È il 15 novembre 1971 quando viene lanciato sul mercato il 4004. Passerà alla storia come il primo vero microchip commerciale: un francobollo di silicio con zampette di metallo su cui sono stampati (non montanti) circuiti con una potenza di calcolo equivalente a 2.300 transistor. Il produttore è l’Intel, una start-up di belle speranze e qualche timore nell’ambito delle memorie per calcolatori, che cerca con un nuovo prodotto di sfuggire alla concorrenza sempre più pressante delle industrie giapponesi.
Sono in pochi a rendersene conto, ma è l’inizio del cammino che un giorno porterà nelle nostre case (e nelle nostre tasche) personal computer, smartphone e ogni tipo di marchingegno ‘intelligente’. Il 4004 è a tutti gli effetti un ‘computer programmabile su singolo chip’, un sogno a lungo accarezzato dagli esperti di informatica dietro al quale ci sono il lavoro e l’intuizione Federico Faggin, un giovane e geniale vicentino laureato in fisica all’università di Padova.
Non si tratta di una scoperta scientifica e a rigore nemmeno di un’invenzione, ma il design rivoluzionario ideato da Faggin avrà un impatto rivoluzionario sullo sviluppo della tecnologia informatica. “Il microprocessore rappresenta un passaggio simile a quello dal motore a elica al jet – spiega a Il Bo Live lo storico dell’università di Padova David Burigana, specializzato nello studio del rapporto tra tecnologia e relazioni internazionali –. Non dimentichiamo che siamo durante la guerra fredda: assieme alla corsa allo spazio c’è anche quella alla potenza di calcolo”. Proprio per studiare e insegnare le connessioni tra ricerca, industria e geopolitica è nato quest’anno il corso singolo in Microelectronics and globalization, tenuto congiuntamente da Burigana e Alessandro Paccagnella, che sempre a Padova insegna elettronica e biosensori.
Tornando al rapporto tra blocchi in competizione e sviluppo tecnologico, specialmente in ambito militare, alcuni sostengono che il titolo di primo microprocessore andrebbe riconosciuto all'MP944, sviluppato da Ray Holt nel 1970 per equipaggiare i caccia F-14 Tomcat: proprio quelli pilotati da Tom Cruise in Top Gun. La vicenda fu però coperta da segreto militare fino al 1998, e questo ovviamente ne limitò fortemente l’impatto tecnologico e sociale. Un altro concorrente per la palma di primo microchip è il Four-Phase System AL1, ideato da Lee Boysel pochi mesi prima della messa in commercio del 4004, sulla carta addirittura superiore rispetto all’omologo prodotto dall’Intel, ma molto meno noto e impattante per il mercato. Anche perché si tratta di un chip custom, in pratica da riadattare alle esigenze di ogni cliente: cosa che se da una parte può giovare in termini di prestazioni, dall’altra ne rende più difficile (e costosa) la produzione.
Rispetto ai concorrenti la l'idea di Faggin ha il vantaggio della flessibilità; progettato inizialmente per le calcolatrici programmabili della giapponese Busicom, ‘ispirate’ ai prodotti Olivetti, il 4004 può virtualmente essere installato su ogni apparecchio: ‘dai videogames a quelli per le analisi del sangue’, come dirà una pubblicità nel 1973. Inizia l’epoca in cui i ritmi saranno dettati dalla cosiddetta prima legge di Moore, dal nome di uno dei fondatori dell’Intel, secondo la quale la potenza di calcolo dei nuovi circuiti raddoppia ogni 18 mesi.
Gli home computer arriveranno solo più tardi, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, ma la strada è già tracciata. Una rivoluzione che nasce e si sviluppa all’insegna del mercato: “Chiunque può comprare il microchip e divertirsi ad adattarlo a macchine nuove: anche i privati oltre alle aziende. Si sviluppa il fenomeno della programmazione, nascono decine di aziende di software: sono proprio i consumatori a ispirare e a guidare lo sviluppo di nuovi prodotti. L’Europa invece, che pure ha fame di tecnologia informatica, rimane legata ai piani di sviluppo nazionali di vecchia concezione”. Il Plan calcul lanciato da De Gaulle nel 1966 non sortirà gli effetti sperati, mentre sarà in parte sabotato dai governi nazionali il tentativo di Altiero Spinelli, commissario europeo per la politica industriale e tecnologica tra il 1970 e il 1976, di dotare il vecchio continente di un’industria high tech in grado di competere con gli Usa.
Il resto della storia la conosciamo. Se il 4004 era comunque più potente dell’Eniac, il primo computer elettronico, che occupava un’intera stanza e pesava decine di tonnellate, oggi i moderni microchip sono enormemente più performanti e si trovano praticamente dappertutto, non più solamente nei computer e nei telefonini. “I primi transistor nascono su supporti in germanio, poi scalzato dal silicio a causa di un grosso vantaggio: un sistema di stampaggio estremamente affidabile con il quale si riesce a fare praticamente di tutto – spiega Alessandro Paccagnella –. Oggi i nuovi microchip sono tridimensionali e non planari, vanno su in altezza come i grattacieli di Manhattan e hanno la forma di un maccherone. E nella stessa area riescono a contenere non migliaia, ma decine di miliardi di transistor. Quando Faggin realizza la sua creatura riesce a stampare circuiti con una misura minima 10 micrometri, millesimi di millimetro. Oggi riusciamo a stampare circuiti da 5 nanometri, 5 milionesimi di millimetro”.
Un settore strategico in cui a dominare dopo cinquant’anni sono sempre gli Stati Uniti: “Tra le prime 10 aziende produttrici sei sono americane, due coreane, una taiwanese e una europea – continua Paccagnella –. 20 anni fa le aziende europee erano tre, ma nel frattempo abbiamo perso molte posizioni. La Cina intanto sta facendo uno sforzo enorme ma per ora riesce a coprire appena il 50% del suo fabbisogno”. Proprio la competizione tra le due superpotenze dà una chiave di lettura su quanto su quanto sta avvenendo in campo internazionale: dalla penuria di microchip, che minaccia da sabotare la ripresa dopo la pandemia, alle tensioni su Taiwan, uno dei produttori più importanti al mondo di semiconduttori. Una competizione dalla quale l’Europa risulta per ora esclusa, a meno di non tornare a investire massicciamente su un settore strategico: “La microelettronica si basa sulla meccanica quantistica, di cui costituisce una delle applicazioni più eclatanti – conclude Paccagnella –. Per questo è importante tornare a puntare anche sulla ricerca di base”. Nella speranza che non sia troppo tardi.