Scavi aperti. Foto: museo della Preistoria di Nardò
I dolci anfratti e le acque dolci, le grotte e le caverne del Salento sono stati una buona accogliente terraferma di sopravvivenza ed evoluzione, di incontro e convivenza, di erranze e migrazioni per popolazioni umane di varie specie e abilità. Prima e dopo che fossero l’ultimo tassello del tacco di uno stivale incuneato nel Mediterraneo, a differenti altezze del mare (un poco Adriatico e un poco Ionio), comunque con una ricca biodiversità di usi e costumi, vegetali animali umani. Nel corso dell’ultimo secolo sono molte le università straniere e italiane che hanno condotto studi, ricerche, missioni archeologiche in Puglia e in Salento. Vale la pena approfondire la questione e magari organizzare una visita (vi sono poi mille altre ragioni enogastronomiche e paesaggistiche per andare da quelle parti, è noto).
A Nardò, in particolare, sono state già censite e un poco scavate ben otto grotte con segni di frequentazione di Homo neanderthalensis, cinque addirittura anche con resti osteologici di noi, Homo sapiens, ovvero alcune con tracce di entrambe le specie che si sono avvicendate nello stesso sito a distanza di millenni o secoli. Si tratta di un ecosistema umano straordinario per almeno due ragioni: nel territorio di uno stesso unico “municipio” di oggi si trova un mosaico di attività paleolitiche che possono consentire di approfondire la conoscenza delle specificità e delle relazioni fra le specie umane di ieri, prima che rimanessimo solo noi sapiens; il territorio è da qualche decennio pure un Parco Naturale Regionale, la conservazione e la valorizzazione dei valori di biodiversità non solo umani di quel magnifico ecosistema costituiscono un vincolo e un’opportunità per noi sapiens contemporanei.
I neandertal sono vissuti in migliaia di grotte di paesi dell’attuale Europa da centinaia di migliaia di anni, si sa. Gli umani sulla Terra erano tutti “uomini delle caverne”, non era un segno di antichità bensì di modernità (rispetto ai loro tempi), di sopravvivenza adattata ai contesti climatici e geomorfologici. Bisognerebbe mappare per i mammiferi (compreso l’uomo) tutti i rifugi, le grotte e le caverne frequentati; tracciare una geografia intrisa di speleologia degli ecosistemi del Paleolitico, una storia delle residenze naturali prima di quelle artificiali, spesso adottate da specie diverse in tempi differenti, soprattutto nelle aree di alta collina e montagna, oppure lungo le coste ai vari livelli di altezza dei mari. Ogni individuo e ogni specie hanno un proprio habitat, mentre una qualche residenzialità collettiva e sociale, dinamica e sofisticata, va riferita forse solo ai sapiens, che per altro usarono poi parzialmente ancora molte di quelle grotte e caverne come luoghi di riparo, culto, sepoltura, transito.
I neandertal non erano trogloditi, avevano notevoli capacità cognitive e tecnologiche, lavoravano le rocce, cacciavano grandi mammiferi, amavano il mare e vi si tuffavano, pescavano su laghi e fiumi, si immergevano in apnea nei fondali del Mediterraneo, usavano le conchiglie come lama. Fate un salto al Museo della Preistoria di Nardò e scoprirete tutto un mondo loro intorno. Si trova nell’accogliente centro storico dell’estesa graziosa cittadina pugliese ionica (circa 30.000 abitanti), è situato nel seicentesco ex convento di Sant’Antonio di Padova, risulta operativo nel campo della ricerca con progetti di studio dei reperti e di indagini scientifiche (archeologiche, geologiche e paleontologiche), italiani e internazionali. Propone attività anche nell’ambito della didattica, sviluppate all’interno (visite guidate, visita animata In viaggio con Nea, una cacciatrice di 100.000 anni fa, laboratori didattici) e all’esterno (Disegnare Portoselvaggio, scavo sperimentale, gioco di strategia Hunter game, laboratorio in barca Sull’onda della scoperta), che permettono di approfondire l'evoluzione biologica e culturale, le migrazioni e la diffusione degli umani, la successione dei paesaggi, temi di geologia archeologia topografia, spesso in collaborazione con altre istituzioni pubbliche (Comune, Soprintendenza, Regione, Università pugliesi, italiane e di varie parti del mondo), oltre che con scuole e associazioni, enti e imprese private. Gestisce un sito ed è presente sui social.
Circa 70-75 milioni di anni fa (prima della penultima estinzione di massa, quella dei dinosauri), nel periodo conosciuto come Cretaceo superiore, il territorio che oggi costituisce la Puglia si formava in un contesto di piattaforma costiera, di fatto era un sistema di piccole isole delimitate da lagune poco profonde e bordate da barriere a rudiste. A Nardò sono state rintracciati (visibili al museo) fossili cretacei in abbondanza e ben preservati: non solo scheletri completi, ma anche tessuti molli mineralizzati come pelle e muscoli che difficilmente vengono fossilizzati. È stato trovato e analizzato un rettile marino, molto c’è ancora da cercare e scavare. Seguirono milioni di anni con vari alternarsi di ere glaciali, tanti innalzamenti e abbassamenti del mare, la configurazione dell’attuale Puglia come una penisola rocciosa e sabbiosa con una ricca antica biodiversità vegetale e animale. Noi sapiens siamo arrivati lì e ovunque dopo altre specie umane, in Salento dopo i neandertal. Ancora una volta dall’Africa, attraverso un lungo periglioso articolato complicato mosaico di percorsi. Camminando, perlopiù solo camminando! La navigazione umana per centinaia di migliaia di anni non esiste, poi capita soprattutto lungo acque interne, poi inizia in tutt’altri oceani, poi resta a lungo sporadica nel Mediterraneo.
Quelli dei sapiens che hanno lasciato maggior impatto genetico fino a oggi giunsero in Europa camminando, fra 60.000 e 50.000 anni fa, e fino a 40.000 anni fa convissero nello stesso continente con le specie umane che già vi si trovavano, soprattutto coi neandertal. Non era la prima volta che le due specie s’incontravano. Come noto vi sono molte tracce di precedenti incontri e segni anche di avvenuta ibridazione fra le specie (ne portiamo ancora una significativa componente genetica). La quantità dei siti nel Salento e, in particolare, a Nardò appare impressionante, un caso davvero fertile e raro (almeno finora) per approfondire se sincronicamente i piccoli gruppi vivessero a breve distanza oppure se errassero fra i vari siti; come diacronicamente fossero fuggiti, avessero migrato e si fossero reinsediati; quanto, in che modo e con quali conseguenze le diversità fra gruppi e fra specie pesassero nel tempo e nello spazio; perché siano riusciti comunque tanto a lungo ad adattarsi ai cambiamenti del contesto marino e geologico, soprattutto quando (con la fine dell’ultima glaciazione) si passò coi sapiens dal Paleolitico al Neolitico e (circa) all’attuale forma delle terreferme.
Ognuna delle otto grotte meriterebbe accurata descrizione e visita (se e quando possibile): Capelvenere (neandertal), Torre dell’Alto (la più antica, neandertal), Riparo Marcello Zei (neandertal), del Cavallo (neandertal, poi i sapiens, fra i primissimi reperti antropici della nostra specie finora ritrovati in Europa), Uluzzo Carlo Cosma e Uluzzo (due siti, entrambi con entrambe le specie), Mario Bernardini (entrambe), Serra Cicora (entrambe), quest’ultima abbastanza vicina ai ruderi del villaggio necropoli del Neolitico sapiens, risalente a circa 6.000-5.000 anni fa, con intensi rapporti commerciali e politici con altre comunità, più o meno vicine. Era iniziata a quel momento tutta un’altra storia e, infatti, l’area ha grande rilevanza pure neolitica. La città di Nardò sorge oggi sui resti di un insediamento messapico che a metà del III secolo a.C. subì la conquista romana, con un’occupazione capace ovviamente di lasciare significative tracce, come accaduto poi durante tutte le successive fasi del periodo d.C. Ancor oggi la costa (anche a sud di Nardò, sempre sullo Ionio) è punteggiata di torri costruite principalmente nel corso del Cinquecento, su commissione del viceré Pedro Afan De Ribera, duca d'Alcalà (aragonese), che fungevano da sistema di avvistamento contro le scorrerie piratesche che terrorizzavano le popolazioni locali.
Vi sono certo centinaia di siti neandertal sparsi per tante aree del continente europeo e che vanno ancora più indietro nel tempo (forse altri non ancora scoperti), tuttavia un concentrato così ampio emerso in un’area così piccola è rarissimo. Certo, la struttura museale è fragile, servirebbe un investimento pubblico di risorse e personale, tuttavia le premesse di concreti ritrovamenti e ampi contatti ci sono tutte. Il lavoro archeologico della scoperta e valorizzazione delle grotte paleolitiche di Nardò (iniziato nel vicino 1961) costituisce ormai un vero e proprio originale Distretto della preistoria di valore internazionale e, soprattutto, da un trentennio è collocato all’interno di un’area naturale (a vario titolo) protetta di 1.122 ettari, 300 dei quali di splendida pineta con accanto specie rare come il Limonio o l’Aurinia leucadea, altre grotte (in tutto 23) non scavate o meno importanti, la Palude del Capitano con acque salmastre e vegetazione igrofila, 7 chilometri di costa carsica alta e rocciosa (praticamente senza spiagge sabbiose) con cavità e grotte sottomarine. Non è solo un museo della scienza, non è proprio un parco nazionale, non è tanto un sito archeologico. Piuttosto, è l’insieme integrato di tutte queste cose. Chi visita Nardò può fare un salto al museo e poi, insieme, camminare fra reperti scientifici, ecosistemi protetti, insediamenti umani. E studiarli se è nel suo interesse o almeno contribuire a farlo, scegliendo ricerca partecipata e rispettosa di regole e ambiente.