CULTURA
Monelli, preti, popolane: tipi, luoghi e storie di una Venezia autentica
Giorgetto, l'autore da piccolo. Dal libro "787 Venezia, un campo e il suo popolo" di Giorgio Camuffo (Corraini)
Com’era Venezia prima dell’invasione turistica, prima della moltiplicazione degli affitti brevi e della riduzione drastica dei residenti, prima del ticket d'ingresso? Quella città esiste ancora? Dove è finita la sua gente? Chi ricorda e può ancora raccontare le loro storie? Oggi i residenti del centro storico sono meno di 50mila, e i nativi superano di poco i 30mila, ma prima di questi numeri, dello spopolamento e del passaggio senza fine dei turisti, Venezia è stata (ma vorremmo dire “è”) la città dei veneziani con una periferia di case popolari e vere e proprie comunità di vicini riunite attorno ai campi e lungo le calli. Monelli e botteghe di piccoli commercianti, preti e personaggi singolari sono la memoria di una città in parte scomparsa, sostituita da una immagine deformata, da cartolina, derubata delle sfumature del reale. Quelle sfumature, scavando in ricordi che raggiungono gli anni Sessanta, Giorgio Camuffo le ha rintracciate, scritte, disegnate e infine raccolte nel suo 787 Venezia, un campo e il suo popolo (Corraini). "I protagonisti non sono i dogi, i ricchi mercanti, le cortigiane, i grandi amanti, gli intellettuali in loden che hanno riempito le pagine della storia di Venezia - scrive Camuffo nel suo libro -, ma sono gli abitanti di un gruppo di case brutte, scolorite, senza nessun decoro, simili a quelle di tante periferie di città meno nobili della mia".
“ Disegnando ho rivisto le facce del campo Giorgio Camuffo
Veneziano doc, oggi art director, graphic designer e docente alla Libera Università di Bolzano, Camuffo ripercorre la sua storia personale partendo proprio dalla casa d'infanzia in campo Case Nove, "dove sono nato, un pugno di case popolari costruite dal fascismo dove la città finisce, case messe insieme malamente per allevare braccia operaie pronte a una vita di stenti, la periferia della periferia, l’estremo sud di Castello". Il numero è il 787, "malamente dipinto, insieme a una lettera che lo seguiva, sopra la porta delle scale di quella che molti anni fa era casa mia […] Un numero con un destino segnato. Un 7 che si emancipa e diventa un 8, ma che non riesce a mantenere il nuovo status e torna a essere un 7. Un numero stretto, breve, che assomigliava alle vite delle persone che lo condividevano. Il numero che fa da scenario alle storie raccontate in queste pagine. Non so perché ma mi piaceva abitare al 787”.
La sua Venezia non è una cartolina, è viva, rumorosa, popolosa, non è ricca né colta, è abitata da “giovani ladri, vecchi contrabbandieri", monelli, preti, popolane, commercianti. Ed è piena di ragazzini che corrono dappertutto. "Il catalogo dei bambini che vivevano in campo era un vero varietà, variegato e variopinto - scrive Camuffo -. Stecchini, cicciabomba, stortignaccoli, senza denti, con i denti più grandi della bocca, pelosi, nani, capelloni, con il cranio rasato, con i capelli rossi, con i brufoli, con gli occhi storti, con le brose. Tanti, tantissimi bambini, di tutti i tipi, che con i loro giochi popolavano le giornate del campo".
Camuffo, perché un libro sulla Venezia della sua infanzia? È un progetto nato dalla nostalgia?
"La parola nostalgia mi piace ma questo progetto non è solo il risultato di un processo nostalgico. Tutti proviamo un po' di nostalgia rispetto al passato delle nostre città, io la provo per la Venezia di una volta: il campo dove abitavo era pieno di gente, bambini, giochi, allegria e personaggi stravaganti, la voglia di scrivere questo libro nasce da qui. Ma Venezia è cambiata: resta una città bellissima ma risulta sicuramente impoverita, mancano le persone, politicamente sono stati fatti errori, non è stata protetta la residenza. Un tempo si parlava di 'idea di città', ora manca un progetto. Per me i libri sono strumenti per aprire un dibattito proprio su questi temi, per rimettere Venezia al centro. Non credo che potrà mai tornare quella che era, ma possiamo provare a migliorare le cose favorendo innanzitutto la residenza: un esempio, ci sono tanti appartamenti sfitti che si potrebbero assegnare agli studenti, ai giovani".
Le storie e le persone sono tutte reali?
"Per lungo tempo, dentro di me, ho custodito il progetto di questo libro. Ho vissuto una infanzia per certi versi difficile ma pienissima, circondato da tanti bambini come me. Nei miei racconti non ho inventato niente, ho forse romanzato un po', ma tutte le persone che descrivo sono reali, esistono. Sono tante, come le loro storie, e alcuni personaggi sono rimasti fuori: tra questi, il matto dea tosse. Non potevo inserire tutto e tutti: a un certo punto con i giochi mi son dovuto fermare perché dovevo chiudere il libro, ma quanti ne avrei potuti descrivere ancora...".
Nel processo di ideazione e costruzione del libro sono nati prima i testi o le immagini?
"Le storie le ho sempre avuto dentro, mi hanno disegnato. Le immagini mi sono servite per ritrovare i momenti e tracciare le scene, mi hanno permesso di rientrare dentro quella vita: disegnando ho rivisto le facce del campo e ne ho respirato di nuovo i profumi".
Tra le storie e le persone raccontate nel libro a quali si sente maggiormente legato e perché?
"Sono legato a tutte. Il campo stesso era uno di noi, un personaggio, una figura: aveva una fisicità e conteneva tutto. A dieci anni vivevo con la mia famiglia in una casa popolare piccolissima, io la ricordo grande, bella: le storie di quella casa mi appartengono profondamente".
Ricordare è sempre piacevole o può suscitare anche un piccolo dolore?
"Ricordare è piacevole perché le cose brutte tendi a dimenticarle, ma è anche vero che nel ricordo c'è sempre un dolore: il tempo che passa, le persone che non ci sono più, Venezia che cambia, la perdita della giovinezza e dell'ingenuità".
Per chi è stato scritto questo libro? Esiste un lettore ideale di 787?
"L'ho scritto prima di tutto per i veneziani. I lettori ideali siamo noi, il popolo. Ma spero arrivi a tutti, anche a chi vive in altre città oggi segnate dal turismo, da Firenze a Roma, a chi ricorda come si viveva una volta".
Considerandone le trasformazioni, è ancora possibile rintracciare l'anima autentica di Venezia, una voce che resiste?
"Bisogna ascoltare l'acqua, i muri delle case, la loro storia. Questa è la bellezza di Venezia, la nostra eredità, quello che ancora ci parla. C'è una venezianità, un modo di essere veneziani che dobbiamo saper cogliere. Se ascoltassimo di più la città, anche il suo grido di dolore, forse potremmo riuscire a comprenderla davvero, profondamente".
“ Bisogna ascoltare l'acqua, i muri delle case, la storia di Venezia Giorgio Camuffo
Il 6 febbraio alle 18 nell'Aula magna dell'Ateneo Veneto, a Venezia, Giorgio Camuffo presenta il libro 787 | Venezia, un campo e il suo popolo con Giovanni Montanaro, scrittore, e Luca Colferai, saggista e Gran Priore della Compagnia de Calza I Antichi.