Portunalia, la feste organizzate in onore di Portunus, Dio dei porti. E’ così che si intitola un incontro che si è tenuto sabato 24 ottobre al Festival della scienza di Genova. Parlare di porti, in una città portuale, significa parlare di economia, di traffici, di merci, e quando si analizzano questi argomenti inevitabilmente l’attenzione dev’essere posta anche sulla tematica della criminalità organizzata. Noi lo facciamo con una delle relatrici dell’incontro di Genova, Anna Sergi, professoressa ordinaria di criminologia e vice-direttrice del Centro di Criminologia dell’università di Essex (UK).
La prof.ssa Sergi ha pubblicato da poco un volume intitolato The Port-Crime Interface: A Report on Organised Crime & Corruption in Seaports nel quale si analizzano le relazioni e le specifiche vulnerabilità proprio dei porti. Sono stati analizzati due porti europei e tre extra europei. tra questi proprio il porto di Genova di cui ci parla Anna Sergi.
“La ricerca ha guardato al crimine organizzato di varia natura, compreso quello italiano. Abbiamo analizzato cinque porti: Genova, Liverpool, Montreal, New York e Melburne. Questi porti hanno tutti delle caratteristiche specifiche, sono tutti molto grandi, sono quasi sempre i primi porti del loro Paese, ed hanno una città alle spalle da cui dipendono e che dipende da loro. Sono porti che sono nati assieme alla città ed hanno cambiato la storia della città stessa. Il porto è una fonte economica fondamentale ovunque, quindi guardare l’interfaccia tra il porto ed il crimine richiede guardare all’interfaccia tra la città e il porto. Quello che volevamo fare è vedere quanto ciò che si sa della storia criminale della città si rispecchia nell’aspetto criminale portuale”.
“I porti sono, appunto, delle porte - continua Anna Sergi -. A seconda di cosa deve fare un gruppo criminale può o meno essere la porta giusta. Se si tratta di portare in Italia ingenti carichi di cocaina, proprio il porto di Genova è particolarmente adeguato a questo scopo perché ha una serie di collegamenti ben stabiliti con rotte marittime con l’America latina. A Genova, che è una città schiacciata sul mare, dove non c’è spazio per costruire, un metro cubo del porto è oro. Da Genova possono passare diversi gruppi criminali, non solo italiani. Ma per quanto riguarda gli interessi sul porto ovviamente bisogna avere dei gruppi stabilizzati sul territorio”.
I porti, che siano europei o internazionali sono del tutto similari. Se si guarda una foto difficilmente si può riconoscere dov’è quel porto. Anche dal punto di vista della ricerca della professoressa Sergi, ci sono state più similitudini che differenze tra i vari porti studiati. “L’economia portuale rende omogenei i problemi che si presentano. Quasi tutti i porti che abbiamo visto hanno più o meno la stessa tipologia di traffici illeciti. Quello che cambia però sono i rapporti con le istituzioni del territorio”.
"Il porto di Genova attrae principalmente traffici di cocaina ma non disdegna traffici di altre droghe - conclude Anna Sergi -. Quando si tratta di cocaina, come spesso accade in Italia, è la ‘ndrangheta a gestirli, ma in modo un po’ più complesso da come spesso viene raccontato. Non hanno infatti necessariamente le mani in pasta per quanto riguarda i traffici stessi. Lo ’ndraghetista è spesso colui che finanzia l’importazione di cocaina ma non sempre lo gestisce. C’è poi il tema dei rifiuti che dev’essere approfondito, in particolar modo quello che esce da Genova. Si parla spesso di traffici in entrata ma è il traffico in uscita che bisogna guardare meglio.”.
Parlando proprio di ‘ndrangheta c’è un fatto, accaduto nel 2008 a Melburne, che è emblematico di come la criminalità organizzata sia di fatto globale. “Nel 2008 un gruppo di 16 persone che sono state arrestate e condannate, di cui 9 appartenenti a clan ‘ndranghetisti in Australia, hanno organizzato un’enorme spedizione dall’Europa di 4,4 tonnellate di MDMA e 160 tonnellate di cocaina. Fu un caso storico perché fu uno dei primi casi in cui la polizia federale australiana riuscì ad arrestare degli ‘ndranghetisti di primo calibro. Si trattava infatti di affiliati al clan Barbaro, le cui radici sono nel clan Barbaro ancora attualmente attivo in Aspromonte. All’epoca si trattò dell’operazione più grande del mondo per quanto riguarda la confisca di ectasy”.