Il premier portoghese Antonio Costa festeggia il risultato delle elezioni. Foto: Reuters
Il Portogallo si conferma uno dei rarissimi angoli d’Europa dove la sinistra va ancora di moda. Il Partito Socialista del premier Costa, che negli ultimi quattro anni, alla guida di un’insolita coalizione (qui la chiamano “geringonça”, traducibile con “ammucchiata” o “accozzaglia”) tra sinistra ed estrema sinistra, è riuscito a tirar fuori il paese dalle secche di un probabile default, ha vinto le elezioni politiche con il 36,7% dei voti, conquistando 106 seggi, 20 in più rispetto al 2015, ma 10 in meno di quelli necessari per conquistare la maggioranza assoluta. Sostanzialmente stabile il Bloco de Esquerda (Blocco di Sinistra, BE), accreditato di un risultato che dovrebbe attestarsi appena al di sotto del 10% (soglia raggiunta nel 2015), mentre perde un paio di punti (al 6,50%) la CDU (Coalizione Democratica Unitaria, formata da Comunisti e Verdi). Una maggioranza che, se confermata, potrebbe contare su un margine assai ampio.
Ma non è detto che Costa la riproporrà così com’è, viste le frizioni degli ultimi mesi con BE. Si guarda con attenzione al risultato di PAN, il partito Ambientalista-Animalista nato sulla spinta del movimento ispirato da Greta Thunberg: alle Europee aveva preso il 5%, lo spoglio al momento dice poco più del 3%. Ma è sul fronte dell’opposizione che si registrano i crolli più clamorosi. A partire dal principale partito di centrodestra (che curiosamente qui si chiama Partito Social Democratico, PSD), in calo di oltre l’8% (27,9%, il peggior risultato dal 1983) rispetto alle politiche del 2015, quando era ancora il partito più votato. E parallelamente cala il Centro Democratico Sociale - Partito Popolare (CDS-PP), stimato oggi al 4,2% (nel 2015 era alleato al PSD), mentre sprofonda l’estrema destra (altra anomalia rispetto al resto d’Europa), con il nuovo partito populista Chega (in portoghese vuol dire “Basta”) che racimola le briciole, appena, l’1,3%.
Il premier Costa: «Ai portoghesi piace la "geringonça”»
Un risultato inoppugnabile, che rafforza la posizione di Antonio Costa: «È un risultato storico. Il Partito Socialista ha chiaramente vinto queste elezionie rafforzato la sua posizione politica», ha dichiarato il premier festeggiando il risultato delle urne. «I portoghesi vogliono un nuovo governo socialista più forte, in grado di governare con stabilità». Un risultato che tuttavia obbligherà Costa a trovare alleanze e nuovi equilibri: "Ai portoghesi piace la "geringonça”", ha poi commentato. "Stiamo cercando con i nostri partner parlamentari di trovare le soluzioni politiche che gli elettori portoghesi hanno dimostrato di apprezzare». Mentre Rui Rio, leader del PSD, evidentemente temeva un risultato ben peggiore, al punto da dichiarare, dopo i primi exit poll: «Questo voto non è il disastro annunciato. Abbiamo fatto un passo avanti per riconquistare la fiducia dei portoghesi".
L’affluenza è stata del 54,5%, in lieve calo rispetto al 2015. E alla vigilia del voto s’era intuito che l’astensione avrebbe potuto prendere ulteriore forza, al punto che il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, aveva sentito la necessità di rivolgere un pubblico appello agli elettori: «Non votare è delegare ad altri una decisione che è nostra. Per convinzione, fiducia, rifiuto, realismo, esclusione di partiti: qualunque siano le tue convinzioni, non rinunciare a votare domani», aveva detto. Ma nelle parole del presidente de Sousa c’è anche un tratto politico, che riguarda la situazione economica del paese, da non trascurare: "Il rinnovato appello che rivolgo ai portoghesi è rendersi conto che i prossimi quattro anni saranno difficilie che spetta ai portoghesi dimostrare di essere attenti all'Europa e al mondo». Il capo dello Stato ha fatto riferimento all’incertezza dovuta alla Brexit e alle ricadute delle crisi internazionali sull’economia portoghese. «Il futuro governo dovrà scommettere su più crescita, più posti di lavoro, lotta contro la povertà e le disuguaglianze tra le persone, superamento degli effetti negativi del calo delle nascite e dell'invecchiamento della popolazione». Da non trascurare quest’ultimo punto: l’Unione Europea stima che nel 2100 la popolazione del Portogallo scenderà a 6,6 milioni, dagli attuali 10,3 milioni.
Miracolo a Lisbona
Non c’è dubbio che il premier Costa abbia finora compiuto un mezzo miracolo. C’è chi lo loda per le sue doti di negoziatore politico, mentre altri lo accusano di essere freddo e calcolatore. Il Portogallo era a un passo dall’abisso, ora ha uno degli indicatori più positivi di tutta l’Unione Europea. Nel biennio 2016-2018 l’economia è cresciuta di quasi il 7%, mentre il Pil anche quest’anno dovrebbe crescere del 2% (nel 2014 era allo 0,19%). Il deficit pubblico è allo 0,5% del Pil. La disoccupazione, che prima dell’arrivo di Costa al governo era al 16%, è scesa al 6,2%. I salari minimi sono stati aumentati. Risultati ottenuti in pieno accordo con l’Unione Europea, che ha in qualche modo premiato il Portogallo, con il ministro delle Finanze, Mario Centeno (definito da Wolfgang Schauble, ex ministro tedesco delle Finanze, il “Cristiano Ronaldo dell’Ecofin”), nominato presidente dell’Eurogruppo. Tra le chiavi usate da Costa, oltre al turismo, soprattutto le esportazioni, che oggi rappresentano circa il 60% del Pil.
«Il Portogallo ha bisogno di più migranti»
Ma i prossimi quattro anni saranno decisivi per puntellare lo sviluppo economico e sociale del paese, per renderlo più autonomo e meno vulnerabile alle variabili esterne (altissimi i rischi in caso di aumento dei tassi d’interesse). Pedro Videla, economista della Iese Business School, ha spiegato al Sole 24 Ore quali dovrebbero essere le priorità per il prossimo governo: «Riavviare gli investimenti pubblici, rafforzare il sistema bancario, rendere sostenibile il sistema pensionistico. Nel lungo periodo, aumentare la produttività, migliorare i dati sulla scolarizzazione e la formazione dei cittadini, ridurre le evidenti disuguaglianze sociali, gestire l’invecchiamento della popolazione e le migrazioni». E qui sta un’altra anomalia, tutta portoghese: i migranti non sono visti come una minaccia, come avviene praticamente in ogni angolo d’Europa, grazie anche alla propaganda incessante delle forze di estrema destra, peraltro spesso imitati e rincorsi sul tema dai leader di sinistra che vivono nel timore di perdere consensi. In Portogallo (anche per questioni storiche e culturali) gli stranieri sono visti e accolti come “portatori di opportunità economiche in un paese sempre più vecchio e bisognoso di giovani lavoratori”, come scrive il Post, ricordando che lo stesso premier Costa è nato a Maputu, in Mozambico, ex colonia portoghese in Africa, ed è figlio di un indo-portoghese originario della città indiana di Goa. Lo stesso Costa, in campagna elettorale, si è apertamente scagliato contro le “mode anti-immigrazione”. "Non tollererò retoriche xenofobe. Il Portogallo ha bisogno di più immigrazione e più persone che lavorino per il nostro paese". In questo senso s’inquadra anche la politica di facilitazione fiscale: tasse zero per i pensionati stranieri che scelgono di prendere lì la residenza, come ben sanno molti italiani.