SCIENZA E RICERCA
Impianti nucleari civili in guerra. Norme internazionali e situazione in Ucraina
La centrale nucleare di Zaporizhzhya in Ucraina. Foto: Reuters
La mattina del 24 febbraio scorso alle 6.41 il Centro incidenti ed emergenze dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) venne informata dall'Ispettorato statale ucraino per la regolamentazione nucleare (SNRIU) dell'imposizione della legge marziale sul paese e di un'allerta per il sito nucleare di Chernobyl, occupato da truppe russe. La comunicazione è avvenuta sulla base della Convenzione sulla tempestiva notifica di un incidente nucleare del 26 settembre 1986.
L’elemento sostanziale della Convenzione è l’obbligo per lo stato in cui avvenga un incidente nucleare di notificarlo immediatamente agli stati che sono o potrebbero essere fisicamente coinvolti, direttamente o per il tramite della IAEA. Poiché per "incidente nucleare" si intende qualsiasi evento che comporti, o possa comportare, il rilascio transfrontaliero internazionale di materie radioattive, la vicinanza del sito con la Bielorussia e la possibilità che operazioni militari comportassero emissioni radioattive hanno motivato la denuncia alla IAEA da parte dello SNRIU. La IAEA ha informato i vari paesi attraverso lo specifico sistema di comunicazione per emergenze e ha attivato le strutture preposte alla gestione delle emergenze nucleari in modo da mantenere sotto controllo i vari impianti nucleari ucraini.
Il giorno 4 marzo l'Ucraina ha informato la IAEA che forze russe avevano preso controllo del complesso elettronucleare di Zaporizhzhya, il maggiore d'Europa, comprendente 6 reattori per una potenza totale di 5700 MWt. Il 6 marzo lo SNRIU ha comunicato alla IAEA di un pesante cannoneggiamento contro l'installazione della sorgente di neutroni del KIRP di Kharkiv, con danni significativi.
La IAEA ha condotto due missioni (29-31 marzo e 25-28 aprile) in Ucraina guidate dal Direttore generale Rafael Mariano Grossi per esaminare la situazione e impostare il programma di assistenza per ridurre i rischi di gravi incidenti nucleari. La IAEA produce in rete regolari aggiornamenti sulla situazione delle strutture nucleari del paese e il 10 maggio ha emesso un rapporto su Nuclear safety, security and safeguards in Ukaine.
Gli impianti nucleari ucraini
L'Ucraina ha una vasta esperienza nei vari aspetti della tecnologia nucleare civile; opera 4 impianti elettronucleari con 15 reattori localizzati in 2 centrali in Volinia (Khmelnytskyy con 2 reattori e Rivne con 4 reattori) e 2 nell'Ucraina meridionale (Centrale dell'Ucraina meridionale nei pressi di Yuzhnoukrainsk con 3 reattori e Zaporizhzhya a Enerhodar con 6 reattori) per una potenza totale di oltre 13 GWe, che nel 2020 hanno fornito il 50% del fabbisogno elettrico nazionale. Altri due nuovi reattori sono in costruzione a Khmelnytskyy. Tutti i reattori sono ad acqua pressurizzata (PWR), che serve sia da moderatore che da refrigerante, di tipo VVER-V di costruzione russa e impiegano uranio leggermente arricchito (< 4,4%).
Va osservato che questi reattori sono estremamente più sicuri dei reattori RBMK attivi a suo tempo a Chernobyl; i loro edifici in cemento rafforzato sono in grado di sopportare anche proiettili e testate di alta potenza, che non siano specifici per penetrazioni anti-bunker; anche la rottura dell'edificio non può portare a danneggiare il nocciolo del reattore, racchiuso in un contenitore a pressione di acciaio inossidabile incorporato in cemento.
Il maggior pericolo può venire dall'auto-distruzione del reattore dovuta all'interruzione del raffreddamento (come è successo a Fukushima), a seguito della distruzione dell'impianto refrigerante o della mancata alimentazione delle pompe. Va ricordato che allo spegnimento i reattori conservano una potenza residua, che raggiunge tipicamente il 6% di quella d’esercizio (quasi 200 MW per impianti di 1 GWe), per ridursi nel giro di qualche giorno ai valori minimi della configurazione di “spegnimento freddo”, solo se la refrigerazione continua regolarmente.
A Chernobyl si stanno de-commissionando i 4 reattori RBMK da 1GWe moderati a grafite e refrigerati ad acqua: l'unità 4 esplosa nel 1986 ha un contenitore sicuro dal 2017; le unità 1 (spenta nel 1997), 2 (chiusa dopo un incendio nel 1991) e 3 (spenta nel 2000) si stanno mettendo in sicurezza (entro il 2028), il loro materiale fissile esausto verrà rimosso dalle piscine di stoccaggio entro il 2046; la distruzione delle strutture è prevista per il 2064.
Il sito comprende due strutture di stoccaggio provvisorio del combustibile esaurito (ISF-1 e ISF-2) e una varietà di impianti di gestione degli scarti. A Chernobyl è stata costruita una struttura centrale di stoccaggio del combustibile esaurito che riceverà e immagazzinerà il combustibile esaurito dei reattori delle centrali nucleari di Rivne, Khmelnytskyy e dell'Ucraina meridionale.
All'interno della più ampia Zona di esclusione di Chernobyl vi sono numerosi impianti di smaltimento di rifiuti radioattivi e "cimiteri" dei mezzi impiegati per la gestione del disastro del 1986 e resi radioattivi.
Il Centro nazionale scientifico dell'Istituto di fisica e tecnologia di Kharkiv (KIPT) opera una struttura sottocritica alimentata da un linac di elettroni da 100 MeV per generare fasci intensi di neutroni per una varietà di ricerche e applicazioni mediche e tecnologiche. Il materiale nucleare presente è sempre subcritico e l'inventario radioattivo è limitato.
A Dnipro, Kharkiv, Kiev, Odessa e Leopoli esistono inoltre impianti (radon facilities) specializzati nella gestione e lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti radioattivi provenienti dall'uso di sorgenti di radiazioni in medicina, scienza e diverse industrie ucraine.
Precedenti storici
A parte alcune azioni terroristiche, prima d'ora reattori nucleari sono stati obiettivi deliberati di attacchi solo nei conflitti medio-orientali, per lo più giustificati come azioni a prevenire lo sviluppo di programmi nucleari militari.
Il primo attacco venne portato dall'Iran il 30 settembre 1980 contro il centro di ricerca nucleare iracheno di Al Tuwaitha, 18 km a sud di Baghdad, ove esisteva, accanto a vari laboratori di ricerca e tecnologia, un reattore di ricerca russo a neutroni veloci IRT-5000 (Tammuz 14) da 5MWt con combustibile arricchito all'80%, e la Francia stava costruendo un reattore ad acqua leggera da 40 MWt (Osirak–Tammuz 1) per ricerca scientifica e un piccolo reattore ISIS (Tammuz 2) da 500 kWt. Tutti gli impianti nucleari di Al Tuwaitha erano sottoposti alle salvaguardie della IAEA, essendo l'Iraq membro del Trattato di non proliferazione (NPT). L'operazione "spada bruciante" iraniana, condotta nel contesto della guerra Iraq–Iran, mirava alla distruzione di Osirak prima del suo completamento, ma produsse solo limitati danni, che furono riparati dai tecnici francesi.
I due reattori Tammuz 1 e Tammuz 2 furono invece danneggiati in modo irreparabile il 7 giugno 1981 nell'attacco aereo a sorpresa israeliano (operazione "Opera" o "Babilonia"), motivato dalla politica israeliana di prevenire la possibilità che qualsiasi paese arabo acquisisca l'arma nucleare. In realtà il reattore Osirak, alimentato da uranio arricchito al 18% e sottoposto al controllo francese oltre alle salvaguardie della IAEA, non avrebbe potuto venir impiegato per la produzione di plutonio e quindi solo di marginale rilevanza per un programma militare (che invece l'Iraq perseguiva altrove in segreto). L'Iraq in seguito acquisì un nuovo reattore ISIS per varie applicazioni scientifiche, che chiamò ancora Tammuz 2.
L'attacco israeliano colpì fortemente tutta la comunità internazionale. Sia il Consiglio di sicurezza che l'Assemblea generale dell'ONU condannarono l'azione in modo unanime sulla base dell'art 2 (4) della Carta delle nazioni unite: Tutti i membri si astengano nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, o in qualsiasi altro modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite. Anche la IAEA condannò l'attacco e discusse la possibilità di sospendere la sua assistenza alle attività nucleari civili di Israele.
Anche in risposta all'attacco iraniano ad Al Tuwaitha, l'Iraq nel corso della guerra condusse dal 1984 al 1988 sette incursioni aeree contro i due reattori in costruzione al centro elettronucleare iraniano di Bushehr, danneggiandoli in modo significativo.
Tutti gli attacchi ad Al Tuwaitha e Bushehr non produssero contaminazione radioattiva, dato che nei reattori coinvolti non era ancora installato il combustibile nucleare.
Il secondo gruppo di attacchi a reattori si ebbe durante la guerra del golfo (1990–91) da parte degli USA e dell'Iraq contro obiettivi funzionanti, e quindi potenziali sorgenti di contaminazione radioattiva, a differenza del decennio precedente.
Nell'ambito dell'operazione "Package Q" il 19 gennaio 1991 forze aeree americane attaccarono pesantemente il centro di Al Tuwaitha distruggendo i due reattori di ricerca operativi IRT-5000 e Tammuz 2 oltre a laboratori di fisica nucleare e radiochimica, strutture per la fabbricazione di combustibile, la stazione per il trattamento delle scorie e depositi di materiali nucleari. Secondo il generale Norman Schwartzkopf, a seguito dell'azione la capacità del paese di sviluppare armi nucleari aveva subito "una battuta d'arresto considerevole, se non una battuta d'arresto totale", mentre in realtà le strutture di Al Tuwaitha erano per ricerche civili e coperte dalle salvaguardie della IAEA; gli alleati non riuscirono a individuare durante la guerra del golfo gli impianticlandestini di armi nucleari dell'Iraq, che restarono in gran parte intatti.
Il 17 febbraio 1991 l'Iraq lanciò 6 missili Scud contro l'israeliano Centro di ricerche nucleari del Negev che comprende il reattore di ricerca ad acqua pesante e uranio naturale Dimona, impiegato per la produzione di plutonio e trizio per le armi nucleari israeliane; i missili non raggiunsero l'obiettivo e l'attacco non ebbe effetti; secondo esperti israeliani la cupola in cemento armato del reattore avrebbe resistito anche se colpita dagli Scud; un'emergenza radioattiva sarebbe invece potuta derivare se fossero stati colpiti i depositi di materiale nucleare esausto, il che non si ebbe.
Ultimo attacco, prima della guerra in Ucraina, a un (supposto) reattore nucleare in costruzione venne condotto il 6 settembre 2007 da Israele col bombardamento dell'impianto siriano al-Kubar (o Dair Alzour) presso Deir ez-Zor, nella Siria orientale. Solo il 22 marzo 2018 Israele ha ufficialmente rivendicato l'operazione ("Fuori dagli schemi" o "Frutteto") compiuta da uno stormo aereo con lo scopo di impedire la costruzione di un reattore nucleare acquisito dalla Corea del Nord, per un programma nucleare clandestino. La Siria ha sempre negato che la struttura fosse destinata a un reattore nucleare, ma la IAEA il 28 aprile 2010 ha concluso sulla base delle analisi compiute che il sito era appunto destinato a un reattore nucleare.
Conseguenze radiologiche
Fra tutti questi casi il più grave è stato l'attacco americano al reattore funzionante IRT-5000 del 1991, il solo che abbia implicato la dispersione di materiale radioattivo e una conseguente contaminazione radiologica della zona. Inizialmente fu escluso ogni rischio di contaminazione radioattiva, e l'Iraq, nonostante l'insistenza della IAEA per un rapporto, per mesi evitò di esprimersi sull'evento. Con una lettera in data 9 aprile 1991, il ministro degli esteri iracheno comunicò alla IAEA che all'inizio degli attacchi della coalizione (16-17 gennaio) si era proceduto allo spostamento di gran parte del materiale nucleare soggetto alle salvaguardie della IAEA in luogo più sicuro. Tuttavia parte dell'uranio arricchito al 80% dell'IRT-5000 e del combustibile del reattore Tammuz-2 (arricchito al 93%) era ancora presente nei due reattori al momento della loro distruzione.
Solo alla fine di aprile 2003 durante l'operazione "Iraqi Freedom" venne documentata una significativa dispersione radioattiva ad Al Tuwaitha. A quel tempo, residenti locali avevano saccheggiato il sito creando una diffusa contaminazione anche nei villaggi vicini.
Dal 2006 è iniziato un programma di smantellamento e bonifica del sito da parte del governo iracheno col determinante sostegno americano e la collaborazione della IAEA e di Francia, Italia, Regno Unito e Ucraina. Nel 2005 un'estesa prospezione ha permesso di predisporre una mappa della contaminazione radioattiva della zona e di ricostruire le funzioni di alcuni siti distrutti.
Nel 2017 misure sono state effettuate presso il reattore distrutto IRT-5000 per fornire una caratterizzazione radiologica completa e per valutare il rischio e la dose per i lavoratori impegnati nella de-commissione dei resti del reattore. La maggior parte dei campioni è stata contaminata con gli isotopi Cs-137, Co-60 ed Eu-152, con una massima concentrazione di attività (19,97 GBq) dall'isotopo Co-60. La dose misurata all'interno del corpo del reattore varia da 55 a 1250 mSv/h (ricordiamo che la dose naturale media in Italia è di 3,3 mSv/anno), tuttora (dopo 30 anni!) molto superiore a quella massima prevista per il personale impegnato alla bonifica, per cui si dovrà operare con le speciali procedure previste dalla IAEA.
A quel tempo, il bombardamento di Al Tuwaitha non provocò alcuna protesta o azione diplomatica significativa. La guerra del Golfo avveniva per un mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU a "utilizzare ogni possibile mezzo per costringere l'Iraq a ritirarsi dal Kuwait e per ristabilire la pace e la sicurezza internazionali nell'area". La generale ostilità internazionale all'Iraq e il diffuso consenso alla distruzione del suo programma nucleare militare resero accettabile l'operazione e non vi fu alcuna segnalazione al Consiglio di sicurezza dell'ONU.
Solo in seguito giuristi internazionali cominciarono a esaminare se l'operazione non fosse andata oltre i limiti del mandato dell'ONU. Va infine notata la contraddizione dell'operato americano: gli USA avevano sempredifeso l'affidabilità delle salvaguardie dell'AIEA a garanzia del rispetto del NPT. L'attacco alle strutture di Tuwaitha coperte dalla IAEA mostrano invece che la fiducia del governo americano in queste salvaguardie non era poi così grande.
La situazione attuale a Chernobyl
ll sito è stato occupato dalle forze russe dal 24 febbraio fino al 31 marzo. Il sito si trova sulla direttiva di invasione settentrionale verso Kiev e fungeva da utile punto di accampamento per le truppe russe in preparazione all'attacco alla capitale ucraina, e poteva essere un rifugio sicuro dai contrattacchi a causa dell'enorme quantità di materiale radioattivo ancora presente nella Zona di esclusione di Chernobyl. La Russia ha motivato l'occupazione al Direttore generale della IAEA "per impedire atti deliberati di sabotaggio".
Il personale ucraino ha continuato a gestire le operazioni quotidiane delle varie strutture, ma per quasi quattro settimane non ha potuto ruotare e tornare alle proprie case. Attualmente la turnazione del personale avvieneregolarmente secondo i piani.
Le comunicazioni del sito con l'esterno, in particolare con lo SNRIU e la IAEA, durante l'occupazione sono state interrotte e informazioni sulla situazione si sono avute in modo occasionale e informale. L'Ucraina ha ora gradualmente ripristinato il normale controllo della sicurezza nucleare e radioattiva. Tuttavia, la situazione generale nella zona rimane difficile a causa dei ponti distrutti e delle attività di sminamento.
Il sistema on line di monitoraggio delle radiazioni tramite il Sistema informativo internazionale IRMIS è stato interrotto dal 24 febbraio. Alcune misure compiute localmente dal personale hanno indicato un aumento deltasso di dose gamma attribuito ai dislocamenti del suolo (in cui sono stati sepolti materiali radioattivi del disastro del 1986) dovuti a manovre di macchinari pesanti e alla creazione di postazioni militari. Sulla base di questi dati, la AIEA ha valutato che comunque i livelli di radiazione sono rimasti entro il range operativo misurato storicamente e pertanto di nessun pericolo per il pubblico.
Dal 9 al 14 marzo il sito è rimasto completamente privo di fornitura esterna di energia elettrica. I generatori diesel di emergenza entrarono in funzione per alimentare sistemi importanti per la sicurezza delle strutture, inparticolare le strutture di stoccaggio. La disconnessione dalla rete non ha avuto un impatto critico, poiché il volume dell'acqua di raffreddamento per il combustibile esausto era sufficiente a mantenere la rimozione del calore senza necessità di pompe, dato che le barre di combustibile sono da oltre 20 anni in raffreddamento e una parte significativa della loro radioattività è ormai cessata. Tuttavia, non si sono mantenute alcune funzioni importanti, come il monitoraggio delle radiazioni, i sistemi di ventilazione e l'illuminazione normale.
I locali dei laboratori analitici per il monitoraggio delle radiazioni sono stati devastati e strumenti rubati, rotti o altrimenti disabilitati; il centro di informazione e comunicazione associato venne saccheggiato, con la distruzione delle linee per la comunicazione automatica delle misure.
L'Ucraina ha riferito alla IAEA che la zona di esclusione di Chernobyl si sta gradualmente riprendendo dalle azioni militari russe. La AIEA e gli esperti ucraini stanno preparando una missione conoscitiva complementareper valutare la situazione di sicurezza e protezione di tutte le strutture e attività del sito.
La situazione al KIRP
A seguito dell'invasione russa, il 24 febbraio la struttura subcritica della sorgente di neutroni del KIRP è stata posta in "modalità di spegnimento a lungo termine".
Il 6 marzo, l'installazione è stata oggetto di pesanti bombardamenti con danni all'edificio principale dell'impianto, alla cabina elettrica e ai sistemi di condizionamento. In seguito è venuta a mancare alimentazione elettrica a seguito dei danni alle linee di alimentazione della zona. Tuttavia, gli eventi non hannodato luogo ad alcuna conseguenza radiologica e non vi è stata perdita delle fondamentali funzioni di sicurezza per il confinamento dei materiali radioattivi.
La situazione a Zaporizhzhya
Nel progresso dell'occupazione dei territori orientali dell'Ucraina, il 4 marzo forze russe hanno raggiunto il sito della centrale, e vi hanno imposto il controllo militare. Nelle operazioni militari, il centro di formazione della struttura — situato a poche centinaia di metri dalle unità del reattore — venne colpito da un proiettile generando un incendio localizzato; hanno subito danni anche gli edifici del laboratorio e di una struttura amministrativa, nonché il trasformatore del reattore 6, riparato alcuni giorni dopo. In quel momento l'Unità 1 era spenta per manutenzione, le Unità 2 e 3 erano in spegnimento controllato, l'Unità 4 funzionava al 60% di potenza e le Unità 5 e 6 erano tenute "in riserva” in modalità bassa potenza.
L'Ucraina ha assicurato la IAEA sull'integrità fisica dei sei reattori dell'impianto e dei sistemi di sicurezza; la centrale nucleare ha continuato a essere gestita dal suo personale regolare, i sistemi di monitoraggio delle radiazioni nel sito sono rimasti pienamente funzionanti e non c'è stato alcun rilascio di materiale radioattivo. Le piscine del combustibile esausto hanno funzionato normalmente e anche la struttura di stoccaggio a secco non ha subito alcun danno. Attualmente (26 maggio) le unità 1, 2 e 4 lavorano a piena potenza e le altre 3 sono sconnesse dalla rete.
Una questione preoccupante è stata l'impatto bellico sulle linee elettriche che collegano la centrale nucleare alla rete. Due delle quattro linee elettriche ad alta tensione (750 kV) furono danneggiate nei primi giorni del controllo russo e per un certo periodo l'impianto ha perso anche una terza linea. L'AIEA valuta che l'impiantosia in grado di operare in sicurezza con le linee a disposizione, dato che il sito è dotato di 20 generatori diesel d'emergenza, in grado di fornire la potenza necessaria per il funzionamento sicuro dei reattori in caso di interruzione dell'alimentazione esterna. Tuttavia, la perdita di due linee elettriche riduce la sicurezza in profondità della struttura.
La comunicazione istituzionale tra il sito e il SNRIU è severamente limitata con molte linee di comunicazione non funzionanti o inaffidabili e basata su telefoni cellulari ed e-mail; non sono state possibili ispezioni regolamentari ucraine delle strutture in loco.
Il problema principale riguarda l'operazione della centrale sotto il controllo militare russo: la direzione e il personale ucraino hanno continuato a operare la centrale regolarmente con la prevista turnazione, ma la situazione ha avuto un impatto negativo sul morale e la serenità del personale e il suo senso di sicurezza.
Alcuni giorni dopo l'occupazione militare la centrale è stata visitata da rappresentanti della Corporazione statale russa per l'energia atomica Rosatom e una decina di membri dello staff di Rosatom sono tuttora presenti ed esigono rapporti giornalieri relativi all'amministrazione, alle attività di manutenzione e riparazione, alla sicurezza e al controllo degli accessi e alla gestione del combustibile nucleare.
Grossi, dopo un incontro a Istambul il 5 maggio con Alexey Likhachev, direttore del Rosatom, per affrontare il problema del "doppio comando", ha affermato che "la presenza di esperti russi di alto livello a Zaporizhzhya, la cui funzione non è del tutto chiara... va contro ogni possibile principio di sicurezza... c'è la possibilità di disaccordo, c'è la possibilità di attrito, la possibilità di istruzioni contraddittorie... situazioni che non si devono avere in una struttura così complessa, delicata e sofisticata come una centrale nucleare".
Grossi il 10 maggio al Parlamento europeo ha manifestato la preoccupazione della IAEA per non poter visitare la centrale per svolgere le regolari attività di salvaguardia previste dal NPT, incluso l'inventario e il monitoraggio dei materiali fissili (circa 40 t di uranio arricchito e 30 t di plutonio). Il 17 maggio Grossi ha informato di star preparando un'ispezione alla centrale: "Il problema è che sia [Russia che Ucraina] hanno concordato su una mia visita, ma chiedono che avvenga sotto le rispettive bandiere... Il formato, le modalità politiche della visita sono ancora più importanti della missione tecnica che devo svolgere".
Il 29 aprile il Rosatom ha dichiarato di voler assumere il pieno controllo della centrale, e quindi della principale risorsa energetica dell'Ucraina. Il 19 maggio il vice primo ministro russo per le infrastrutture Marat Khusnullin, durante un'ispezione delle zone occupate per la loro integrazione nelle strutture economiche russe, ha dichiarato che l'Ucraina dovrà pagare per l'energia elettrica generata dalla centrale, altrimenti l'energia verrà fornita alla Russia (anche se non esistono ancora connessioni con la rete russa); il governo ucraino ha dichiarato tali pretese inaccettabili, aggravando le tensioni sulla centrale.
Delle altre strutture nucleari ucraine ha subito danni solo il centro di stoccaggio provvisorio dei rifiuti radioattividi Kiev, senza dispersione radioattiva, mentre tutte le altre centrali elettronucleari funzionano regolarmente.
Norme internazionali relative a reattori nucleari in guerra
Dalla metà del secolo XIX la comunità internazionale ha iniziato a creare un corpus di norme internazionali per regolare la conduzione dei conflitti armati, al fine di ridurre le sofferenze e i danni delle popolazioni coinvolte; il diritto umanitario così creato cerca di garantire il livello massimale dei diritti umani possibile nel contesto della situazione bellica.
I principi cardinali del diritto umanitario internazionale sono quelli di distinzione e di proporzionalità; in base al primo, chi lancia un attacco deve prendere tutte le possibili precauzioni per assicurarsi che gli obiettivi attaccati non siano né persone né oggetti civili, in modo da risparmiare il più possibile queste ultime due categorie. Una volta poi accertato il carattere militare del bersaglio, il principio di proporzionalità richiede che si dovrà considerare se le morti, i danni a civili o loro oggetti, che ci si aspetta come danno collaterale, risultino eccessivi, e quindi sproporzionati, rispetto al previsto vantaggio militare concreto e diretto.
Oltre alla protezione della popolazione e dei suoi beni, ci sono nel diritto umanitario internazionale specifici gruppi e oggetti che beneficiano di una protezione speciale a causa della loro importanza o del loro potenziale pericolo. Questo vale per i beni culturali, edifici di culto, strutture e personale medico, ma anche appunto per le centrali nucleari.
Iniziatore di quest'ultima protezione è stato il Comitato internazionale della croce rossa (ICRC), che nel 1956 introdusse nella bozza delle "regole per limitare i danni alla popolazione civile in tempo di guerra" un articolo per la protezione speciale di installazioni "contenenti forze pericolose", inizialmente dighe e sbarramenti idraulici, esteso a includere impianti elettronucleari. Dopo lunghe discussioni, l'8 giugno 1977 la Conferenza diplomatica ad hoc giunse ad approvare per consenso unanime i protocolli addizionali I e II alle Convenzioni di Ginevra del 18 agosto 1949, che includono la protezione di impianti nucleari.
L'articolo 56 del Protocollo I afferma: 1. Le opere o installazioni che racchiudono forze pericolose, cioè le dighe di protezione o di ritenuta e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, non saranno oggetto di attacchi, anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile. Gli altri obiettivi militari situati su o in prossimità di dette opere o installazioni non saranno oggetto di attacchi, se questi possono provocare la liberazione di forze pericolose e, di conseguenza, causare gravi perdite alla popolazione civile.
2. La protezione speciale contro gli attacchi prevista dal paragrafo 1 cesserà: nei riguardi delle centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, soltanto nel caso in cui esse forniscano corrente elettrica per l’appoggio regolare, importante e diretto a operazioni militari, e se tali attacchi sono il solo mezzo pratico per porre fine a detto appoggio.
L'articolo 49 precisa in che senso vada compreso il termine "attacco":
1. Con l’espressione "attacchi" si intendono gli atti di violenza contro l’avversario, siano tali atti compiuti a scopo di offesa o di difesa. 2. Le disposizioni del presente Protocollo concernenti gli attacchi si applicheranno a tutti gli attacchi, quale che sia il territorio su cui essi si svolgono, incluso il territorio nazionale appartenente ad una Parte in conflitto, ma che si trovi sotto il controllo di una Parte avversaria.
Analoga protezione è garantita dall'articolo 15 del Protocollo II, riguardante conflitti non-internazionali, rilevante quindi nella presente guerra per la partecipazione a fianco della Russia di truppe delle autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.
Va osservato che la specificazione delle opere con "forze pericolose" esclude dalla protezione importanti installazioni, in particolare i reattori di ricerca e i depositi di materiale esausto, che pure possono contenere notevoli quantità di materiale altamente radioattivo. L'esclusione dei reattori di ricerca è particolarmente grave, dato che essi sono per lo più localizzati all'interno, o in prossimità, dei centri abitati (mentre le centrali elettronucleari sono abitualmente create in posti isolati) e quindi la loro distruzione può avere un impatto immediato sulla popolazione.
Una protezione di tutti gli impianti nucleari fu discussa già alla fine degli anni '70 nell'ambito dei negoziati sulle armi radiologiche, ma senza risultati. La necessità di un accordo internazionale per vietare attacchi armati contro ogni impianto nucleare è stata ribadita nel 1987 dalla Conferenza Generale della AIEA.
Va osservato che gli impianti nucleari non militari, come tutte le strutture civili, sono comunque protetti dall'articolo 52 del Protocollo I: 1. Protezione generale dei beni di carattere civile. I beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie. Sono beni di carattere civile tutti i beni che non sono obiettivi militari ai sensi del paragrafo 2. 2. Gli attacchi dovranno essere strettamente limitati agli obiettivi militari. Per quanto riguarda i beni, gli obiettivi militari sono limitati ai beni che per loro natura, ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono effettivamente all’azione militare, e la cui distruzione totale o parziale, conquista o neutralizzazione offre, nel caso concreto, un vantaggio militare preciso.
Il protocollo I ha 174 paesi parte; Iran, Pakistan e gli USA lo hanno firmato ma non ratificato; la Corea Nord, India, Israele, Turchia e alcuni paesi dell’Asia meridionale non l'hanno firmato. Sia l'Ucraina che la Russia ne sono parte; la Russia il 23 ottobre 2019 ha informato la Svizzera, depositaria della Convenzione, di non riconoscere la competenza della commissione internazionale prevista per la verifica e chiarificazione di possibili eventi.
La commissione internazionale di giuristi incaricata nel 1995 dall'ICRC di individuare le norme umanitarie consuetudinarie, ossia quelle divenute vincolanti non grazie all'emanazione formale da parte del legislatore, ma in seguito alla lunga applicazione pratica di principi radicati nel senso comune della giustizia, ha riconosciuto nel 2005 (Regola 42) che Particolare attenzione deve essere prestata se vengono attaccate opere e impianti contenenti forze pericolose, vale a dire dighe di protezione o di ritenuta, e stazioni nucleari per la generazione di energia elettrica e altre installazioni situate in corrispondenza o nelle loro vicinanze, al fine di evitare il rilascio di forze pericolose e conseguenti gravi perdite tra la popolazione civile.
La natura consuetudinaria della Norma ne impone il rispetto universale da ogni paese, indipendentemente dalla partecipazione al Protocollo I. Molti paesi hanno rincorporato la regola 42 nella giurisprudenza nazionale e nei manuali militari; in particolare la Russia nel suo manuale militare del 1990 e nelle "regole per l'applicazione della legislazione internazionale umanitaria" del 2001. Anche alcune delle forze armate americane, in particolare la marina, considerano il rispetto della Norma, anche se soggetto alla prioritaria "necessità militare".
Il 2 marzo 2022, in una riunione del Consiglio dei governatori della AIEA, il Direttore Generale ha delineato sette pilastri indispensabili per garantire la sicurezza nucleare nella presente situazione in Ucraina: 1. L'integrità fisica degli impianti — che si tratti di reattori, bacini di combustibile o depositi di rifiuti radioattivi — deve essere mantenuta; 2. Tutti i sistemi e le apparecchiature di sicurezza e protezione devono essere sempre perfettamente funzionanti; 3. Il personale operativo deve essere in grado di adempiere ai propri doveri di sicurezza e protezione e avere la capacità di prendere decisioni libere da pressioni indebite; 4. Deve esserci un'alimentazione elettrica sicura dalla rete esterna per tutti i siti nucleari; 5. Devono esserci catene logistiche di approvvigionamento e trasporti ininterrotti da e per i siti; 6. Devono esserci efficaci sistemi di monitoraggio delle radiazioni in loco e fuori sede e misure di preparazione e risposta alle emergenze; 7. Devono esserci comunicazioni affidabili con l'autorità di regolamentazione e altri soggetti.
È molto arduo esprimere giudizi sul rispetto delle norme umanitarie in guerra, che vanno lasciati a esperti di diritto internazionale e, se coinvolta, alla Corte penale internazionale, una volta disponibile tutta la documentazione rilevante. Tuttavia il caso specifico appare così delimitato che alcuni fatti sembrano evidenti a un osservatore ingenuo.
Gli attacchi ad Al Tuwaitha, Busher e al-Kubar non si configurano come violazione dell'articolo 56 del Protocollo I essendo stati condotti contro reattori di ricerca o impianti elettronucleari ancora in costruzione; inoltre alcuni dei paesi attaccanti non erano parte del Protocollo. Sono comunque violazioni dell'articolo 52, in quanto strutture civili. Gli USA si erano comunque premuniti, inviando all'inizio della guerra del golfo un rapporto al Consiglio di sicurezza dell'ONU in cui si dichiaravano tutti gli impianti nucleari iracheni obiettivi legittimi di attacco.
Venendo alla presente situazione in Ucraina, gli attacchi a Kharkiv e Zaporizhzhya, le interruzioni delle comunicazioni, delle connessioni elettriche e il trattamento del personale a Chernobyl e Zaporizhzhya violano vari dei 7 pilastri di sicurezza decisi dal Consiglio dei governatori della IAEA. Il caso più grave è chiaramente l'attacco armato alla centrale di Zaporizhzhya, che appare un'esplicita violazione del Protocollo I e della Norma 42, oltre alle stesse regole militari della Russia.
Fortunatamente il coinvolgimento delle strutture nucleari non ha prodotto finora vittime o contaminazione radioattiva e quindi appare un danno marginale in una guerra sempre più cruenta, indiscriminata e distruttiva, che presenta gravi violazioni del diritto umanitario e la distruzione di importanti beni culturali, luoghi di culto, ospedali e scuole. Tuttavia le installazioni nucleari racchiudono "forze pericolose" di tale natura che richiedono un'attenzione particolare e continua, specie un una guerra che sembra non dare adito a speranze di una risoluzione entro breve tempo.