I festeggiamenti per la vittoria di Antonio Costa. Foto: Reuters
Il cuore del Portogallo continua a battere a sinistra. È stato un weekend da brividi per Antonio Costa, leader del Partido Socialista che domenica scorsa, a sorpresa, ha conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento, ribaltando così le previsioni di quasi tutti i sondaggi elettorali. Meglio, per il premier, non poteva finire: ha chiesto al Paese un mandato per “fare da solo”, senza il fardello dell’alleanza con il Bloco de Esquerda e del Partido Comunista (l’ormai archiviata Geringonça) che l’aveva platealmente tradito lo scorso autunno, votando contro la legge di bilancio e, di fatto, facendo cadere il governo. E la risposta degli elettori è arrivata, perfino a dispetto di ciò che tutti gli analisti avevano previsto: i voti per i Socialisti hanno sfiorato il 42%, oltre 5 punti in più rispetto al 2019. Ma quel che è più importante è la traduzione in seggi: 117 su 230, uno in più del necessario per formare da soli il prossimo governo. E la tanto temuta avanzata del centrodestra s’è rivelata sì concreta (l’estrema destra populista di Chega ha ottenuto oltre il 7%, e 12 seggi in Parlamento, da uno che ne avevano), ma non tale da oscurare il successo socialista. Il Partido Socialdemocratico di Rui Rio, che i sondaggisti stimavano oltre il 34%, s’è limitato a confermare il 29% ottenuto nel 2019. In crescita anche i liberali di “Iniciativa Liberal” (5% di voti e 8 seggi). A pagare il prezzo maggiore sono gli ex alleati di Costa, evidentemente ritenuti responsabili della crisi di governo: il Bloco de Esquerda, che nel 2019 aveva superato il 10%, non è andato oltre il 4,5%, passando da 19 a 5 seggi. Poco sopra il 4% anche i comunisti.
Un “bazooka” da gestire
Ora però Antonio Costa (che 48 ore dopo il trionfo elettorale è risultato positivo al Covid) è chiamato a rispondere, non a parole ma con gesti e fatti concreti, a una così robusta dimostrazione di fiducia. Di certo riproporrà tale e quale la legge di bilancio bocciata a ottobre, quasi un atto d’orgoglio, per ripartire esattamente laddove il percorso del suo precedente governo s’era interrotto. Ma stavolta da solo, e dunque più forte, più “solido”. Che poi è il motivo per cui è stato votato: i portoghesi hanno scelto la stabilità di una sola forza di sinistra (difficile che ci saranno riedizioni della Geringonça, almeno nel breve periodo) e non l’incognita di nuove alleanze, più o meno fantasiose. Costa potrà anche passare alla fase più operativa della gestione dei fondi europei del Piano di ripresa e resilienza, che a Lisbona chiamano “il bazooka”, che ammonta a 16,6 miliardi di euro (vincolati al rispetto di diversi parametri: tra questi l’abbassamento del disavanzo di bilancio). Fondi peraltro già consegnati: il Portogallo è stato il primo Paese europeo a riceverli, lo scorso luglio. E a questi potrebbe aggiungersi un altro miliardo di euro, in base alla stima del ricalcolo delle sovvenzioni per compensare l’impatto che la pandemia ha avuto sulle economie dell’eurozona (anche la Spagna potrebbe ricevere di più, mentre Paesi Bassi e Belgio rischiano di subire un taglio delle somme previste). I nuovi crediti saranno ricalcolati da Bruxelles il prossimo aprile, dopo la diffusione dei dati aggiornati di Eurostat, che certifica l’andamento dell’economia. Anche l’agenzia internazionale Ficht Ratings ha “benedetto” il responso delle urne: «L’esito delle elezioni politiche anticipate in Portogallo riduce significativamente l'incertezza politica, creando un contesto più stabile per l'elaborazione e l'attuazione delle politiche».
Il premier ha definito il successo elettorale come «una vittoria dell’umiltà, della fiducia, della stabilità. I portoghesi hanno mostrato un cartellino rosso a qualsiasi crisi politica. I portoghesi hanno espresso il desiderio, per i prossimi anni, di avere stabilità, certezza e sicurezza». Per poi aggiungere: «La maggioranza assoluta non significa avere potere assoluto, non è governare da soli: è una responsabilità accresciuta. Perciò questa sarà una maggioranza di dialogo con tutte le forze politiche che rappresentano i portoghesi nell’Assembleia da República». Il ministro degli Esteri, Augusto Santos Silva, in un’intervista all’emittente pubblica RTP, ha poi puntualizzato: «Dialogheremo con tutti, tranne un partito», riferendosi a Chega. Il nuovo governo dovrebbe essere varato entro il prossimo 20 febbraio. Intanto il premier ha già fatto le prime mosse, entrambe al femminile: Edite Estrela sarà nominata Presidente dell’Assembleia da República, mentre Ana Catarina Mendes sarà riconfermata capogruppo dei Socialisti in Parlamento.
Comunque per Antonio Costa non sarà una passeggiata: se in Parlamento la strada si prevede in discesa, restano gli obiettivi, alcuni impervi, da realizzare. Per i fondi europei, sono 38 i “milestone” (i traguardi qualitativi) da raggiungere: riforme e investimenti dovranno essere realizzati nei settori dell’istruzione, delle politiche sociali, della ricerca e dello sviluppo, della gestione forestale, della digitalizzazione delle imprese e delle scuole. E non ci sarà errore, o ritardo, o pasticcio, che gli sarà perdonato. Poi c’è il dialogo con i portoghesi, le promesse scandite dal Partido Socialista sotto elezioni: dall’innalzamento del salario minimo dagli attuali 705 a 900 euro (entro il 2026) all’introduzione progressiva della settimana lavorativa a 4 giorni, fino alle politiche di edilizia popolare, con l’intento di garantire “abitazioni dignitose alle persone a basso reddito” e l’impegno di “assicurare che le classi medie abbiano alloggi a prezzi accessibili”. E’ sulla realizzazione di questi punti che Costa, 60 anni, avvocato, di origine indiana, appassionato di cucina, di calcio e di fado, si gioca la sua pubblica credibilità. E’ la sua grande occasione: non dovrà deludere.
Il fenomeno Chega
Sul fronte opposto c’è da registrare la profonda delusione del PSD, i socialdemocratici di centrodestra, che sempre alla luce dei sondaggi sballati avevano accarezzato l’idea di poter aprire una nuova stagione politica. Il suo leader, Rui Rio, ha anticipato che potrebbe dimettersi, rimettendo il suo mandato alla decisione della prossima assemblea del partito. «Con la maggioranza assoluta in Parlamento dei Socialisti, non vedo come potrei essere utile per i prossimi quattro anni». «Il risultato è molto lontano da quello che avevamo immaginato», ha poi ammesso Rio, sottolineando come la destra sia stata penalizzata da una “dispersione di voti”, tra PSD, Chega e Liberali.
Chi invece può esultare è l’estrema destra di Chega (che vuol dire “basta”, in portoghese), passata a 12 seggi in Parlamento, che s’impone come la “nuova realtà” nel panorama politico portoghese (ed è l’unico punto su cui i sondaggi si sono rivelati affidabili). La campagna ferocemente anti-rom imposta dal suo leader, l’ex commentatore di calcio André Ventura, evidentemente ha pagato, riuscendo ad attrarre la parte più reazionaria del malcontento sociale. I suoi toni perennemente aggressivi, la retorica anti-immigrazione, “ordine e sicurezza” su tutto, il suo proposito di privatizzare la sanità, di tagliare le spese sociali. Insomma, l’esatta rappresentazione degli opposti, rispetto al programma dei socialisti. Il risultato, com’è ovvio, ha dato nuova benzina a Ventura: «Questa è una grande, grande, grande notte», ha esultato non appena è stata certa l’entità del successo. «Se il PSD non ha fatto il suo lavoro, d’ora in poi lo faremo noi. Saremo noi l’opposizione. Noi che siamo la terza forza politica in Portogallo, noi che a differenza di altri, non abbiamo mai preso o prenderemo accordi con la sinistra o l’estrema sinistra». Entusiasmi comprensibili. E Chega (che fa il paio con l’ascesa in Spagna di Vox) è senz’altro un fenomeno da non sottovalutare, anche perché è riuscito ad attecchire in una nazione che finora era rimasta impermeabile ai sovranismi, a differenza del resto d’Europa. Ma la politica portoghese, almeno per i prossimi quattro anni, parlerà un’altra lingua.