CULTURA

Libri, autrici protagoniste: è arrivato il cambio di paradigma?

Ricordate cos’ha detto Giovanni Solimine, il presidente della Fondazione Bellonci (responsabile del Premio Strega che è, insieme al Campiello, il più famoso riconoscimento letterario italiano), all’alba dell’annuncio della dozzina di titoli selezionati quest’anno?

Sostanzialmente che la letteratura italiana è acerba e i nostri autori “emuli” degli americani. Ovviamente sono piovuti i dissensi, una vera e propria levata di scudi. Giustamente.

Teresa Ciabatti, scrittrice e firma del Corriere (tra il resto arrivò seconda al Premio Strega nel 2017), ritiene che le parole di Solimine siano state fraintese, anche perché gli Amici della domenica (così si chiamano i votanti, in origine sufficientemente pochi da potersi riunire nel salotto di casa Bellonci, la domenica) sono da sempre stati sensibili alla capacità di innovare mostrata dagli autori italiani, cercando di operare, di fatto, una selezione di qualità. Non a caso, chiosa Ciabatti, Claudia Durastanti, con La straniera (La Nave di Teseo, 2019), quest’anno è nella dozzina del premio.

E non è l’unica ad elogiare la scrittrice, classe 1984, nata a Brooklyn e ora stabile a Londra, che ha esordito nel 2010 Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra per il quale ha ricevuto il Premio Mondello Giovani. Federica Manzon (scrittrice e direttrice didattica della Scuola Holden, fino all’anno scorso senior editor alla narrativa straniera per Mondadori) nel suo profilo Facebook scrive così:

e alla selezione della cinquina del Campiello il suo nome è uscito parecchie volte, pur non riuscendo ad entrare tra i finalisti.

Se poi al Campiello c’è un solo titolo di una donna su cinque, controtendenza (si dice che siano gli scrittori uomini i più amati dai lettori forti italiani, che in realtà sono prevalentemente lettrici) a vincere la prima edizione italiana del prestigioso, e molto remunerativo, premio DeA Planeta - in palio, oltre alla pubblicazione anche in Spagna e America Latina, 150.000 euro di anticipo sui diritti e la traduzione in inglese e francese - è stata, con Nel silenzio delle nostre parole, Simona Sparaco, che ha concorso sotto pseudonimo maschile. “Si parla tanto di scrittura femminile e scrittura maschile, volevo vedere se i giurati se ne sarebbero accorti” ha scherzato ai nostri microfoni. Vero è anche il fatto che, con un assegno così significativo, probabilmente hanno concorso al premio diversi “big”, e non sarebbe stato molto funzionale all’immagine far sapere… di aver perso.

In ogni caso il tema della scrittura femminile versus quella maschile rimane, nella nostra letteratura come nelle altre, un tormentone. “Grazie ad Elena Ferrante [che però non si sa se sia effettivamente una donna: molti propendono per Domenico Starnone, o per lo scrittore napoletano e sua moglie, la traduttrice Anita Raja]” dice Teresa Ciabatti “c’è più attenzione per la scrittura femminile: dobbiamo esserle grate”.

Ma c’è una differenza reale nella scrittura di uomini e donne? Ciabatti non ha dubbi: è la messa a fuoco di dettagli e sentimenti a distinguere uno scrittore da una scrittrice e, per lei, ad esempio, Elena Ferrante non può che essere una donna. “Lo si capisce dai particolari con valore simbolico, come l’uso delle bambole nella narrazione”.

Ma cos’hanno di speciale La straniera di Claudia Durastanti e Nel silenzio delle nostre parole di Simona Sparaco? Ciabatti su Durastanti è lapidaria: “Ce la invidierà tutto il mondo, per capacità inventiva e innovazione linguistica; il suo romanzo ribalta i canoni e li rivoluziona”. La straniera racconta infatti la giovinezza “scapigliata” dei genitori della scrittrice, che sono entrambi sordi. Ciò che nella normalità è limite qui diventa punto di osservazione, quasi a dire che in fondo siamo tutti disabili, o prima o poi lo diventiamo. La lingua è creatrice e tagliente, ossimorica e travolgente: chiaramente identificabile, e questo è un pregio assoluto per uno scrittore.

Il romanzo vincitore del DeA Planeta, invece, è di tutt’altra pasta. Fluido e coinvolgente nella scrittura, parte da un fatto reale (l’incendio della Grenfell Tower di Londra, divampato in una torre di 24 piani il 14 giugno del 2017, in cui hanno perso la vita 72 persone) opportunamente trasfigurato per farsi letteratura. Il gioco è quello, utilizzato sin dai tempi dei tragediografi greci, di rendere il lettore (nel loro caso, lo spettatore) consapevole di quello che accadrà ai protagonisti, mentre loro lo ignorano. In questo modo tutto assume un carattere imminente e il particolare si muta in universale: la coincidenza assurge a fatto storico. In tutto questo, è scandagliato a fondo il rapporto madre-figlio, da ambedue i punti di vista, forse perché l’autrice, nello scrivere, aspettava il suo secondogenito.

L’abbiamo intervistata:

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