Quattro esopianeti che orbitano intorno a una stella ospite di circa 10 miliardi di anni, il doppio dell’età del Sole. È TOI-561, un sistema planetario composto da tre pianeti classificati come “mini Nettuni”, corpi che hanno una composizione simile a quella di Nettuno, ma un raggio leggermente inferiore, e un quarto che ha catalizzato l’attenzione dei ricercatori. Si tratta di una Super-Terra (TOI-561 b) che orbita molto vicino alla propria stella e ha una densità inferiore a ogni attesa, tanto da far supporre la presenza di ghiaccio ad alta pressione. Dopo più di un anno di studio sono questi i risultati cui è giunto un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’Università di Padova e da Inaf – Osservatorio astronomico di Padova, pubblicati online su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
La stella è stata osservata nel 2019 con il telescopio spaziale Tess (Transiting Exoplanet Survey Satellit), nell’ambito di una missione della Nasa volta alla ricerca di pianeti extrasolari, attraverso il metodo del transito. In sostanza, si osserva il passaggio dei pianeti davanti alla loro stella ospite utilizzando una tecnica chiamata fotometria di transito ad altissima precisione: misurando l’affievolirsi della luce stellare durante il transito e il suo successivo rinvigorirsi si potrà ottenere il raggio del pianeta. Tale dato poi, combinato con la misura della massa (ottenuta invece con la tecnica della velocità radiale), fornisce la densità, che è un elemento chiave per caratterizzare la natura di questi pianeti, per capire ad esempio se si tratta di corpi rocciosi come la Terra o Venere, o gassosi come Giove o Saturno. “Il telescopio spaziale Tess – spiega Gaia Lacedelli del dipartimento di Fisica e astronomia “G. Galilei” dell’Università di Padova, prima autrice dello studio, che ha collaborato in particolare con Luca Malavolta e Luca Borsato di Inaf – ha osservato i transiti intorno alla stella e, sulla base di queste indagini, inizialmente si è ritenuto che esistessero solo tre pianeti. In seguito, il nostro gruppo attraverso lo spettrografo Harps-N, che è installato sul telescopio nazionale Galileo nelle isole Canarie e raccoglie le velocità radiali di una stella, è riuscito a determinare la massa dei pianeti. Combinando i dati di Tess e Harps-N siamo riusciti a capire che il sistema era composto da quattro pianeti e non tre”.
Guarda l'intervista completa a Gaia Lacedelli che illustra lo studio sul sistema esoplanetario TOI-561. Montaggio di Elisa Speronello
L’attenzione si è concentrata in modo specifico su TOI-561 b, la Super-Terra. “Si tratta di un pianeta estremamente particolare – sottolinea Lacedelli –, che orbita intorno alla sua stella in circa una decina di ore (si pensi che la Terra orbita intorno al Sole in 365 giorni)”. Il suo raggio misura 1.42 raggi terrestri, la massa 1.59 masse terrestri, mentre la densità risulta essere di 3 grammi per centimetro cubo (circa la metà della densità terrestre). “Considerato il suo raggio – continua Lacedelli –, ci si aspettava una composizione rocciosa come quella della Terra, dunque un pianeta simile al nostro, con una superficie solida di rocce, silicati, ferro. I nostri modelli, però, non corrispondono alla densità che abbiamo ricavato combinando i dati relativi al raggio e alla massa. Ci saremmo aspettati, infatti, una massa di almeno tre volte quella terrestre (o anche maggiore), cosa che avrebbe implicato una densità di almeno 5.5 grammi per centimetro cubo, simile a quella della Terra. Eventualmente, ci si poteva attendere anche una densità maggiore di quella della Terra (cosa che è stata osservata in altri pianeti simili a questo), ma non minore, come invece è accaduto”. Gli scienziati avanzano qualche ipotesi. “Questi risultati ci hanno portato a supporre che all’interno del pianeta possano esistere strati d’acqua, sotto forma di ghiaccio ad alta pressione, che potrebbero aiutare a spiegare perché questo pianeta sia più ‘leggero’ del previsto”. Ad oggi si conoscono circa una novantina di sistemi esoplanetari con quattro o più esopianeti, ma solo per pochi si conoscono sia il raggio che la massa, come ha potuto determinare questo studio.
Il sistema esoplanetario TOI-561 ha risvegliato l’interesse della comunità astronomica internazionale e, per questa ragione, è stato inserito nella lista di oggetti che saranno osservati con il satellite Cheops dell’Agenzia spaziale europea (Esa) a partire da fine dicembre, così da avere misure precise sul raggio di tutti i pianeti che lo compongono, e confermare con uno strumento diverso la presenza di questi corpi.
“TOI-561 è un sistema planetario assolutamente anomalo – sottolinea Giampaolo Piotto, docente del dipartimento di Fisica e astronomia “G. Galilei” dell’Università di Padova e membro del team scientifico di Cheops –, completamente diverso dal nostro sistema solare. L’esopianeta TOI-561 b, in particolare, non può avere avuto origine nel luogo in cui si trova ora: potrebbe essersi formato piuttosto nelle parti più esterne del sistema, e poi aver interagito col disco di formazione planetaria o con gli altri pianeti o, ancora, una stella vicina potrebbe aver creato una perturbazione. È necessario capire, dunque, dove si sia formato e in che modo sia arrivato nel punto in cui lo identifichiamo oggi. Le stesse considerazioni valgono per gli altri tre pianeti”.
Guarda l'intervista completa a Giampaolo Piotto che, partendo dallo studio di TOI-561, illustra l'importanza di studiare gli esopianeti e le missioni in programma. Montaggio di Elisa Speronello
Dal 1995, anno in cui Didier Queloz e Michel Mayor – nel 2019 premi Nobel per la fisica con James Peebles – hanno scoperto il primo esopianeta, sono stati identificati più di 4.000 nuovi corpi al di fuori del nostro sistema solare. “Studiando questi oggetti, ci siamo resi conto che sono estremamente diversi tra loro e dai pianeti che orbitano intorno al Sole. Quindi abbiamo la necessità di cercarli e di studiarli”.
La missione Cheops (Characterising ExoPlanets Satellite) ha esattamente questo scopo: determinare le caratteristiche fisiche di esopianeti già noti con una precisione senza precedenti. In orbita intorno alla Terra a un’altezza di 700 chilometri, a gennaio Cheops ha aperto gli occhi sull’Universo e, dopo aver superato i test in orbita, ha iniziato il vero e proprio lavoro di osservazione scientifica. “Il satellite sta studiando in questo momento decine di pianeti di tutti i tipi – spiega Piotto – di cui si vuole determinare il raggio dato che, conoscendone già la massa, se ne può desumere la densità e quindi la struttura. Si stanno studiando pianeti anche abbastanza particolari, probabilmente circondati da un alone che potrebbe essere quello che rimane del materiale da cui si sono formati o un alone di asteroide o piccole comete”.
Piotto spiega che Cheops è solo il primo passo che l’Agenzia spaziale europea muove in questa direzione. Nel 2026 è previsto infatti il lancio di Plato (Planetary Transits and Oscillations of Stars), un secondo satellite altamente sofisticato, un sistema di 26 telescopi, che analizzerà una parte molto ampia del cielo per scoprire decine di migliaia di nuovi pianeti e tra questi molti simili alla Terra. Scopo dichiarato di Plato è, infatti, quello di identificare analoghi terrestri. Infine, un paio di anni dopo, l’Esa ha in programma di lanciare Ariel, questa volta dedicato esplicitamente allo studio delle atmosfere planetarie. Tra gli strumenti a disposizione l’Extremely Large Telescope, il più grande telescopio al mondo progettato dall’European Southern Observatory. Conclude Piotto: “Ciò che ci interessa è trovare quei pianeti, magari rocciosi, che orbitano a una distanza intorno alla propria stella simile alla Terra, tale per cui – conoscendo la radiazione che arriva dalla stella – possiamo ipotizzare sulla superficie del pianeta una temperatura tra gli 0 e i 100 gradi, che ha come ovvia conseguenza, la presenza di acqua liquida”.