SCIENZA E RICERCA

Il permafrost si scioglie: quali pericoli, quali soluzioni?

Negli ultimi giorni è stato registrato un nuovo, triste record: a Verkhoiansk, nel nordest della Siberia, a nord del circolo polare artico, è stata raggiunta l’incredibile temperatura di 38°C, a fronte di una media stagionale di circa 20°C. Questa notizia ha riportato all’attenzione dei media il problema della fusione dei ghiacci del permafrost, quello strato di terreno congelato che ricopre gran parte dei territori artici del nord Europa, della Russia e dell’America settentrionale.

Nella regione artica, le temperature medie annuali stanno salendo molto più velocemente che nel resto del globo: questo rapido riscaldamento è causato dal fenomeno dell’amplificazione artica, un insieme di eventi e processi che si autoalimentano, generando cicli di retroazioni positive che – come ci spiega il professor Filippo Giorgi, climatologo, responsabile della sezione di Fisica della Terra all’ICTP (Internation Centre for Theoretical Physics) di Trieste – amplificano, appunto, il riscaldamento climatico in questa regione.

Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar

Il disgelo del permafrost è uno dei processi che contribuiscono a questo fenomeno: lo scioglimento dei ghiacci che lo compongono ha, infatti, numerose e preoccupanti implicazioni. “Innanzitutto – spiega Giorgi – viene alla luce molta materia organica che, dopo millenni di “riposo” sotto lo strato di ghiaccio, torna a decomporsi rilasciando grandi quantità di anidride carbonica e metano, due gas serra che contribuiscono in modo sostanziale al riscaldamento dell’atmosfera. Questo, a sua volta, determina un’ulteriore fusione dei ghiacci: si mette in moto, così, un classico effetto di feedback positivo, che si autoalimenta”. Il permafrost contiene quantità enormi di gas serra: se lo scioglimento dei ghiacci continuasse al ritmo attuale – molto più veloce, peraltro, di quanto i modelli climatici avevano previsto – tale fenomeno immetterebbe in atmosfera, in pochi anni, un tasso di emissioni pari a quello del primo inquinatore mondiale, la Cina: un’eventualità che non possiamo permetterci.

Lo scioglimento dei ghiacci rende, inoltre, il permafrost più fragile: questo crea problemi per gli insediamenti umani nell’Artico, ed è all’origine di incidenti come quello, disastroso, verificatosi recentemente a Norilsk, dove una cisterna costruita proprio sul permafrost è improvvisamente crollata, rilasciando più di ventimila tonnellate di gasolio che si stanno disperdendo nell’ambiente, generando un disastro ambientale di immani proporzioni. Infine, come ricorda il nostro direttore in un editoriale, nei ghiacci artici sono intrappolati moltissimi microbi – batteri, virus e altri patogeni –, alcuni ancora sconosciuti alla scienza, di fronte ai quali l’intera popolazione umana è del tutto indifesa.

Cercare di fermare, o quantomeno rallentare, la rapida fusione del permafrost, non è dunque solo un problema scientifico o una velleità ambientalista: ne va del benessere degli ecosistemi globali, e quindi del nostro stesso benessere.

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