolosa, mentre alcune popolazioni africane, in particolare in Tanzania, sono restie a condividere, soprattutto il cibo e la carne, e se lo fanno è solo perché non vogliono diventare oggetto di maldicenze".
Nel caso di azioni ad alto investimento, quindi, la cultura ha un ruolo molto importante. Non è così per i piccoli gesti di gentilezza studiati da Rossi e dai suoi colleghi.
Queste richieste sono molto frequenti in tutte le culture prese in esame, anche se vengono esaudite in modalità leggermente diverse (in Italia e in Occidente si tende a verbalizzare l’assenso all’aiuto, ad esempio dicendo “Sì” o “Certo”, mentre altre popolazioni tendono semplicemente ad esaudire la richiesta senza commento). Per dare un numero, ogni due minuti viene richiesto un piccolo aiuto e nel 79% dei casi la persona interpellata acconsente (l'assenso è quindi 7 volte più frequente del rifiuto, che avviene nel 10% dei casi, e dell'ignoranza della richiesta, nell'11% dei casi). La cultura riesce comunque a ritagliarsi un piccolo ruolo, perché i parlanti Murrinhpatha dell'Australia settentrionale tendono a ignorare relativamente più spesso le richieste rispetto agli altri gruppi presi in esame.
Questo tipo di comportamento è coerente con l'idea che l'atteggiamento cooperativo abbia aiutato il genere umano durante l'evoluzione: chi ha la possibilità di aiutare gli altri di solito lo fa, indipendentemente, tra l'altro, da eventuali legami di parentela, e quando deve rifiutare spiega le proprie ragioni (di nuovo, indipendentemente dalla cultura di provenienza).
Scoprire che la cultura in questo caso ha un ruolo marginale fa pensare che il comportamento prosociale sia una costante del genere umano, almeno per quanto riguarda le azioni a basso costo, e in effetti, come ricordavamo, la capacità di cooperazione degli esseri umani ha favorito la loro evoluzione.
Ma come si è arrivati a queste scoperte? I ricercatori hanno analizzato 40 ore di registrazioni che coinvolgevano più di 350 persone (amici, parenti o semplici vicini) in luoghi molto diversi tra di loro per lingua, geografia e cultura. Sono state prese in considerazione solo le interazioni informali e sono state escluse le combinazioni di individui già precedentemente analizzate.
"Poi - precisa Rossi - abbiamo trascritto i dati, e per certe culture che non hanno una tradizione scritta bisognava lavorare moltissimo con i locali per comprenderne meglio la lingua. Poi ci siamo ritrovati tutti insieme, abbiamo osservato i dati trascritti e preso dei piccoli campioni da tutte queste registrazioni e abbiamo fatto un'analisi approfondita di tipo qualitativo, cercando di identificare i pattern e le tendenze che emergevano dai dati. Dopo abbiamo sviluppato un manuale per codificare sistematicamente i video e abbiamo controllato che questa codifica fosse coerente per tutti gli otto ricercatori coinvolti. Per finire siamo passati all'analisi statistica".
Questo studio apre molti scenari, sia dal punto di vista linguistico sia evolutivo. I prossimi passi potrebbero essere quelli di studiare meglio i meccanismi di verbalizzazione di richieste e risposte e di approfondire il ruolo della cultura e dell'evoluzione in dinamiche ad alto costo.