Tra le varie mode lanciate da internet e in particolare dai social network, una è arrivata per restare: sono i meme, utilizzati da anni sia nel content marketing sia nella satira politica, ma pubblicati soprattutto in maniera disinteressata per farsi due risate. Sono dei contenuti, generalmente costituiti da un’immagine e un testo, che cercano la viralità, ma che nel contempo incoraggiano gli utenti a rielaborarli, per esempio modificando le parole sotto la foto, ribadendo magari lo stesso concetto da un punto di vista diverso. Si diffondono rapidamente attraverso la condivisione online e spesso vanno a imitare qualcosa di riconoscibile di primo acchito, come un’immagine popolare, un brano musicale o una frase celebre. Molte sono le pubblicazioni su questo tema, ma ne mancava una che analizzasse scientificamente il linguaggio usato in questi contenuti: a settembre però è uscito La lingua dei meme, edito da Carocci e scritto da Debora De Fazio e Pierluigi Ortolano, professori associati di linguistica rispettivamente all’università degli studi della Basilicata e all’università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara.
Abbiamo intervistato Pierluigi Ortolano per comprendere meglio le dinamiche di produzione dei meme, il tipo di lingua che viene utilizzata e il contributo che possono dare anche a livello didattico.
Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo
De Fazio e Ortolano hanno deciso di scrivere questo libro proprio per un’esigenza didattica, infatti è stato pensato con gli studenti e per gli studenti universitari. Con l’avvento della comunicazione online, infatti, era diventato possibile svecchiare un po’ l’insegnamento della grammatica e della linguistica italiana grazie alle modalità che gli studenti stessi utilizzano ogni giorno per interagire tra di loro. Da qui è partito un lavoro che aveva lo scopo di analizzare la lingua italiana dal punto di vista scientifico attraverso il canale del meme, formato apprezzato non solo dalla cosiddetta Gen Z, ma anche dai “diversamente giovani”.
Ma come si è arrivati al meme? Nel libro si spiega che si tratta di una scrittura esposta, come le vignette di Forattini per fare giusto un esempio, ma anche come gli striscioni che troviamo negli stadi, quelli con le immagini corredate da testi. Il meme è un ulteriore esempio di questo tipo di comunicazione, e probabilmente sarà a sua volta soggetto a un’evoluzione, per esempio se si dovesse passare al formato video, vista la propensione dei più giovani a utilizzare contenuti come video di TikTok e reel. Naturalmente nessuno ha la sfera di cristallo, ma è molto difficile che contenuti come i meme siano destinati a sparire: la lingua si evolve, e con lei si evolvono le forme di comunicazione, che si trasformando ma nella maggior parte dei casi non perdono completamente l’eredità del passato. Nel frattempo, la parola “memare” è entrata nei dizionari, ed è già un indizio del fatto che siano arrivati per restare, almeno per un po’. E se questo non bastasse, farà sorridere, ma anche riflettere, il fatto che un politico italiano dopo un comizio ha chiesto quanti meme erano stati prodotti, valutando evidentemente la cosa come una metrica per misurare il successo del suo discorso.
Ma quali sono i fenomeni linguistici tipici dei meme? “Il primo – risponde Ortolano – è la presupposizione, che è un fenomeno linguistico molto interessante perché, soprattutto nell'ambito della scrittura, permette di evitare una ripetizione e soprattutto permette di dare per scontato che chi guarda questo meme conosca perfettamente il contesto, conosca perfettamente la situazione e soprattutto conosca il personaggio oppure l'immagine che è stata memata (per chi non riuscisse a orientarsi, però, può essere d’aiuto Know your meme ndr). Il meme riguarda spesso anche errori di grammatica, che sono dettati da una serie di peculiarità della lingua digitata, come per esempio l'assenza della punteggiatura”.
“Un’altra caratteristica del meme – prosegue Ortolano – è quella di utilizzare la forma dialettale, cioè utilizzare in particolar modo il contesto diatopico come accade spesso nella pagina Le più belle frasi di Osho: lì prevale il romanesco come lingua franca conosciuta da tutti e che dà ilarità alla funzionalità del meme”.
Come accennavamo all’inizio, i meme possono avere anche un ruolo didattico: a partire dagli errori linguistici più frequenti, si può andare oltre la mera regola grammaticale, che fin troppo spesso viene dimenticata facilmente, chiedendo, come fanno Ortolano e De Fazio nei loro corsi, di correggere l’errore partendo proprio dai meme, ricostruendo poi l’intera frase in italiano standard. Questo permette di esercitare un metodo deduttivo che permette alla regola di cementarsi nella memoria dello studente, che se andrà a insegnare, potrà a sua volta utilizzare la stessa tecnica quando corregge gli errori dei suoi allievi.
Riprendendo l’esempio precedente della virgola che può salvare la nonna, Ortolano commenta: “La punteggiatura non va sintetizzata solo dicendo che la virgola è una pausa breve, il punto una pausa ferma e il punto e virgola una via di mezzo tra i due. Come ricorda anche Giuseppe Patota in un suo recente libro, è più importante di così, perché la virgola identifica l'aspetto sintattico, l'assenza della virgola ci fa pensare a una situazione di cannibalismo, mentre la presenza della virgola divide sintatticamente la frase e nello stesso tempo dà un senso logico, proprio perché grammaticalmente la punteggiatura va intesa come funzione logico sintattica”.
Insomma, la virgola può salvare la nonna, e i meme l’apprendimento efficace della grammatica italiana: “Nel libro – conclude Ortolano – noi abbiamo giocato molto sul concetto dell'umorismo: il meme fa ridere così come facevano ridere alcuni personaggi di Pirandello, ma lo stesso Pirandello ci insegnava che dietro la l’ilarità si celava un qualcosa di più importante. Quel qualcosa di più importante per noi è il ruolo della grammatica, e questo non vuol dire che sia necessario sostituire il libro di testo, ma è necessario trasformare la tradizione grammaticale”.