CULTURA
L'assurdo e l'indifferenza. “Lo straniero” a 60 anni dalla scomparsa di Camus
La percezione dell'assurdo e della sua ineluttabile presenza in ogni aspetto della realtà è una delle caratteristiche che influenza il lavoro di Albert Camus, autore del celebre Il mito di Sisifo, de La peste, e Lo straniero – attributo, quest'ultimo, che poteva essere usato per descrivere proprio lui, un uomo francese nato e cresciuto in Algeria, spesso considerato un privilegiato per le sue origini europee.
L'opera letteraria di Camus è pervasa da una sua logica irrazionale che spinge l'assurdo alle sue estreme conseguenze, nel tentativo di superarlo. La stessa vita di Camus non è esente da elementi di assurdità. A 17 anni gli viene diagnosticata la tubercolosi, nonostante sia un uomo forte e nel pieno della giovinezza. Altrettanto assurda è la sua morte, che non ha niente a che fare con la sua malattia, e che lo sorprende in un incidente d'auto proprio quando è uno scrittore giovane e di successo.
Lo straniero è diventato un classico della letteratura del Novecento. La sua prosa asciutta e lineare segue i pensieri e le vicende di Meursault, un uomo francese che fa l'impiegato ad Algeri, il quale trascorre le sue giornate passivamente, talmente abituato all'assurdità della vita da trovare indifferente ogni cosa. Lo straniero non è l'uomo arabo che Meursault uccide a sangue freddo, senza che ce ne sia un reale motivo, ma è proprio lui, estraneo rispetto a se stesso e a tutto quello che lo circonda: le convenzioni, i legami, gli affetti, perfino la morte. Meursault è “straniero” anche rispetto ai sentimenti che ci si aspetterebbe da lui, come il dolore per la morte della madre o il senso di colpa per aver ucciso un uomo. Nulla sembra toccarlo, caratteristica che inizialmente turba solo in maniera parziale i personaggi che gli ruotano attorno. Un esempio di ciò è Maria, la sua fidanzata, che egli accetta passivamente di sposare.
“La sera Maria è venuta a prendermi e mi ha chiesto se volevo sposarla. Le ho detto che la cosa mi era indifferente, e che avremmo potuto farlo se lei voleva. Allora ha voluto sapere se l'amavo. Le ho risposto, come già avevo fatto un'altra volta, che ciò non voleva dir nulla, ma che ero certo di non amarla.“Perché sposarmi, allora?” mi ha detto. Le ho spiegato che questo non aveva alcuna importanza e che se lei ci teneva potevamo sposarci. Del resto era lei che me lo aveva chiesto e io non avevo fatto che dirle di sì. Allora lei ha osservato che il matrimonio è una cosa seria. Io ho risposto “no”. È rimasta zitta un momento e mi ha guardato in silenzio. Poi ha parlato: voleva soltanto sapere se avrei accettato la stessa proposta da un'altra donna cui fossi stato legato allo stesso modo. Io ho detto: “naturalmente”. Allora si è domandata se lei mi amava, e io, su questo punto, non potevo saperne nulla. Dopo un altro istante di silenzio, ha mormorato che ero molto strambo, che certo lei mi amava a causa di questo, ma che forse un giorno le avrei fatto schifo per la stessa ragione. Siccome io tacevo, non avendo niente da dirle, mi ha preso il braccio sorridendo e ha detto che voleva sposarmi”. Lo Straniero, A. Camus, Bompiani, 2000.
La disarmante sincerità di Meursault diventa però sconcertante per molte persone, dopo che l'omicidio è stato compiuto. Gli avvocati che lo interrogano cercano di trovare un briciolo di umanità in lui, si aspettano colpa, rimorso, anche solo paura; più rimangono delusi, però, più si trovano a disagio di fronte a quest'uomo così insensibile. Il lettore stesso, in effetti, si aspetta che a un certo punto Meursault si renda conto di qualcosa, che urli, che strepiti, che manifesti qualche reazione “a caldo”. E invece egli dimostra semplicemente che ci si può abituare a tutto. Cosicché, niente è capace di svegliare l'uomo dalla sua passiva accettazione di qualunque realtà gli si palesi davanti agli occhi.
Ho pensato spesso, allora, che se avessi dovuto vivere dentro un tronco d'albero morto, senz'altra occupazione che guardare il fiore del cielo sopra il mio capo, a poco a poco mi sarei abituato. “Avrei atteso passaggi di uccelli o incontri di nubi […]. Del resto era un'idea della mamma, e lei lo ripeteva sempre, che si finisce per abituarsi a tutto”. Lo Straniero, A. Camus
Qualunque cosa può essere vissuta passivamente. La vita, la morte, la libertà e la prigionia. L'assoluta lucidità del protagonista è quella di chi non si stupisce più dell'assurdo, che non ha bisogno di rassegnarsi agli imprevisti, perché è come se fosse già rassegnato in partenza. L'unica caratteristica “umana” di Meursault è la sua ricerca di un benessere personale, di una tranquillità, che egli ricerca per esempio nei suoi tentativi di difendersi dal caldo, di dormire comodo in ogni situazione, come se ogni sua scelta fosse determinata semplicemente da esigenze fisiologiche e dall'attaccamento ad alcune semplici abitudini. Sono questi gli aspetti che permettono di riconoscere il protagonista de Lo straniero come un mero contenitore delle sue sensazioni estemporanee, mentre attraversa la vita restando isolato nella sua completa apatia.
Quello che viene da chiedersi, allora, è quanto di questo atteggiamento sia condiviso da Camus. Possibile che di fronte all'insensatezza di tutto siano l'apatia e la completa lucidità le uniche armi che l'uomo ha a sua disposizione?
Albert Camus (1913-1960)
Camus si chiede a un certo punto se una soluzione alternativa possa essere rintracciata nella giustizia. No, è la risposta, perché a sua volta questo concetto sembra avere confini talmente sfumati e trovare applicazione alle varie situazioni in modo talmente diverso che anche a questa non è possibile affidarsi. Lo scrittore, però, dimostra di procedere oltre rispetto al mondo privato in cui vive il protagonista de Lo straniero. Come emerge dal romanzo La peste, egli trova una nuova possibile reazione in risposta all'assurdità della vita, una soluzione che di certo non può risolvere del tutto il problema, ma che per lo meno lascia spazio a un soffio di ottimismo. Si tratta della fiducia di Camus nel sentimento di solidarietà. Ecco che allora la precarietà e l'insensatezza del vivere appaiono impossibili da sconfiggere chiudendosi nel proprio spazio personale e che un sollievo, per quanto parziale, può nascondersi invece nella “simpatia” tra gli uomini e nella volontà di stringersi tra loro e collaborare.