Gli effetti dei Pfas sulla salute non sono ancora del tutto noti, ma queste sostanze sono sotto la lente dei ricercatori da anni. Anni in cui troppo poco è stato fatto per limitare la loro presenza nell’ambiente. È quanto risulta dal confronto che abbiamo avuto con Nausicaa Orlandi, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei chimici e dei fisici. Veneziana ma laureata nel 2001 in Chimica industriale presso l’università di Padova (dove ha conseguito anche un master), Orlandi ha svolto per alcuni anni attività di ricerca presso istituti nazionali ed esteri, prima di fondare una propria azienda nell’ambito dei servizi per le imprese. Dal 19 aprile 2016 rappresenta i chimi e i fisici italiani, prima donna e presidente più giovane della storia.
Presidente Orlandi, innanzitutto cosa sono esattamente i Pfas?
“L’acronimo sta per Perfluoroalkyl substances, ovvero sostanze perfluoroalchiliche: in parole molto semplici si tratta di una famiglia di molecole organiche caratterizzate dal fatto di avere la maggior parte degli atomi di idrogeno sostituiti da atomi di fluoro. I Pfas sono prodotti generalmente con due vie di sintesi: la elettrofluororazione e la telomerizzazione. All’interno di questa famiglia troviamo singole molecole come il Pfos, Acido perfluoroottansolfonico, il Pfoa, Acido perfluorottanoico, e molti altri. I Pfas sono stati prodotti in tutto il mondo a partire dagli anni ’40 del secolo scorso e sono tuttora impiegati in moltissime applicazioni di uso comune e non solo. Il classico esempio sono le pentole antiaderenti, ma li possiamo trovare in schiume antincendio, carta e packaging, tende e tappeti, vestiti ed equipaggiamento per outdoor, scioline; e poi ancora prodotti per la pulizia, ammorbidenti, vernici, pitture, inchiostri, adesivi, prodotti medicali, prodotti per la persona (shampoo, balsami, protezioni solari, cosmetici, dentifrici, filo interdentale) e molto altro ancora”.
Nausicaa Orlandi, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei chimici e dei fisici
Che caratteristiche hanno?
“Il loro largo impiego dimostra evidentemente una grande utilità e versatilità di applicazione. I Pfas hanno la caratteristica di essere particolarmente inerti alle reazioni chimiche, resistenti al calore e all’abrasione o frizione, e servono per conferire ai materiali proprietà di antiaderenza e impermeabilità sia all’acqua che agli oli. Presentano inoltre un’alta solubilità in ambiente acquoso.
Stante la vastità degli impieghi i Pfas prima o poi finiscono nell’ambiente ed hanno la tendenza a bio-accumularsi. Sono inoltre moltissimi e ciò rende molto complesso il lavoro di classificazione, regolamentazione, analisi ed eventuale limitazione di impiego. Per esempio L’Ocse stima che ci siano almeno 4.730 sostanze riconducibili a questa denominazione, ma nello stesso documento si afferma che la lista è tuttavia ancora incompleta”.
Quando inizia l’attenzione ai Pfas e ai pericoli correlati al loro utilizzo per la salute e all’ambiente?
“Negli anni 2000. Ad esempio per il Pfos è la direttiva europea 2006/122 a portare alle prime restrizioni, via via acuite dalla normativa successiva, in cui viene considerato sostanza di attenzione prioritaria per le acque. Si evidenzia dunque una escalation di interesse correlata al maggior numero di informazioni e di dati che negli anni si è in grado di apprendere su queste sostanze. Il livello di regolamentazione è crescente in relazione al numero elevato dei componenti questa famiglia. Da Pfos e Pfoa si passa successivamente ai composti carbossilati (quali Pfna, Pfhpa, Pfteda…) o solfonati (Pfhxs, Pfbs, Pfds…), per poi continuare con i fluoroteloisomeri e tutti gli altri Pfas. Insomma una piramide da percorrere dalla cima alla base con un aumento di ricerca di metodi analitici, di valutazioni sulle pericolosità e su eventuali restrizioni e regolamentazioni”.
“ L’Ocse stima che ci siano almeno 4.730 tipi di Pfas, la maggior parte dei quali non ancora studiati
I Pfas sono pericolosi per la salute?
“L’uomo è esposto ad essi attraverso una miriade di prodotti con cui viene a contatto, alimenti e situazioni ambientali o lavorative. In particolare gioca un ruolo rilevante l’ingestione attraverso l’acqua potabile, ovvero la via di esposizione umana predominante. Sono stati riscontrati Pfas sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee, causando esposizione, oltre che attraverso l'ingestione, anche per inalazione durante la doccia e per assorbimento cutaneo. I contenitori per gli alimenti, l’abbigliamento, l’arredo ed altri articoli costituiscono ulteriori possibili percorsi di esposizione per l’uomo.
La ricerca condotta fino ad oggi ha rilevato associazioni tra esposizione a Pfas e specifici effetti negativi sulla salute umana, stando agli esiti di alcune ricerche presentate ad esempio in occasione degli eventi organizzati nel 2018 da Niehs e Ntp, le massime autorità statunitensi, che hanno evidenziato possibili disfunzioni del sistema immunitario (correlate in particolare a Pfos e Pfoa), disturbi endocrini (particolarmente nello sviluppo di malattie metaboliche, tra cui l'obesità e il diabete di tipo 2) e problemi allo sviluppo cognitivo e neurocomportamentale dei bambini (come suggeriscono alcuni studi epidemiologici).
Il quadro sicuramente evidenzia la necessità di proseguire con gli studi in questo campo, e di intensificare la ricerca al fine di migliorare la comprensione dei potenziali meccanismi e processi chimici e biologici attraverso cui i Pfas possono avere un impatto sulla salute umana”.
“ Arpav e Regione Veneto hanno definito misure efficaci, ma è difficile la bonifica completa di un inquinamento così vasto
Quanto è grave la contaminazione in Veneto? Quali sarebbero le misure da prendere?
“È sicuramente rilevante e particolare, perché oltre all’inquinamento dovuto al rilascio dei materiali in cui i Pfas sono stati impiegati, si è verificato contestualmente un massiccio inquinamento dovuto presumibilmente a una singola fonte che ha compromesso la falda acquifera di una zona molto ampia. Arpav e Regione Veneto hanno studiato a lungo la situazione e definito delle misure efficaci, ma risulta difficile la bonifica completa di un inquinamento così vasto nelle dimensioni.
La Federazione Nazionale rinnova con l’occasione la disponibilità dei propri professionisti chimici nel collaborare a un tavolo tecnico che permetta di affrontare le problematiche relative a rilevazione, valutazione e bonifica, con diversi approcci e a livello multidisciplinare, al fine di tutelare la salute della popolazione e dell’infanzia in particolare. In questo evidenzia inoltre l’importanza di comunicare in modo adeguato la problematica dei Pfas e di introdurre misure comportamentali per prevenire o limitare il contatto con questi prodotti”.
Cosa può fare la ricerca chimica su queste tematiche?
“I Pfas ad oggi regolamentati e studiati rappresentano solo una piccola parte di quelli presenti e disponibili sul mercato. La ricerca è dunque fondamentale per comprendere gli effetti di questa contaminazione e per proporre delle soluzioni, ma il compito dei professionisti chimici è fondamentale anche per l’individuazione e l’analisi dei composti, quindi per garantire la sicurezza degli abitanti e per verificare il rispetto dei limiti di concentrazione a cui questi composti sono sottoposti. Sull’ambito analitico, oggi, i professionisti chimici sono impegnati a valutare la possibilità di analizzare anche quelle sostanze che non rientrano tra quelle regolamentate ma che potrebbero in un futuro diventarlo a seguito di un processo di degradazione, come è possibile con il metodo appena presentato dal collega Edoardo Agusson nel corso della fiera internazionale dell’acqua ACCADUEO 2019. È infatti fondamentale studiare come le molecole di Pfas più complesse o non regolamentate si degradano nell’ambiente, soprattutto in situazioni estreme come le discariche, e dunque a quali composti espongono la popolazione.
Come Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici, ente pubblico non economico a rappresentanza di tutti, riteniamo importante ricordare il ruolo dei nostri professionisti sanitari, chimici e fisici impegnati nella tutela dell’ambiente e della salute, così come nella sicurezza alimentare e sul lavoro”.
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