SOCIETÀ
L’antico rito delle conferenze Onu sul clima, ripetitivo ma non dispensabile
A fine 2023 saranno state ben ventotto le conferenze internazionali delle nazioni sul clima, nazioni più o meno unite, amiche o nemiche, comunque coordinate dall’Onu per affrontare una questione globale. Ve ne saranno almeno altrettante nei prossimi decenni, il successo degli impegni previsti dalla relativa Convenzione non è dietro l’angolo! L’accordo si chiama United Nations Framework Convention on Climate Change (UNCFFF), fu firmato a Rio nel 1992, è entrato in vigore con la primavera di due anni dopo, il 21 marzo 1994, quasi 30 anni fa. I firmatari iniziali erano 165 nazioni, è stata ratificata prima rapidamente dai paesi più motivati che hanno consentito l’entrata in vigore dell’”intelaiatura”, poi molto molto lentamente per le vere tele e i fatti conseguenti. Al momento attuale hanno ratificato la convenzione 198 “parti” dell’Onu (quasi sempre singoli Stati). Per capirci, gli Usa sono più volte entrati e usciti, la loro firma risale solo al 22 aprile 2016 (Obama, 44esimo presidente), la loro ratifica solo al 20 gennaio 2021 (Biden, 46esimo). L’Eritrea è stato l’ultimo Stato a ratificare l’UNFCCC, nel 2023, il 7 febbraio. Gli unici paesi che non hanno ratificato l’accordo sono alcuni paesi mediorientali (abbastanza emettitori di gas serra): Iran (il 2% del totale mondiale), Libia e Yemen.
Il negoziato da trent’anni coinvolge tutti i paesi e tutti i soggetti dell’economia mondiale, con periodici report pluriennali degli scienziati di innumerevoli discipline (sei dal 1990), che attraverso il loro panel di decine di migliaia di studiosi e ricercatori (IPCC) o in altra sede ripetono che bisognerebbe agire molto più in profondità e molto più rapidamente per evitare gli effetti più negativi e gli scenari peggiori. Risulta certo possibile vedere anno per anno i progressi dei due principali impegni indicati, per la riduzione delle emissioni climalteranti (riscaldanti e inquinanti) e per l’adattamento agli effetti del cambiamento climatico antropico globale, una conferenza dietro l’altra, da Cop1 a Berlino (28 marzo - 7 aprile 1995) verso Cop2 a Ginevra (8 - 19 luglio 1996), a Cop3 a Kyoto (1 - 13 dicembre 1997) e ancora in avanti, più o meno ogni dodici mesi, fino alla Cop28 a Dubai (30 novembre - 12 dicembre 2023) e alla ventinovesima di Odessa in Ucraina nel prossimo 2024.
Tuttavia, il clima non è il meteo, non basta un giorno più tiepido o rigido, più secco o piovoso, questo giorno o quella settimana, per invertire tendenze, costituisce questione di statistiche di medio-lungo periodo e il negoziato climatico non è finora progredito con buoni risultati concreti, gli scenari restano drammatici, è probabile che dovremo comunque fare i conti con sconvolgimenti e migrazioni epocali. In questi decenni pochi Stati hanno mantenuto impegni o promesse per tagli più consistenti alle proprie emissioni e per efficaci piani di mitigazione e adattamento. Le conferenze annuali ufficiali appaiono perlopiù ripetitive e inconcludenti. In più occasioni alcuni attori in vario modo hanno tentato di dare una scossa per accelerare, riuscendo a creare una maggiore consapevolezza collettiva ma non a imporre un ritmo coerente, costante ed efficace alle politiche dei singoli governi nazionali. Per fare due esempi, il protocollo di Kyoto diede una scossa al negoziato, i venerdì di Greta Thunberg davanti al Parlamento svedese hanno scosso l’opinione pubblica.
Il Protocollo di Kyoto non è più in vigore. Aveva impegni precisi, scadenzati e vincolanti, suggeriti dalla ricerca scientifica di decenni, chiesti dall’Ipcc fin dal 1990, impliciti al momento della firma dell’intelaiatura della Convenzione. Quando fu approvato a fine 1997 suscitò grandi aspettative nell’opinione pubblica e fra gli studiosi, grande allarme fra multinazionali e Stati che sfruttavano i combustibili fossili, comunque l’Unione Europea ci arrivò pronta e determinata concertando politiche coerenti nella “bolla” europea. Tuttavia, la procedura stessa di entrata in funzione era volutamente lenta e farraginosa, basti pensare che è divenuto operativo solo oltre 8 anni dopo, il 6 febbraio 2005, grazie alla costosa pressione dell’Unione Europea sulla Russia, che è stato archiviato già prima del 2015 e che ogni sua disposizione approvata (alcune sono sempre rimaste in sospeso, fin dal 1997) ha cessato di essere operativa nel 2020. Senza vincoli e sanzioni, tutto era ed è rimasto su base volontaria. Ogni Stato che “emette” voleva e vuole “guadagnarci” qualcosa da un cambio e, comunque, finisce per tutelare gli interessi pubblici e privati che guadagnano da carbone e petrolio, per qualsiasi uso e in qualsiasi luogo siano estratti e bruciati. Il Protocollo è divenuto paradigmatico delle difficoltà contemporanee dell’Onu, diede una scossa al negoziato, ma l’impatto è stato via via “gattopardescamente” diluito, riassorbito, passivizzato.
Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg ha compiuto 20 anni il 3 gennaio 2023 a Stoccolma e ha iniziato a scuotere la Svezia e il mondo nell’agosto del 2018 durante un’eccezionale ondata di calore, uno degli eventi estremi di cui sono aumentate frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici antropici globali: da allora ogni venerdì si è seduta sui gradini che fanno accedere al palazzo del Parlamento svedese, tenendo in mano un cartello con la scritta Skolstrejk för klimatet e iniziando così lo “sciopero scolastico” per il clima che è via via sempre più migrato anche in altre città europee, in altri parlamenti o scuole e in tutte le parti del mondo, con lo slogan #fridayforfuture. Greta è diventata il simbolo di milioni di giovani che vogliono lottare per il loro futuro, minacciato dalla crisi climatica, un movimento nato dal basso per smuovere i rappresentanti istituzionali e i governi affinché prendano al più presto provvedimenti concreti in difesa degli ecosistemi. Le nuove generazioni chiedono ancora più progresso e più investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico, ma che siano sostenibili: c’è un modo predatorio di aumentare le ricchezze, consumando le risorse in forme sconsiderate, oppure c’è quello più redistribuito e che va a vantaggio di tutti, riducendo le diseguaglianze. Thunberg ha coinvolto positivamente l’opinione pubblica, tutti ormai sono più a conoscenza dei fenomeni climatici e degli scenari, tuttavia non è riuscita ad accelerare il negoziato climatico.
Una svolta non si è determinata. In parte era scontato (interessi di molti singoli Stati) o già contrastato (corposi interessi economico-energetico-finanziari). In parte lo strumento scelto, un’ossatura di principi non vincolante, fa comunque parte di un sistema burocratico forse indispensabile ma abbastanza inefficiente (l’Onu). In parte c’è una diacronia temporale fra le urgenze di lungo periodo e i sistemi democratici (perlopiù bipolari, basta guardare al caso americano) o non democratici (basta guardare al caso russo). In parte c’è una diacronia temporale fra il ritmo delle scelte politiche e le tendenze geopolitiche del mondo contemporaneo (e ciò vale pure nel caso europeo). Protocollo di Kyoto e Greta Thunberg sono solo due dei tanti esempi di scatti parzialmente riassorbiti in questi tre decenni. A ogni conferenza si sottolinea qualche passo in avanti, ma è percepibile solo da chi si vede dal 1995 varie volte ogni anno in posti belli e brutti del mondo (pur restando spesso troppo soltanto nei “non luoghi” degli edifici dedicati), conoscendo a memoria funzionari e apparati, dati e calcoli, tecniche e procedure.
Il negoziato climatico e l’incedere ritmato delle conferenze annuali delle parti non sono l’unica attività insoddisfacente dell’Onu. Sprechi, lentezze, contraddizioni fanno parte del sistema, da tempo è urgente una profonda riforma dell’organizzazione non democratica delle nazioni unite (non solo per le illogiche datate individuazione dei membri permanenti e composizione del Consiglio di Sicurezza). Tuttavia, qualcuno deve pur cercare di occuparsi, in teoria su mandato di tutti, per politiche attive e non violente di pace e di disarmo, contro la fame e la povertà, per gli ecosistemi e la sicurezza, per la salute e l’informazione e i diritti inalienabili di ogni sapiens, per prevenire e assistere rifugiati politici e profughi climatici. L’ONU è una premessa fondamentale per la solidale compassionevole amministrazione sociale, politica, diplomatica e giuridica di noi otto miliardi, in un (discutibile) sistema di Stati-nazione.
Resta l’urgenza di una svolta nel negoziato climatico, Greta e Kyoto ci hanno indicato forse una traccia: selezionati e parziali impegni ma seri e vincolanti, individuali e collettivi. La giovane svedese si è data nella propria vita il vincolo di almeno tre azioni coerenti con l’obiettivo della riduzione (una delle tre è non prendere l’aereo). Ognuno di noi può scegliere le proprie (anche continuando a prendere aerei, pur il meno possibile) e rispettarle davvero in modo intransigente. Contemporaneamente, dovremmo praticare l’intransigenza verso chi si candida nelle istituzioni pubbliche e nelle associazioni collettive: negazionisti (antiquati terrapiattisti) non sono ammissibili in luoghi di decisione. Non aspettiamoci molto dal rito delle annuali conferenze delle parti sul clima e giudichiamole comunque con intransigenza. Poche cose buone sono state episodicamente realizzate, alcuni progetti sono in corso, molto si potrebbe ottenere dal proprio parlamento e dal proprio governo, dalla propria regione e dalla propria città.
La questione prioritaria, nazionale e locale, pubblica e privata, è ridurre drasticamente e azzerare al più presto produzioni, trasporti e consumi che inducono più o meno direttamente le continue emissioni di gas serra provocate dall’uso dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas), principali responsabili del riscaldamento del pianeta, di ingenti sconquassi per la biodiversità e d’ingenti danni per la salute dei sapiens (è stato recentemente calcolato che l'inquinamento causato dai combustibili fossili sarebbe la causa di 8,7 milioni di morti umane nel mondo ogni anno). La nuova intelaiatura, il nuovo accordo, la nuova cornice da costruire riguarda sia una condivisa urgente lungimirante efficace Legge italiana sul clima che la moltiplicazione di esperienze diffuse di un modello di sviluppo sostenibile e di qualità per l’oggi e gli anni a venire. Le discriminanti sono appunto la cosiddetta decarbonizzazione (l’abbandono delle fonti fossili) e, prima ancora, il conseguimento della neutralità climatica (equilibrio fra emissioni e assorbimenti), guardando al benessere di chi ha di meno (le diseguaglianze sociali sono crescenti anche nel nostro paese e l’aiuto internazionale allo sviluppo è pure bassissimo), privilegiando i soggetti economici che investono su produzioni e tecnologie verdi, sostenendo le realtà imprenditoriali nella riconversione e le comunità energetiche rinnovabili nell’avvio, proteggendo i lavoratori dagli effetti potenzialmente avversi del passaggio a una modalità più consapevole e circolare di convivere, produrre, consumare e muoversi.