SCIENZA E RICERCA
Percepire la polarizzazione della luce: un’abilità nascosta dell’occhio umano
L’esperienza quotidiana sembra suggerire che gli esseri umani siano sprovvisti della particolare capacità di vedere la luce polarizzata e si tende a pensare che l'unico modo per far percepire ai nostri occhi questa particolare proprietà della luce sia quello di ricorrere a filtri fotografici o alle lenti di alcuni modelli di occhiali da sole.
Le onde elettromagnetiche da cui è composta la luce, oltre ad ampiezza e lunghezza d'onda che sono collegate rispettivamente all'intensità e al colore, possiedono infatti anche una terza caratteristica: la polarizzazione, legata al piano di oscillazione del campo elettrico.
Nel regno animale sono noti molti casi di specie i cui occhi sono in grado di percepire direttamente questa proprietà della luce: le api, ad esempio, la utilizzano per l’orientazione durante il volo, mentre diversi tipi di cefalopodi, come calamari e piovre, sfruttano la polarizzazione per individuare prede altrimenti poco visibili. Ma se questi sono esempi ormai piuttosto conosciuti, lo studio della capacità dell'occhio umano di vedere la luce polarizzata finora era risultato parecchio difficoltoso perché le condizioni necessarie affinché si verifichi questo particolare fenomeno entoptico in natura sono solitamente rare e di breve durata.
Il primo a descrivere l'immagine prodotta dall'occhio umano quando è in grado di percepire la luce polarizzata fu il fisico austriaco Wilhelm Karl Ritter von Haidinger che nel 1844 illustrò il fenomeno come una tenue figura a forma di papillon che si origina fissando il cielo azzurro a 90 gradi rispetto alla posizione del sole, nei punti in cui la luce diffusa è massimamente polarizzata.
Questa figura, battezzata in seguito “spazzole di Haidinger” (Haidinger’s brushes), oggi può essere vista più comodamente osservando la luce polarizzata emessa da un monitor LCD, come quello di un computer o di uno smartphone. Fissando una zona bianca dello schermo si potrà notare la formazione di un papillon giallo, di colore scuro nel caso in cui invece lo sfondo sia blu, orientato perpendicolarmente alla direzione di polarizzazione e che svela quindi la possibilità anche per l’uomo di osservare ad occhio nudo questa ulteriore proprietà della luce. A causa dell’adattamento neurale la figura scompare dopo pochi istanti, a meno di non ruotare il capo attorno all’asse visivo in modo da eludere questo effetto e mantenere la figura percepibile. La debole persistenza del fenomeno, unita alla limitata presenza di luce polarizzata nella routine quotidiana, spiegano quindi perché la nostra visione si sia evoluta basandosi essenzialmente su colore e contrasto.
Uno studio condotto dal dipartimento di Fisica e astronomia dell’università di Padova, pubblicato recentemente sulla rivista Vision Research, ha rivelato un'inattesa sensibilità dell'occhio umano alla percezione di questa proprietà della luce. Per realizzare la ricerca gli autori hanno progettato e testato un nuovo dispositivo ottico compatto e versatile che consente all'utente di percepire la formazione delle spazzole di Haidinger ed ottenere una stima quantitativa della propria sensibilità al grado di polarizzazione della luce. Il prototipo è stato utilizzato per testare la soglia percettiva in luce blu in un gruppo di 113 individui di diverse età, con lo scopo di ottenere un valore medio nell'intervallo di massimo contrasto e studiare la distribuzione dei valori nel campione analizzato.
Precedenti studi in letteratura avevano cominciato ad indagare questa capacità dell'occhio umano, limitandosi però ad un campione di pochi soggetti. Ad esempio, un lavoro pubblicato nel 2015 da un team di ricercatori della Bristol's School of Biological Sciences aveva coinvolto 24 volontari e, sfruttando degli schermi LCD, che funzionano proprio grazie alla luce polarizzata, e permettono dunque di mantenere visibile l'Haidinger's brush per un tempo indefinito, aveva rivelato che il nostro sistema visivo percepisce la luce polarizzata in modo sorprendente: non quanto seppie e api ma meglio di tutte le specie di vertebrati analizzate finora.
La ricerca realizzata dal dipartimento di Fisica e astronomia dell’università di Padova, rappresentando ad oggi il più ampio studio pubblicato di analisi psicofisica per determinare la sensibilità dell’occhio umano alla polarizzazione della luce, non solo rende ulteriormente robuste queste scoperte ma potrebbe anche avere importanti applicazioni pratiche. Poiché basse concentrazioni di pigmenti maculari possono predisporre a malattie invalidanti dell'occhio, in particolare a degenerazione maculare senile, il dispositivo progettato dai ricercatori può costituire il prototipo di una nuova generazione di strumenti ottici per l'ispezione indiretta della condizione dei pigmenti ed una individuazione precoce, economica e rapida di anomalie o patologie maculari sulla base della percezione delle spazzole di Haidinger.
Lo studio è stato condotto nell'ambito del lavoro di tesi di Jacopo Mottes, vincitore del VisionOttica Award 2022 per la miglior tesi di laurea in Ottica e optometria a livello nazionale, con la collaborazione di Gianluca Ruffato, ricercatore del dipartimento di Fisica e astronomia, e Dominga Ortolan, docente a contratto di ottica oftalmica e visuale per il corso di laurea in Ottica e optometria dello stesso dipartimento.
Gianluca Ruffato, Jacopo Mottes e Dominga Ortolan illustrano lo studio che ha portato a nuove conoscenze sulla capacità dell'occhio umano di percepire la luce polarizzata. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar
L'origine del fenomeno entoptico delle spazzole di Haidinger
"Grazie alla vista - introduce Gianluca Ruffato, ricercatore del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova - percepiamo una ricostruzione della realtà che ci circonda elaborando le informazioni trasportate dalla luce che viene prodotta dalle sorgenti luminose e quindi diffusa dagli oggetti. In particolare siamo ben consapevoli di essere sensibili al colore e all’intensità luminosa, cioè al chiaro-scuro. La luce è però composta da onde elettromagnetiche che trasportano altre proprietà, ad esempio la polarizzazione che è legata alla direzione di oscillazione del campo elettrico. Possiamo rivelare questa proprietà ad esempio con dei filtri polarizzatori, come le lenti di un paio di occhiali polaroid. Se i due filtri sono perpendicolari il secondo blocca tutta la luce polarizzata dal primo, mentre lascia passare più o meno intensità nelle configurazioni intermedie. Ecco che riusciamo a vedere la polarizzazione mediante l’ausilio di questi oggetti".
E’ possibile però percepirla direttamente ad occhio nudo? Sappiamo che alcune specie animali ci riescono e fanno affidamento su questa capacità per diversi scopi, come l'orientamento, la ricerca di prede oppure il movimento nell'acqua. Si ritiene invece comunemente che gli esseri umani non siano in grado di percepire questa proprietà della luce. "In realtà nel 1844 il fisico austriaco von Haidinger descrisse per la prima volta la comparsa di un tenue papillon giallo osservando il cielo a 90° rispetto al sole, nel punto in cui la luce diffusa è massimamente polarizzata. La stessa figura si può osservare oggigiorno fissando il monitor LCD di uno schermo come tablet, computer o smartphone. Si vedrà comparire una sorta di papillon giallo su sfondo bianco, che diviene scuro su sfondo blu, posizionato nel punto di fissazione e orientato perpendicolarmente alla direzione di polarizzazione della luce. Questa figura svela quindi l’abilità dei nostri occhi di percepire anche questa proprietà della luce. E’ interessante notare che questa immagine non è dovuta a un oggetto esterno ma è una sorta di illusione ottica, un cosiddetto fenomeno entoptico, generato dall’interazione della luce polarizzata con la struttura anatomica dell’occhio stesso", approfondisce Gianluca Ruffato.
"Il meccanismo - entra nel dettaglio il coautore dello studio - risiede nell’azione filtrante di un polarizzatore radiale integrato nella fovea nel punto della retina in cui il cristallino mette a fuoco l’immagine. La maggiore acuità visiva di questa zona dell’occhio è infatti il risultato di un processo di sviluppo che avviene dalla nascita fino ai 3/4 anni e che porta le fibre nervose dei fotorecettori a distribuirsi radialmente come i raggi di una ruota. Le membrane di queste fibre sono ricche di pigmenti maculari di origine alimentare, come la luteina, che hanno lo scopo specifico di assorbire la luce blu per proteggere la retina dai danni fotochimici generati dalla radiazione più energetica. Il comportamento dicroico di queste molecole e la loro particolare disposizione all’interno delle membrane trasformano la fovea in un filtro polarizzatore radiale particolarmente efficiente nel blu, abilitando la percezione delle spazzole di Haidinger in presenza di luce polarizzata".
"Molti aspetti riguardanti la percezione di questo fenomeno non sono ancora del tutto chiariti e i precedenti studi in letteratura si sono limitati ad un campione di pochi soggetti. Per questo motivo abbiamo concepito e condotto questo studio su un campione di oltre 100 individui al fine di ottenere una stima attendibile della sensibilità dell’occhio umano al grado di polarizzazione della luce", conclude Ruffato introducendo la ricerca.
Lo strumento messo a punto per lo studio e i risultati ottenuti
Per questo studio è stato realizzato uno strumento che ha permesso di compiere un’indagine psicofisica su un campione di popolazione. "Lo scopo - spiega Jacopo Mottes, autore della tesi da cui è partita la ricerca - era quello di individuare la quantità minima di luce polarizzata necessaria per visualizzare il fenomeno delle spazzole di Haidinger. Lo strumento è composto da due fonti luminose rappresentate da due led RGB: grazie a due lenti positive si ottengono due fasci di luce che vengono combinati in un unico fascio che raggiunge poi l’occhio dell’osservatore. Lungo uno dei due fasci è posto un polarizzatore: si possono così combinare diverse percentuali di luce polarizzata grazie alla variazione di intensità dei due led ottenuta con una scheda Arduino".
"Il polarizzatore è montato su un meccanismo rotante e questo è un punto fondamentale per la riuscita dei test poiché il fenomeno delle spazzole di Haidinger in genere svanisce in pochi istanti a causa dei sistemi di adattamento del nostro cervello. Grazie a questo meccanismo il polarizzatore viene continuamente mantenuto in rotazione, il piano di polarizzatore della luce continua così a variare nel tempo e i sistemi adattivi vengono elusi".
"Quello che l’osservatore può vedere all’interno dello strumento - continua il primo autore della ricerca - è il pattern già descritto precedentemente delle spazzole di Haidinger ruotare intorno al punto di fissazione. Grazie ai test effettuati, seguendo dei protocolli di indagine psicofisica, è stato quindi possibile rilevare la soglia, cioè la quantità minima di luce polarizzata necessaria per visualizzare il pattern nei diversi soggetti. La prima parte dei test è stata effettuata su un campione di 113 persone e ha permesso di rivelare la soglia in luce blu, risultata pari al 16%".
I test hanno rivelato una sorprendente sensibilità dell’occhio umano al grado di polarizzazione della luce ed è emerso che per molti individui testati era sufficiente una soglia ancora più bassa.
"La seconda parte è stata effettuata in luce bianca ed è stata proposta a un sottogruppo di 31 soggetti. La soglia a cui è rilevata è stata pari al 55%, più alta rispetto a quella in luce blu ma in linea con quello che ci si aspetta poiché le molecole di luteina responsabili della percezione del fenomeno hanno un picco di assorbimento proprio intorno alle lunghezze d’onda del blu. In questo range di lunghezze d’onda risulta quindi più agevole la visualizzazione del pattern", spiega Jacopo Mottes aggiungendo che sesso ed età non sembrano influire sui risultati.
"E’ opportuno poi evidenziare il fatto che la nostra raccolta dati è stata effettuata su un campione di soggetti che non presentavano patologie maculari. I risultati quindi indicano dei valori che ci si aspetta di trovare in soggetti sani. Futuri studi potranno poi essere condotti su persone con patologie maculari o diverse anomalie per capire se esiste effettivamente un valore di cut-off tra condizione fisiologica e patologica oppure capire se ci sono dei valori sospetti che una volta trovati possono suggerire la presenza di anomalie a livello maculare", osserva Mottes.
Il ruolo dell'optometrista e le applicazioni dello strumento usato nello studio
Poiché basse concentrazioni di pigmenti maculari possono predisporre a malattie invalidanti dell'occhio, in particolare a degenerazione maculare senile, il dispositivo utilizzato per questa ricerca, sottolineano gli autori, può costituire il prototipo di una nuova generazione di strumenti ottici per l'ispezione indiretta della condizione dei pigmenti ed una individuazione precoce, economica e rapida di anomalie o patologie maculari sulla base della percezione delle spazzole di Haidinger.
"La macula è quella piccola parte del tessuto retinico deputata alla visione dei colori e alla visione dettagliata, quindi ad alta risoluzione, in condizione fotopica. E’ dunque la parte responsabile della massima efficienza visiva e per questo motivo è fondamentale che i livelli di questi pigmenti siano tali da preservare il tessuto retinico", spiega Dominga Ortolan, docente a contratto di ottica oftalmica e visuale per il corso di laurea in Ottica e optometria del dipartimento di fisica e astronomia dell'università di Padova.
"La riduzione dei livelli di questi pigmenti - continua la coautrice della ricerca - favorisce infatti l’insorgere di alterazioni o delle patologie del tessuto retinico, come la maculopatia".
"Questo progetto di ricerca - spiega Ortolan - nasce all’interno del corso di laurea in Ottica e optometria del dipartimento di Fisica e astronomia dell’università di Padova che forma scienziati che si occupano di optometria e svolgono misure ottiche e optometriche strumentali sulla persona per avere indicazioni sulla funzionalità visiva. Lo strumento che abbiamo progettato risulta sicuramente molto utile in un quadro di collaborazione tra la figura dell’optometrista e del medico oculista: il ruolo del primo è quello di svolgere misure ottiche e optometriche strumentali sulla persona per avere indicazioni sulla funzionalità visiva e progettare gli ausili compensativi idonei secondo il rigore scientifico dello scienziato".
"I laureati in ottica e optometria che si iscrivono all’Ordine dei chimici e dei fisici, secondo la legge Lorenzin, svolgono pertanto una professione sanitaria: pur non essendo medici e quindi pur non svolgendo attività sulla patologia, si occupano di funzionalità visiva e hanno il dovere di inviare al medico competente quelle persone che presentano condizioni visive che esulano dalla normalità e potrebbero sfociare in possibili patologie", conclude Ortolan.
Il primo prototipo di questo strumento è già stato ulteriormente migliorato e riprodotto in più repliche. Da quest’anno accademico è stato inoltre inserito come esperienza didattica all’interno del laboratorio di fisica del secondo anno del corso di laurea in Ottica e optometria.