SOCIETÀ

L'editoriale. Morire di giada, morire di coltan, morire per noi

Alcuni giorni fa, in una miniera di giada in Birmania, sono morte più di 160 persone che stavano cercando la giadeite, che ha un commercio molto lucroso in Cina. A causa delle piogge monsoniche si è formata una valanga che ha travolto i minatori. 

Parlo di questa notizia perché, nonostante nei giornali abbia avuto risalto per poco, è importante: si collega ad altre notizie e al tema generale della devastazione ambientale unita all’ingiustizia sociale e alle violenze, anche sui minori, che in tutto il mondo avvengono a causa della ricerca spasmodica e lucrosa di questi metalli rari. Altri esempi sono le miniere scavate distruggendo ambienti ricchissimi di biodiversità per cercare il nichel, il rame, il cobalto, il litio, lo zinco: tutti metalli piuttosto rari fondamentali per lo sviluppo di tecnologie che ci permetterebbero di superare l’uso dei combustibili fossili. È una contraddizione dovuta alle interdipendenze in cui siamo immersi oggi: ne abbiamo necessità per una causa buona ma la loro ricerca porta un forte danno ambientale e sociale. 

Altro esempio di contraddizione riguarda la ricerca del coltan, soprattutto in Congo, che serve per i nostri PC, per i nostri smartphone, per il benessere generale dei paesi occidentali. Quelle miniere sono un orrore: ci lavorano bambini, schiavi. E i proventi finiscono nelle mani di oscuri signori della guerra. È una pratica inaccettabile in un mondo che vuole dirsi civile. Quindi, quando sentiamo parlare di una tragedia in Birmania, ricordiamoci che fa parte di uno sfruttamento globale e di un tema che unisce la crisi ambientale e le ingiustizie sociali. Il benessere nel quale noi viviamo oggi poggia su una montagna di ingiustizia. 

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