Un inno al corpo qualcuno l’ha mai scritto? Tornando con la memoria indietro di una decina d’anni viene in mente Storia di un corpo di Daniel Pennac (Feltrinelli) in cui l’autore si rifà alla tradizione del journal intime: cioè di fatto Pennac scrive un diario in cui vengono tenuti in conto tutti gli accidenti e le anche più piccole mutazioni avvenute nel protagonista per il tramite del suo corpo (e infatti: “Signore e signori, moriamo perché abbiamo un corpo, ed è ogni volta l'estinzione di una cultura”), ma non è per niente un inno, tutt’altro. Bill Bryson tenta l’approccio enciclopedico semplificato con Breve storia del corpo umano uscito per Guanda ma un vero e proprio inno – per quanto a tratti dissacratorio – lo abbiamo per opera di Andrés Neuman che nel 2019 (e in Italia per Sur nel 2021) fa uscire un divertissement, cui si dedica dal 2012, capace di dimostrare quanto sia acuminata la sua penna.
Ci sono scrittori che “scrivono sempre lo stesso libro”, anche grandiosi scrittori – come per esempio Javier Marías – e scrittori che invece in ogni opera portano a galla temi, personaggi, storie, tempi, generi affatto diversi. Questo è il caso dell’argentino Neuman, che passa dal racconto fulminante (per esempio ne Le cose che non facciamo) al romanzo vero e proprio (incredibile La frattura e brillante Vite alla finestra) passando per Anatomia sensibile nel quale dedica un breve capitolo a ogni parte del corpo.
Da dove partire? Inaspettatamente dalla “trascendenza della pelle” perché la pelle “più che ricoprirlo, consegna il corpo” e possiede di noi una “memoria assoluta”, per poi passare immediatamente – com’è quasi ovvio – alla “grandezza della testa”. Ma non si pensi che l’argentino magnifichi le sorti dell’armamentario che ci permette di metterci in contatto col mondo: Neuman scrive questo libro privo di qualsivoglia genere con occhio completamente disincantato. La testa, per esempio, è “un recipiente che si dà arie di contenuto” ed è “complice del traffico di like/dislike del nostro tempo”, e dopo di lei, seguono i capelli forse per contiguità, quindi l’autore decide di dar spazio a “il pene senza qualità” e a “una vagina tutta per sé”. Non che sia andato per ordine d’importanza, beninteso: è come si muovesse per giochi di vicinanze e di complementarità. Tocca quindi alla “pancia sovrana” perché “portare in giro la pancia giusta definisce la nostra eleganza molto meglio di qualsiasi abbigliamento” e alle “occupazioni dell’ombelico”. Ma avevate pensato mai che “la gamba non ignora mai i passi della compagna”? Inoltre per Neuman, nonostante abbia analizzato parti del corpo ben più dedite alla passione, “il desiderio stesso risiede nella gamba, che ne è simultaneamente ispirazione e motore”. “In un’epoca di braccia armate e barriere in rialzo, le gambe s’intrecciano e s’intendono con tutti. Individuano simili che camminano. Riconoscono il prossimo compagno di ballo. Corrono da te”. Indugiando poi su caviglia, piede e tallone, quest’ultimo dai natali dell’immaginario tanto nobili (quello di Achille) quanto ruvidi, Neuman risale all’improvviso e torna al collo “che spia”, alla schiena, al petto (al seno anche) e alle spalle, per poi dedicare un interludio alle efelidi. Impossibile litigare con chi ha le lentiggini, secondo l’autore: “la rabbia si frammenta in infiniti puntini e filtra a poco a poco, come un liquido denso attraverso un colino”. E poi le efelidi “anziché occupare posto inventano spazio. Attorniano qualsiasi forma e la sua possibilità. Arte di transizione, si raggruppano senza completare l’immagine. Hanno una mania impressionista. Un’efelide è, infine, la brevità incarnata. Tutte le frasi terminano con lei”.
Ma non è solo poetico Neuman: ci delizia con l’“ornitologia dell’ascella”, un “biasimo del braccio e lode del gomito”, i “dieci dilemmi per la mano” (impossibile trascurarla, mezzo mondo valuta il prossimo sulla base delle mani), le “alleanze del fianco”, per poi distinguere tra natiche e ano, regalare più valore alla mandibola che alla bocca e soffermarsi incredibilmente sul “naso come utopia”. A quanti piace il proprio naso? Eppure “è il primo centimetro del nostro futuro” e, per fortuna, almeno lui, lo dice: “Numerosi chirurghi hanno contribuito a seminare ignoranza sotto questo aspetto. Un naso strano in mezzo a fattezze canoniche crea enfasi; grazie a esso focalizziamo l’armonia del resto”. In una climax dovuta, Neuman sceglie come preludio all’anima “la tempia allucinogena” (“è stato – infatti – empiricamente dimostrato che l’attenzione è una disciplina che si attaglia a sopracciglia e tempie. Le prime soccombono alle fluttuazioni dell’età […] le seconde, invece, difenderanno il proprio posto fino all’ultimo giorno”) e “l’occhio come despota illuminato” con annessi di palpebre. D’altro canto c’era da aspettarselo. Ma che chiudesse il libro con l’anima, questo è infine il suo coup de théâtre, che non necessita di prova ontologica: “L’anima esiste proprio come il gomito (flessibile, affilata, poco ovvia) e spunta in modo simile alla lingua (loquace, degustatrice, sfuggente). Si allunga quando lo desidera e si ripiega non appena teme. Per ragioni invisibili, non la si può abbracciare”.
“ L'anima esiste proprio come il gomito Andrés Neuman
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