Sono nel Dipartimento di matematica Tullio Levi Civita, dell’Università di Padova, davanti a una parte della collezione di modelli matematici di Giuseppe Veronese. Prendo spunto dalla matematica, perché la matematica è importantissima anche per i modelli ecologici, per esempio quelli che ci aiutano a capire cosa sta succedendo nelle dinamiche globali del clima e dell’ambiente.
Mi ripeto, osservando ancora una volta che il divario tra quello che dicono le riviste scientifiche e quello che invece dice la politica e anche quello che stiamo facendo è ormai incolmabile. Pare proprio che parlino linguaggi diversi.
In un lavoro pubblicato su Science a fine giugno, ad esempio, si spiega in modo dettagliato che gli sforzi fatti al momento per limitare l’andamento della crisi climatica sono del tutto insufficienti, ormai siamo arrivati a 1,25 gradi di temperatura media globale in più, e che ormai non c’è alcuna possibilità di rispettare gli accordi di Parigi e dunque di fermarsi a 1,5 gradi. Si tratta di un lavoro ricco di dati, di cui non ha parlato nessuno, e che pure conferma una brutta notizia, e cioè che gli accordi fatti non saranno più sufficienti.
Poco dopo, a luglio, è uscito un altro lavoro molto bello su Nature communications. da parte di un gruppo di ricerca spagnolo, che contiene analisi integrate tra dati ambientali e dati sociali (il paper si intitola Green gentrification in European and North American cities). Gli autori si concentrano su un fenomeno particolare, la green gentrification. Se per gentrification si intende quella serie di attività e operazioni di riqualificazione di un quartiere cittadino che prima era popolare e che, in seguito a ristrutturazioni e investimenti, cambia e diventa più ambito, con prezzi più alti e spesso dunque inaccessibile a chi ci abitava prima, qui ci si concentra su un aspetto ancora più particolare e specifico. E cioè agli effetti conseguenti agli interventi di riqualificazione urbana in chiave ambientale. Questi ricercatori hanno analizzato moltissime città, guardando allo urban greening, e cioè tutte le operazioni di intensificazione del verde urbano, anche con boschi e foreste urbane, e hanno visto che queste operazioni aumentano in modo significativo tutte le disuguaglianze, economiche e sociali. Insomma, l’accesso a queste nuove aree verdi diventa esclusivo per persone più ricche, che vanno a vivere in quartieri più belli perché più verdi.
Questo è importante perché è un altro tassello dell’ingiustizia climatica e ambientale. Facciamo interventi di riqualificazione verde delle città che vanno a vantaggio solo dei più ricchi. E questo è assai sbagliato perché un miglioramento delle condizioni ambientali che avvantaggia solo i ceti più ricchi non funzionerà mai. Intanto perché dà adito alle critiche che vedono l’ambientalismo come materia per le persone radical chic, in una retorica populista che rischia di diventare un altro motivo di rallentamento della transizione ecologica. E poi perché dobbiamo costruire davvero un ambientalismo popolare, accessibile e giusto per tutti. E questa è una delle sfide che ci aspetta nei prossimi anni.