Bruno Rossi ed Enrico Fermi negli anni Trenta. Foto: Dipartimento di Fisica e astronomia
A partire dal 1938, le università del Regno d'Italia iniziarono ad allontanare i professori e gli studiosi di origine ebraica, obbligandoli ad abbandonare le loro carriere accademiche, anche se prestigiose. Molti di loro non ebbero altra scelta che lasciare le loro case per trovare rifugio in paesi all'estero.
Il portale Intellettuali in fuga dall'Italia fascista si occupa di raccogliere le storie di centinaia di studiosi e accademici che lasciarono l'Italia per iniziare o continuare la loro carriera in altri paesi e ricostruire i percorsi, spesso complicati, che furono costretti a intraprendere.
Lo scopo di questo ambizioso lavoro non è quello di ricostruire le biografie intellettuali degli studiosi italiani che hanno fatto carriera all'estero, ma di raccontare le storie di quelle vite in movimento, spesso travagliatissime, di tanti uomini e donne che, con determinazione e tenacia, non si sono persi d'animo di fronte alla necessità di reinventare completamente la loro esistenza.
Il progetto è promosso dall'università di Firenze e finanziato dalla Regione Toscana, con i patrocini di importanti enti esteri: il New York Public Library, il Council for At-Risk Academics di Londra, il J. Calandra Italian American Institute, e i Central Archives for the History of Jewish People di Gerusalemme.
Patrizia Guarnieri, professoressa di storia contemporanea all'università di Firenze e responsabile scientifica della ricerca, si occupa da diversi anni di studiare la storia della mobilità scientifica. “Mi sono domandata cosa succedeva ai tanti espulsi o allontanati dall'Italia durante il fascismo, sopratutto (ma non solo) a causa delle leggi razziali”, racconta a Il Bo Live. “Volevo scoprire cosa succedeva a queste persone dopo aver perduto il lavoro, o dopo non aver potuto nemmeno cercarlo, dato che molti laureati, nel 1938, se venivano schedati come ebrei non potevano neanche trovare un impiego”.
Il sito Intellettuali in fuga contiene delle pagine introduttive per spiegare questo fenomeno migratorio, compresa una sezione che illustra le principali leggi di discriminazione, e poi quelle riparatorie, dall'inizio del fascismo fino all'istituzione della Giornata della memoria, nel 2000.
Ma sul portale è disponibile soprattutto un lunghissimo elenco di questi intellettuali in fuga. Di ognuno di loro viene raccontata la storia, con tanto di foto, note, bibliografia e approfondimenti che riportano le reti di aiuto a cui si sono appoggiati per fuggire e i nomi dei loro familiari che pure sono dovuti scappare all'estero.
“L'elenco visibile sul nostro sito, aperto ad aggiunte, raccoglie circa 400 nomi, che hanno tutti un legame con la Toscana, anche temporaneo: di nascita o formazione, o lavoro o per averci vissuto”, specifica la professoressa Guarnieri. “Questo significa che ci sono anche personaggi espulsi da Milano o da Palermo, o nati all'estero, ma che avevano studiato o insegnato o vissuto per un po' in una città Toscana. Si spera poi di allargarsi ancora di più, ma già così c'è molto su cui lavorare.
Di queste storie abbiamo del materiale documentario in gran parte fornito dagli enti esteri che hanno dato il patrocinio alla ricerca e al portale. C'è anche un elenco di nomi, ancora non visibile sul sito, dei casi su cui bisogna ancora raccogliere il materiale”.
Il progetto #Unifi dedicato alle vicende degli intellettuali in fuga dall'italia fascista ha ricevuto il patrocinio del Central Archives for the History of Jewish People di Gerusalemme.
— UNIFI (@UNI_FIRENZE) July 6, 2020
Il portale presenta anche una sezione di schede biografiche in inglesehttps://t.co/2tLiZBxuLn pic.twitter.com/6PTwzmY0mB
“Rivolgersi agli archivi fuori dall'Italia ha permesso di dare una svolta alla ricerca delle fonti, perché le istituzioni italiane da cui studiosi e intellettuali venivano allontanati spesso cancellavano i loro nomi. Ad esempio, sugli annuari accademici era vietato pubblicare i nomi dei professori ebrei”.
È proprio questo tentativo di damnatio memoriae da parte delle istituzioni italiane che ha contribuito a rendere queste storie di mobilità intellettuale particolarmente difficili da ricostruire. “È difficile fare un elenco di tutti gli intellettuali che partirono anche perché non furono tutti espulsi formalmente”, continua la professoressa Guarnieri. “Tanti studiosi di origine ebraica non compaiono sui documenti ufficiali come soggetti da allontanare, ma molti di loro decidono spontaneamente di andarsene, soprattutto i neolaureati, che sono giovani, spesso hanno messo su famiglia da poco e hanno davanti un futuro tutto da scrivere. Non possono certo permettersi di non trovare lavoro. Si rivolgono allora a delle reti di soccorso che si occupano di aiutarli a fuggire all'estero”.
“È proprio negli archivi di due delle principali associazioni di aiuto, ovvero l'Emergency Committee in Aid of Displaced Foreign Scholars records di New York, e la Society for the Protection of Science and Learning di Londra che ho trovato una quantità enorme di materiale”, racconta la professoressa Guarnieri. “Queste reti di aiuto nascono nel '33 per aiutare i tedeschi che vogliono fuggire dalla Germania, ma successivamente offrono aiuto a tutti, anche agli italiani. Coloro che si rivolgono a queste organizzazioni si dichiarano pronti ad andare nei domini britannici, come Australia, Sud America o Stati Uniti. A quel punto, il nostro lavoro è quello di seguire i percorsi, anche molto complicati, di ognuno di loro nel luogo in cui si rifugia.
Ci sono anche alcune storie di persone che non partono attraverso le organizzazioni estere, bensì appoggiandosi a conoscenze personali o a reti di aiuto familiari o di colleghi. La ricerca, quindi, si occupa anche di incrociare il materiale raccolto da più archivi con altri tipi di fonti, ad esempio le memorie familiari. Riuscire a parlare con i parenti, che spesso vivono ancora nei paesi dove i loro avi si sono rifugiati, dà un'enorme soddisfazione. Il confronto delle fonti d'archivio con le memorie familiari comporta certamente un ulteriore lavoro di verifica, perché le testimonianze dei parenti spesso non coincidono con i documenti. Alcuni non conoscono nei dettagli i trascorsi dei padri o degli zii, oppure erano piccoli e non ricordano bene. Nonostante questo, contattare i figli e i nipoti di questi intellettuali ci ha permesso di riempire il sito di documenti e di foto mandati da loro. Si tratta di un patrimonio fotografico documentario molto importante e non semplicemente decorativo”.
Ma chi sono gli studiosi e le studiose che lasciano il paese? In che modo vengono costretti, anche dalle circostanze, a lasciare la loro casa e che tipo di vita incontrano nei posti in cui si trasferiscono?
“Ci sono molte storie con caratteristiche comuni, ma che cambiano molto a seconda dei luoghi in cui gli intellettuali si rifugiano”, spiega la professoressa Guarnieri. “Molte persone e famiglie devono addirittura scappare più di una volta. Tanti fuoriusciti ebrei e non ebrei che si erano recati in Francia prima delle leggi razziali dovranno partire di nuovo. Oppure, i tanti tedeschi che erano giunti in Italia per fuggire dai nazisti ben presto si trovano costretti ad andarsene di nuovo, anche se nel frattempo si erano sposati e integrati.
La nostra ricerca ha ricostruito storie interessanti che raccontano vite travagliatissime, e che ci dicono molto anche degli ambienti e dei contesti culturali che questi studiosi, giovani e liberi professionisti hanno attraversato: sia quelli da cui erano stati allontanati, sia quelli in cui si recano per ritrovare casa e lavoro.
Ad esempio, anche negli Stati Uniti era diffuso l'antisemitismo. Per questo, alcuni italiani che si recano lì cambiano cognome per non farsi riconoscere come ebrei. Abbandonano il cognome Levi, per esempio. Questo naturalmente complica la ricerca, perché ci sono dei casi in cui delle persone sembrano essere sparite dai registri e dai documenti, ma poi si ritrovano perché le carte o le testimonianze raccolte dimostrano che hanno preso un altro cognome.
Inoltre, coloro che si trasferiscono negli Stati Uniti arrivano in delle città dove ci sono già degli stereotipi o dei pregiudizi nei confronti degli italiani. Laura Fermi, infatti, era piuttosto irritata dal fatto che tutti le chiedessero se suo marito Enrico fosse un artista o un'insegnante di italiano, e che si sorprendessero nel sentirsi rispondere che era un fisico”.
Laura ed Enrico Fermi nel 1954
Ci sono nomi famosissimi e nomi di studiosi che per noi sono sconosciuti ma che si sono affermati all'estero. Vinicio Barocas, ad esempio, è un fisico che dopo essersi laureato in Italia emigra in Inghilterra e diventa il direttore di un osservatorio astronomico. Diventa noto anche per aver tradotto i testi di Margherita Hack, ma in Italia il suo nome non è conosciuto.
Un altro caso è quello di Cesare Lombroso, omonimo del nonno, il celebre antropologo criminale. Egli viene considerato negli Stati Uniti uno dei fondatori della neurologia infantile. Si occupa, in particolare, di studiare l'epilessia dei bambini. Nel nostro paese invece non si sa quasi nulla di lui.
Tra i personaggi meno famosi, poi, troviamo una coppia di medici russi, Josip e Guta Medshiboshski, che erano uno di quei casi di brain drain “in entrata” verso l'Italia. Siccome però sono ebrei, vengono denunciati da alcuni loro colleghi tramite delle lettere, non tanto per una questione ideologica, ma per eliminare la concorrenza. Testimonianze come questa ci permettono di capire quali atteggiamenti e comportamenti erano comuni a quel tempo.
Ci sono poi delle storie più conosciute che riservano comunque delle sorprese. Ad esempio quella del fisico Bruno Rossi, espulso da Padova a 33 anni, appena sposato. Aveva bisogno di lavorare, quindi nel '38, com'è noto, parte per la Danimarca, da dove poi si sposterà in Inghilterra e poi negli Stati Uniti.
Bruno Rossi. Foto: Massachusetts Institute of Technology - CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4887356
Ebbene, anche la sua storia, ricostruita grazie alle fonti, contiene qualche colpo di scena rispetto a ciò che di solito si racconta. Per esempio, i documenti raccolti dimostrano che l'Italia aveva richiesto il suo ritorno nel 1944. Purtroppo, lui lo scopre troppo tardi, perché non riceve subito le lettere che lo invitavano a rientrare. Nel frattempo ha ottenuto la cittadinanza americana, ma gli serve quella italiana per tornare in patria. Dopo un lungo tira e molla che continua fino al 1950, gli viene definitivamente comunicato che non sarebbe potuto tornare.
È risaputo che Rossi ha una straordinaria carriera al MIT. Nonostante questo, al contrario di molti studiosi che non ne volevano proprio sapere di tornare in Italia dopo essere stati trattati in quel modo, lui aveva il desiderio di essere riconosciuto dal suo paese, anche per una sorta di risarcimento morale.
Rossi riuscirà a rientrare nel 1974, dopo essere stato chiamato a Palermo. Non torna però ufficialmente grazie ai decreti di riparazione e reintegro del '44, ma per mezzo di altri espedienti giuridici.
Le normative per il reintegro, infatti, erano uscite nel 1944. Tuttavia, per chi aveva lasciato il paese, era spesso molto complicato tornare a causa di problemi burocratici, come ad esempio la questione della cittadinanza.
Spesso si crede che chi era fuggito non volesse tornare, ma questo non è sempre vero. Dopo la guerra, era interesse del paese recuperare queste risorse perdute, anche perché all'estero questi intellettuali avevano perfezionato la loro formazione e accresciuto il loro potenziale scientifico. La frattura aperta dalle leggi razziali ha però delle conseguenze durature, che continuano anche nel corso negli anni Cinquanta e che si ripercuotono non solo sulle vite delle persone, ma anche sui programmi di insegnamento e sulla ricerca, che prende certe direzioni invece di altre”.
“ La frattura aperta dalle leggi razziali ha conseguenze durature, che continuano nel corso degli anni Cinquanta e che si ripercuotono sulle vite delle persone, sui programmi di insegnamento e anche sulla ricerca, che prende certe direzioni invece di altre
“Tra i nomi di coloro che fuggirono, ci sono poi molte donne”, aggiunge la professoressa Guarnieri. “Quelle che fanno domanda alle organizzazioni di aiuto come intestatarie sono poche, ma molte mogli che partono insieme ai mariti sono persone colte, qualificate, che conoscono le lingue e si ingegnano spesso per trovare lavoro nei paesi di arrivo. Alcune di loro, ad esempio, insegnano: Bianca Finzi Contini non può lavorare a Yale insieme al marito Massimo Calabresi, ma trova comunque lavoro come insegnante in alcuni college femminili”.
È possibile ascoltare alcune di queste vite in movimento in versione podcast. La giornalista scientifica Silvia Bencivelli, infatti, ha selezionato quattro delle storie raccolte sul portale Intellettuali in fuga e le ha raccontate in altrettante puntate del programma radiofonico Vite che non sono la tua di Rai Radio 3.