Lo scarafaggio (Einaudi, 2020) è un unicum nella produzione letteraria di Ian McEwan. Scritto in brevissimo tempo a ridosso della decisione definitiva della Gran Bretagna di uscire dall’Europa, il romanziere inglese ha dato alle stampe in tempo record un racconto (opportunamente impaginato come romanzo, lui la chiama “novella”) che altro non è che un pamphlet politico. In Italia ci sono voluti diversi mesi – come sempre accade – perché venisse tradotto dalla ogni volta impeccabile Susanna Basso, si aggiungano poi i ritardi dovuti al congelamento delle uscite per la pandemia ed ecco che ci troviamo a leggere questo libello da relativamente poco.
L’incipit – e lo stratagemma narrativo – sono un chiaro omaggio a Kafka e alla sua Metamorfosi, ma rovesciati. “Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo” diventa: “Quella mattina Jim Sams, un tipo perspicace ma niente affatto profondo, si svegliò da sogni inquieti per ritrovarsi trasformato in una creatura immane”. Lì un uomo si risveglia scarafaggio, qui la blatta un bel mattino è… il Primo Ministro d’Inghilterra. E ci mette gran poco l’insetto a imparare a muovere le mani, a scendere le scale sui suoi nuovi arti (un certo numero di minuti, è vero, ma sempre trascurabili rispetto alla durata della marcia intrapresa quando non era umano, per salire), ma c’è di più: ci mette soprattutto gran poco a capire come si coordini un Gabinetto di Ministri, i quali – il riconoscimento è pressoché immediato – altro non sono che ex scarafaggi come lui.
Non è difficile capire come la pensi lo scrittore, il quale, per la prima volta, scrive di suo pugno una postfazione a una sua opera per giustificarne gli intenti in cui, oltre ai dovuti riferimenti a Franz Kafka, spiega di essere debitore a quel Jonathan Swift di A modest proposal con cui l’autore irlandese suggeriva, per risollevare le sorti del suo Paese, che i figli della povera gente venissero nutriti grazie a finanziamenti statali e poi dati in pasto ai benestanti.
La proposta di Swift si trasforma, nell'invenzione di McEwan, nell’Inversionismo, ossia il rovesciamento dei flussi di danaro: quel che prima veniva pagato, come gli acquisti, sarebbe stato dato ricevendo soldi in cambio e, per lavorare, invece, i cittadini avrebbero dovuto pagare. Questo sarebbe stato foriero di una indubitabile crescita del Paese, finalmente.
“A partire dal primo giorno, dal fatidico I-Day, i vantaggi si faranno sentire a livello di micro come di macroeconomia. Quel giorno, ad esempio, la nostra polizia stradale debitamente potenziata potrebbe fermare un incauto automobilista per eccesso di velocità e passargli dal finestrino un paio di banconote da cinquanta sterline. Sarà a quel punto responsabilità dell’automobilista, a fronte di possibili accuse penali, utilizzare il denaro per lavorare e pagarsi delle ore di straordinario, oppure trovarsi un impiego leggermente più qualificato”.
L’Inversionismo altro non è che la Brexit ovviamente, su cui il narratore si è sempre espresso sfavorevolmente anche sui giornali italiani e la cui motivazione si riassume, a dire di Jim Sams, in un cocciuto e non meglio spiegato perché sì offerto alla cancelliera tedesca.
Il novello Primo Ministro impara presto anche i contemporanei modi di comunicare degli umani (prendendo spunto dal Presidente americano Archie Trupper), per esempio “il funzionamento di Twitter, che giunse a considerare una specie di versione primitiva dell’inconscio feromonale. […] In capo a due ore aveva 150.000 follower. Un’ora dopo, il numero era raddoppiato” e applica ferocemente quei meccanismi politici che ormai ci sono così familiari da quasi renderci insensibili alla loro immoralità (un peschereccio speronato al largo delle coste francesi diviene motivo per un attacco al vicino d’Oltremanica; la strumentalizzazione del #metoo è accettata in primis dalla giornalista che si presta con le sue confessioni a screditare l’unico Ministro che sull’Inversionismo nutre qualche dubbio).
Per mostrare quanto tutto abbia del paradossale il romanziere britannico satiramente si chiede: “Era universalmente noto che in tutte le leggi della fisica, tranne una, non esiste ragione logica per cui un fenomeno descritto non debba funzionare nei due versi possibili. La famosa eccezione era la seconda legge della termodinamica. In quell’elegante costrutto, il tempo doveva procedere in una direzione soltanto. L’Inversionismo si classificava dunque come un caso speciale di seconda legge della termodinamica, in violazione della medesima?”
Come sottolinea Annalisa Oboe, docente di Letteratura inglese contemporanea all’Università di Padova, “il verso (del tempo), il rapporto dentro-fuori (esoscheletro-corpo umano) informano l’intero progetto ed è attorno a questi possibili scambi che il romanziere costruisce il suo testo ibrido”. “Solo che – aggiunge – a differenza dell'opera di Swift di tre secoli or sono, oggi il romanziere con la sua satira non ha più la potenza dei suoi predecessori. Offrendo uno specchio ai potenti è difficile, nella tarda modernità, che si instauri in loro il meccanismo della vergogna, perché qualsiasi visione parodistica non riesce a tener testa alla realtà, che la supera”.
E infatti lo stesso Ian McEwan chiude la sua postfazione dicendo che “se la ragione non apre gli occhi e non si decide a riprendere il sopravvento, potremmo doverci affidare al conforto della risata”. Già. Al conforto.
“ Se la ragione non apre gli occhi e non si decide a riprendere il sopravvento, potremmo doverci affidare al conforto della risata Ian McEwan