Non c’è dubbio alcuno: il libro è stato scritto da due curiosoni. Non due persone intriganti – tutt’altro -, ma due persone estremamente curiose. Che amano scoprire le cose e così si divertono, in un gioco che è, allo stesso tempo, infinito e attraente. Scienziati. E, dunque, scrittori. I due sono Edoardo Boncinelli, biologo (con laurea in fisica), e Antonio Ereditato (fisico delle particelle). E il gioco che ci propongono è quello, ca va sans dire, della scienza. Infatti il libro è intitolato, non a caso: L’infinito gioco della scienza (Il Saggiatore, pag. 224, euro 16,00).
Ma già il sottotitolo ci mette in guardia: Come la cultura scientifica può cambiare il mondo. È evidente che i due, Boncinelli ed Ereditato, hanno lucida consapevolezza che questa loro gioiosa attività sia estremamente profonda e potente. La scienza cambia il mondo, cambia noi stessi e cambia la visione che abbiamo del mondo.
Il libro è un denso ma agevole percorso che mostra come la scienza sia conoscenza del mondo, azione sul mondo e visione del mondo. Cosicché dobbiamo aggiungere almeno altri due aggettivi al nome degli autori. Non solo curiosoni. Ma anche illuministi. Anzi, illuministi per nulla ingenui.
L’analisi da cui partono è amara. Viviamo, dicono, nell’Età dell’Elogio dell’ignoranza. Negli ultimi lustri il gap di conoscenze tra gli scienziati e il resto della società (nella sua parte maggioritaria, almeno) è aumentato. E infatti alla ricerca scientifica vengono opposte crescenti resistenze.
E tuttavia a questa amarezza Boncinelli ed Ereditato oppongono “l’ottimismo della ragione”. Non il gramsciano “ottimismo della volontà”, ma l’illuminista, appunto” ottimismo che si fonda sulla ragione. Perché il viaggio della scienza discende da un carattere innato e insopprimibile di Homo sapiens: la curiosità. E il viaggio della scienza, iniziato molti millenni fa, ma incanalato nel letto galileiano delle “sensate esperienze” e delle “certe dimostrazioni” a partire dal Seicento, non avrà mai fine. È un gioco infinito. Sia nel senso che è eterno. Sia nel senso che (come vedremo tra poco) è appena iniziato.
Eduardo Boncinelli e Antonio Ereditato sono gioiosi curiosoni non nuovi alla scrittura. Insieme hanno già scritto un libro. Questo però è una proposta diversa: un libro che osserva la scienza a 360 °C e così ci offre spunti di riflessione su tutte le sue sfaccettature: scientifiche in senso stretto, ma anche filosofiche, etiche, sociali. Si può essere più o meno in accordo su alcuni punti – chi scrive, per esempio, pensa che la scienza sperimentale rinasce nel Seicento, ma nasce prima, in poca ellenistica; inoltre pensa che democrazia e scienza abbiano molto più in comune di quanto affermano Boncinelli ed Ereditato – ma è certo che la proposta editoriale è più che mai stimolante. È un libro da leggere, insomma. Non solo per chi ha già una curiosità scientifica, ma anche e soprattutto per chi questa curiosità non l’ha ancora iniziata ad allenare.
Cogliamone al volo alcuni, di questi stimoli. Uno riguarda la natura della scienza. Non tanto la domanda “cos’è?” (cercheremo una risposta, per quanto fugace, tra poco), quanto piuttosto la domanda “a cosa serve?”. Ebbene, Boncinelli ed Ereditato ci offrono tre risposte complementari a quest’ultimo, antico quesito: 1) la scienza ha un “valore in sé”, perché amplia in maniera sistematica le nostre conoscenze sul mondo e sui noi stessi; 2) la scienza ha un “valore d’uso”, perché le nuove conoscenze che produce generano nuove capacità (leggi tecnologia) di agire sul mondo e sui noi stessi, modificando lui e noi; 3) la scienza cambia la “visione del mondo” e, quindi, di noi stessi nel mondo.
E, in effetti, la storia ci dice che negli ultimi quattro secoli e mezzo – chi scrive fa nascere la “nuova” scienza sperimentale intorno al 1570 – le nostre conoscenze sul mondo fisico e biologico, quindi anche su noi stessi, sono enormemente aumentate. Nel medesimo tempo ha avuto uno sviluppo incredibile l’innovazione tecnologica: negli ultimi due secoli hanno avuto luogo due delle tre grandi transizioni economiche fondate sull’innovazione tecnologica: la rivoluzione industriale a inizio Ottocento, la rivoluzione digitale parte fondante dell’economia della conoscenza negli ultimi lustri (la prima transizione è quella avvenuta tra dodici e diecimila anni fa, quella dell’agricoltura e dell’allevamento). Le due ultime transizioni nella storia dell’economia umana sono figlie della scienza.
Ma, a ben vedere, negli ultimi 450 anni, quello che è cambiata di più è la visione che abbiamo del mondo e di noi stessi. Fino a Galileo (avendo dimenticato la lezione ellenista, aggiunge che scrive) la nostra visione era quello di un universo chiuso nello spazio e nel tempo, oggi sappiamo di vivere in un universo praticamente infinito nello spazio e immerso nel “tempo profondo”; fino a Darwin pensavamo di noi stessi di essere estranei alla natura e suo sovrani, da Darwin in poi sappiamo di essere parte della natura e della sua storia. In breve: nulla ha cambiato negli ultimi secoli la visione del mondo e di noi stessi più della scienza.
Le pagine scritte da Boncinelli ed Ereditato sono un inno a queste tre rivoluzioni culturali generate dalla ricerca scientifica.
Ma non solo. Troviamo ben tratteggiata l’epistemologia scientifica, ovvero le modalità con cui la scienza produce nuova conoscenza. Con un addentellato che, in passato, è spesso sfuggito ai filosofi: la scienza è un’impresa collettiva. Non esiste la scienza fatta da un solo uomo. Certo i grandi geni – Galileo, Newton, Darwin, Einstein (ma aggiungeremmo anche Archimede ed Euclide) – producono grandi accelerazioni nella acquisizione di nuove conoscenze. Ma tutti necessariamente fanno parte di una comunità informale: la comunità di coloro che cercano un consenso razionale di opinione su una serie pressoché senza confini di fatti. Nella ricerca di questo consenso razionale d’opinione due processi e un approccio sono assolutamente necessari: i due processi sono le teorie e la verifica sperimentale; l’approccio, sottolineano Boncinelli ed Ereditato, è quello del dubbio metodologico. Robert Merton lo chiamava “scetticismo sistematico”. Nulla va preso per buono senza verifica empirica. E tuttavia anche l’interpretazione dei fatti empirici (o dei dati, che dir si voglia) ha bisogno di teorie logicamente (e, magari, matematicamente) fondate. Perché i fatti da soli non parlano.
Con questa epistemologia, con queste metodologie tese a raggiungere un consenso razionale d’opinione (come dice John Ziman), gli scienziati non raggiungono mai la verità intorno alla realtà delle cose. Dovremmo definire cos’è la verità e cos’è la realtà, come saggiamente ci ammoniscono Boncinelli ed Ereditato (e loro, in parte, lo fanno, giungendo alla conclusione che l’uomo non è solo l’occhio attraverso cui l’universo ha imparato a osservare sé stesso (come sosteneva un grande fisico, Victor Weisskopf), ma l’uomo crea di fatto l’universo: ovvero la realtà che osserviamo e che non è detto che è la realtà ultima, ammesso che esista.
Ecco, dunque, che la scienza non ci dice la verità ultima, non ci fornisce certezze, come qualche ministro poche settimane fa pretendeva, ma ci propone una lettura che Boncinelli ed Ereditato definiscono affidabile (la più affidabile possibile, in un certo contesto storico).
Con le sue prassi conoscitive, fondate su quella che lo storico delle idee scientifiche Paolo Rossi definiva l’imperativo di “comunicare tutto a tutti”, la scienza si propone come un mondo aperto e trasparente. Il più aperto e trasparente che le società umane conoscono.
Perché, allora, il gap tra comunità scientifiche sembra aumentare, invece che diminuire, se la scienza si dimostra affidabile sia nel produrre conoscenze nuove sia nel generare nuove tecnologie sempre più efficaci?
La risposta che ci propongono i due autori rimanda al titolo di un libro (e a una spiegazione) di Alan Cromer di qualche anno fa: la scienza è “uncommon sense”, non si fonda sul senso comune ma naviga spesso contro la corrente del senso comune. E navigare controcorrente impone capacità e fatica: ovvero studio.
E veniamo dunque a un altro nodo del filo rosso dipanato da Boncinelli ed Ereditato: i rapporti tra scienza e società. I due autori non propongono di far tornare la comunità scientifica nell’antica torre d’avorio. Al contrario, sostengono che le due parte, la comunità scientifica e la società, devono dialogare in maniera sempre più fitta. Ma aumentando la qualità del dialogo. Da un lato gli scienziati devono imparare a comunicare: non sempre lo fanno con sufficiente abilità e rigore. Gli scienziati, diceva Einstein, devono semplificare il più possibile i concetti della scienza. Ma non più del possibile.
Nel contempo la società deve dotarsi di una sufficiente cultura scientifica. Che non significa (solo) acquisire un bagaglio di nozioni, ma soprattutto acquisire le metodologie della scienza, un approccio scientifico alla conoscenza del mondo e all’azione sul mondo. Alla scuola è demandato il compito principale, secondo i due autori, di alimentare una robusta “cultura scientifica”. Senza la quale, aggiungiamo noi, vivere nella società della conoscenza diventa un incubo. Non si può correre con una carrozza fondata sul sapere se a guidarla è l’ignoranza. Il rischio è che la carrozza cada subito nel fossato della demagogia.
Potremmo chiudere la nostra recensione richiamando una delle frasi più efficaci del libro degli illuministi Boncinelli ed Ereditato: «La libertà è poter conoscere. Il sapere è libertà». E tuttavia come non rilevare che questo libro non propone solo la ragione, ma anche un forte pathos. Una fortissima passione per la ragione, per quanto temperata anche dalla lucida consapevolezza: nessuno meglio degli scienziati sa riconoscere l’errore. Ma nessuno meglio degli scienziati sa correggerli.
In questo processo, chi fa ricerca è mosso da una forte passione, appunto. E le sue metodologie sono segnate, come per gli artisti, da una notevole capacità creativa. Da una notevole immaginazione.
«Imparate a sognare, signori, e scoprirete la verità!», diceva un grande chimico dell’Ottocento, August Kekulé. Imparate a sognare, signori, e scoprirete l’affidabilità, sostengono, con una proposta solo in apparenza più modesta, Edoardo Boncinelli e Antonio Ereditato.