SCIENZA E RICERCA

L'apertura bengalese al Golden Rice riapre la diatriba sugli OGM

Dopo anni di ricerche e di stallo politico, sembra che il Bangladesh sarà il primo Paese al mondo ad approvare la coltivazione del Golden Rice, un riso geneticamente modificato sviluppato alla fine degli anni ’90 da due ricercatori tedeschi, Ingo Potrykus e Peter Beyer, e da sempre al centro di molteplici polemiche.

La peculiarità di questa varietà di riso è il suo arricchimento con un gene di mais che permette lo sviluppo, tramite un enzima normalmente assente nel cereale, di ß-carotene, il quale, una volta assorbito, viene trasformato dal corpo umano in vitamina A. Proprio questa caratteristica ha fatto fin da subito di questa ricerca – per volontà stessa dei suoi creatori e promotori – un progetto umanitario: lo scopo è infatti fornire uno strumento che contribuisca a risolvere il problema della carenza da vitamina A (Vitamin A Deficiency: VAD), diffusissima nei paesi in via di sviluppo, in particolare nell’Asia Sud-orientale. Tra i vari problemi di malnutrizione, la VAD è infatti particolarmente grave in quanto colpisce soprattutto le donne in gravidanza ed i bambini, e in questi ultimi causa sia problemi di vista – che, se non adeguatamente trattati, possono anche sfociare nella cecità – sia una maggiore esposizione alla contrazione di malattie infettive, come il morbillo.

Dai primi anni Duemila, quando il prodotto è stato perfezionato (il Golden Rice 2 contiene un quantitativo di ß-carotene 23 volte superiore rispetto alla prima versione), il brevetto, sviluppato con i fondi della multinazionale Syngenta, è stato donato agli istituti di ricerca di alcuni paesi in via di sviluppo, come l’IRRI (International Rice Research Institute, con sede nelle Filippine) e il BRRI (Bangladesh Rice Research Institute), i quali hanno avviato progetti di ricerca indipendenti volti ad applicare la specifica tecnologia di editing genetico su varietà di riso ben adattate alle condizioni climatiche locali. Dopo un lungo periodo di indagini scientifiche e di test sul campo, si è scelto di trasformare in Golden Rice una varietà locale di riso, il Boro rice (dhan29), di largo consumo in paesi come il Bangladesh, l’India e le Filippine – che sono anche alcuni dei paesi in cui si registrano i tassi più alti di VAD: si parla circa del 25% della popolazione infantile, e del 23% delle donne incinte. Il punto di forza del Golden Rice è che si tratta di una misura contro la malnutrizione facilmente attuabile, in quanto agisce “biofortificando” uno dei prodotti che sono alla base dell’alimentazione delle popolazioni asiatiche: infatti, spesso i più poveri possono contare sul riso come unica, o quasi, fonte quotidiana di nutrimento.

Il forte riconoscimento di cui questo progetto gode da parte della comunità scientifica è culminato, nel 2019, con il suo inserimento, da parte del Project Management Institute, nella lista dei progetti di ricerca più influenti degli ultimi cinquant’anni. Tuttavia, esso ha subìto molte critiche, sia da parte delle associazioni ambientaliste, sia da parte di esponenti della società civile.

Innanzitutto, il Golden Rice viene demonizzato semplicemente in quanto frutto di un processo di ingegneria genetica: come è noto, da molto tempo è in corso un annoso dibattito sull’opportunità dell’uso, in agricoltura, di organismi geneticamente modificati, soprattutto in relazione ai loro effetti sulla salute umana e sull’ambiente. Le argomentazioni contro la loro legalizzazione si basano spesso su dati non aggiornati: se, infatti, è vero che la prima generazione di OGM è stata creata per essere resistente ai pesticidi, e che la diffusione di queste piante ha causato un improprio – ed estremamente dannoso – aumento dell’uso di pesticidi, la seconda generazione, di cui il Golden Rice fa parte, è principalmente composta da organismi biofortificati, cioè arricchiti con micronutrienti il cui apporto è importante per la salute umana.

In secondo luogo, coloro che hanno riserve sulla commercializzazione del Golden Rice avanzano considerazioni, decisamente più pertinenti, sull’impatto sociale di questo prodotto. Da una parte, infatti, sottolineano come il problema della malnutrizione sia un’emergenza sociale, alla quale non si può pretendere di reagire con una soluzione meramente tecnologica. È necessario – essi sostengono – intervenire prima di tutto in ambito culturale, educando la popolazione in tema di nutrizione, e in secondo luogo con provvedimenti economici di sostegno alle fasce più svantaggiate, in modo da garantire loro l’accesso ad una dieta più varia ed equilibrata. Questa posizione è, peraltro, esplicitamente condivisa dagli stessi sviluppatori del Golden Rice, i quali non pretendono affatto di aver trovato la soluzione definitiva ad un problema innegabilmente complesso, che va risolto con un approccio integrale, agendo su molteplici fronti.

Inoltre, viene espressa preoccupazione per l’operazione di marketing che potrebbe nascondersi dietro al Golden Rice: il proporlo come un “OGM buono”, il cui consumo apporta benefici alla salute, potrebbe essere infatti un modo per far cadere il velo di sospetto che la gente comune nutre nei confronti delle coltivazioni OGM, e quindi per rendere più facile l’accettazione di queste ultime e il loro inserimento sul mercato – a partire, inoltre, proprio dal mercato asiatico, il più grande del pianeta.

Gli OGM costituiscono una minaccia, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, non tanto dal punto di vista sanitario o ambientale – molti studi scientifici minimizzano o smentiscono del tutto questo genere di preoccupazioni –, quanto dal punto di vista economico. Infatti, come succede in India per la coltivazione del cotone OGM, molto spesso le multinazionali che detengono il brevetto (per gli OGM, ad esempio, la Monsanto è praticamente l’unico detentore) arrivano a costituire un monopolio delle sementi, e impongono ai contadini di acquistare nuovamente ogni anno i semi a prezzi proibitivi, controllando così il mercato e lasciando gli agricoltori in una condizione di estrema povertà.

Dunque, dare il via alla coltivazione del Golden Rice è sicuramente una decisione positiva, che può contribuire, in un paese come il Bangladesh, a migliorare la qualità di vita di moltissime persone; tuttavia, come nel caso di altre coltivazioni OGM, è necessario tenere ben presente che esse non possono rappresentare la soluzione definitiva a problemi sociali o ambientali di natura complessa, i quali devono essere affrontati mediante interventi che tengano conto di tale profondità. La tecnologia può rivelarsi, certo, estremamente utile, ma non possiamo affidarci ciecamente ad essa nella speranza che risolva, come per magia, i nostri problemi.

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