SCIENZA E RICERCA

Tra green road e contratti onerosi: l'intricata strada delle pubblicazioni scientifiche

Il caso limite, ma emblematico della situazione, è quello di Springer Nature e delle riviste collegate che, in Germania, ha trovato un accordo per permettere agli scienziati degli istituti tedeschi di poter pubblicare articoli immediatamente open access. C’è un’unica clausola, inevitabile, che è quella di una quota da pagare. Non è più il pubblico quindi a dover sborsare per leggere un articolo, ma l’istituto per poterlo pubblicare. Una pratica, quella dell’agreement, che non è certo una novità ma, secondo una stima fatta dallo stesso giornale scientifico, se tutti i 120 istituti tedeschi ora abbonati a Springer Nature si iscrivessero con questo nuovo accordo, verrebbero pubblicati circa 400 nuovi articoli all’anno, un numero che rappresenterebbe solamente il 3,5% di tutti i papers pubblicati su Nature e riviste collegate. Questo significa che il costo per ogni articolo da pubblicare in modalità open access sarebbe di 9.500 euro.


Una svolta che quindi, seppur stimati, ha dei numeri e degli importi economici decisamente rilevanti. Ma come si è arrivato a tutto ciò? Come ha dichiarato sulle pagine di questo giornale Giovanni Destro Bisol “analizzando la letteratura scientifica prodotta nei sei mesi che hanno seguito l’esordio della pandemia, è stato osservato che il numero dei lavori pubblicati sul coronavirus (quasi 14.000) è quasi dieci volte superiore alla somma di quelli sulle più recenti epidemie virali, quali la SARS, l’influenza aviaria, la sindrome respiratoria medio-orientale e  l’influenza suina. È un dato che dimostra, innanzitutto, l’enorme capacità di risposta della comunità scientifica all’emergenza coronavirus. Ma c’è qualcosa di  ancora più interessante: quasi il 90% delle ricerche sul coronavirus è stato pubblicato in accesso aperto e immediato, anche sulle riviste più prestigiose come Nature e Science”.

Quasi il 90% delle ricerche sul coronavirus è stato pubblicato in accesso aperto e immediato

Le ricerche pubblicate su Nature e sulle sue riviste associate infatti, sono sempre state disponibili con un paywall. In aprile però, l’editore Springer Nature ha deciso che avrebbe offerto dei contenuti a libero accesso per alcune sue riviste, in modo conforme con il Plan S. Il Plan S è un’iniziativa di cOAlition S, cioè un consorzio di 20 organizzazioni per il finanziamento della ricerca, sostenuto dalla Commissione europea e del Consiglio Europeo della Ricerca (CER). L’obiettivo del Plan S è quello di rendere open access, dal 2021, tutte le pubblicazioni scientifiche finanziate con fondi pubblici”.

L’accordo di Springer Nature verrebbe a costare circa 9.500 euro, un costo così alto, molto più alto di altre riviste meno selettive, sarebbe motivato, secondo la rivista, dal fatto che il 60% del tempo degli editori viene speso per valutare articoli che poi non vengono pubblicati, con un tasso di rifiuto del 92% per quanto riguarda le proposte a Nature o riviste riferibili a Nature stesso. “Nell’accordo però la situazione più infernale è per il ricercatore, che deve trovare i soldi per fare la ricerca, farla e poi dover pagare per pubblicarla - ha dichiarato Giovanni Destro Bisol -. I grandi publisher hanno margini di profitto anacronistici e rischi d’impresa molto bassi. Di fatto poi non c’è una competizione perché i pochi grandi publisher hanno praticamente il monopolio. Generalmente quindi con questi nuovi agreement la concessione del publisher è quella di dare la pubblicazione senza pagare in open access, il problema è che sono comunque contratti molto onerosi. Purtroppo ci sono pochi modelli di gruppi di ricercatori che possono garantire la revisione paritaria e al tempo stesso non essere sfruttati”.

Nell’accordo la situazione più infernale è per il ricercatore, che deve trovare i soldi per fare la ricerca, farla e poi dover pagare per pubblicarla Giovanni Destro Bisol

Ci sarebbe una strada però per i ricercatori. “E’ la green road - continua Giovanni Destro Bisol -, ed è una misura non trascurabile che passa attraverso l’impegno dei ricercatori. Loro hanno questa possibilità (cioè quella di archiviare il lavoro all’interno di un repository istituzionale, anche del proprio ente,  dando una concessione gratuita ndr) ma molte volte sono loro stessi a non metterli in condivisione per i motivi più disparati, o non hanno tempo o credono che non sia una cosa importante o comunque le loro università non li gratificano in merito. L’altra via è quella appunto dei trasformative agreement, cioè il rinegoziare da parte delle università e centri di ricerca i contratti con i grandi publisher cercando di spuntare delle condizioni per cui i propri ricercatori possono pubblicare su quelle riviste in modo gratuito o quasi. Il mio punto di vista però è che anche in questi accordi è il ricercatore che deve trovare i soldi per fare la ricerca, farla e poi metterla sul piatto d’argento di un publisher che, o ti fa pagare per pubblicare in open access o ti fa pagare per pubblicare non in open access come fanno le grandi riviste come Nature, Science ed altre. Non tutte le riviste open access sono a pagamento, non sono tantissime ma ci sono”.

Dover pagare per pubblicare è una cosa scandalosa Giovanni Destro Bisol

“Dover pagare per pubblicare francamente è una cosa scandalosa - conclude Giovanni Destro Bisol -. O ci sono dei fondi dedicati per l’open access, ma in Italia non accade se non solo a volte a livello di fondi europei, o significa che vai a levare fondi per fare contratti e fare ricerca. E’ giusto che non ci sia chi seduto ad una scrivania lucri sul lavoro degli altri. Il futuro deve partire dai ricercatori. C’è un ampio margine che può essere colmato con la buona volontà da parte dei ricercatori ed un supporto tecnico delle università per garantire un sito web che permetta ai lavori di essere indicizzabili. Nei ricercatori c’è ancora una scarsa sensibilità nella open science. Questa però garantirebbe meglio la qualità della scienza perché essendo disponibile a tutti, tutti possono essere controllati, senza contare l’aspetto meritorio di rendere disponibile la scienza a tutti. Sarebbe inoltre importante che le università perseguissero questa strada in modo unito”.

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