Da molti anni tantissimi giovani abbandonano i Paesi in guerra, in particolare quelli del Medio Oriente. Se fortunati, raggiungono territori in cui possono studiare e crescere in modo professionale. È una tema molto particolare, così come anche seguire il percorso di carriera di queste persone. Penso, per esempio, ad Ara Norenzayan, psicologo cognitivo, uno dei massimi esperti al mondo di studio dell’evoluzione delle credenze religiose a Vancouver. Di origine armena, abitava in Libano e ha vissuto la guerra a Beirut.
Parlo di questo argomento perché nelle ultime settimane mi ha colpito il racconto delle manifestazioni in Libano e Iraq di tantissime persone giovani che per tutta la loro vita hanno visto la guerra da quando sono nate. Mi immedesimo di come possa vedere il mondo un giovane che ha vissuto solo la guerra ma vede, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, come è vivere al di fuori di un conflitto. Si tratta, anche questa, di una forma di disuguaglianza molto forte: come mai un adolescente dell’Iraq non ha le stesse possibilità di una persona che vive in Italia, a poco più di 4 ore di distanza in aeroplano?