SOCIETÀ

Quando il cambiamento climatico diventerà irreversibile?

Quando il cambiamento climatico diventerà irreversibile? Questa domanda è fondamentale per "il mondo che verrà", tema che è stato scelto come titolo del Cicap Fest di quest'anno. La domanda è più che legittima, tuttavia ha dei problemi nel modo in cui è formulata.

È problematica perché delinea implicitamente, seppur in modo intuitivo, che cosa sia il cambiamento climatico e come dovrebbe agire. In altri termini nella domanda sono presenti quelle che in gergo scientifico si chiamano delle assunzioni implicite. Se ci chiediamo “quando il cambiamento climatico diventerà irreversibile” ci aspettiamo che la risposta sia una certa data, in un futuro più o meno lontano. Ed è proprio qui l’errore.

Se dovessi dare la risposta breve direi che il cambiamento climatico è già irreversibile, nel senso che la temperatura del pianeta è già salita a causa dell’azione antropica e il cambiamento climatico è già in atto. Più precisamente sappiamo che dall’era preindustriale a oggi, quindi negli ultimi 200-250 anni circa, la temperatura del pianeta è salita di 1,1°C. Pensate se invece di andare in giro con una temperatura corporea di circa 36,5°C doveste andare a lavoro o a scuola con una temperatura corporea stabile a 37,6°C. Sarebbe alquanto faticoso, sareste in affanno, esattamente come il pianeta oggi è già in affanno.

Non solo: gli studi che sono stati fatti dagli ultimi rapporti dell’IPCC, il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, ci dicono chiaramente che se l’uomo non avesse abitato il pianeta nell’ultimo paio di secoli la temperatura del pianeta si sarebbe alzata di 0,02°C. Il riscaldamento globale e il cambiamento climatico dunque sono già in atto e sono interamente responsabilità dell’uomo.

Bias cognitivi

Questa la risposta breve. Ma visto che abbiamo un po’ di tempo possiamo provare a capire meglio il cambiamento climatico, che è un fenomeno alquanto complesso e difficile da osservare direttamente per noi piccoli esseri umani che siamo abituati a focalizzare la nostra attenzione sulle nostre attività quotidiane.

Certo, possiamo sentire il caldo sulla nostra pelle, ma il meteo è cosa diversa dal clima. I nostri sensi non sono in grado di percepire i microscopici aumenti di temperatura che anno dopo anno si accumulano. Il cambiamento climatico è un fenomeno fuori scala per il nostro sistema cognitivo e per questo ancora oggi molti dicono “ma dov’è questo cambiamento climatico? Io non lo vedo”. Nel negare, o anche solo ignorare il cambiamento climatico, impersoniamo alla perfezione il principio della rana bollita, secondo cui una rana nuota liberamente in una pentola sotto cui è acceso un tenue fuocherello, che a poco a poco scalda l’acqua ma lo fa troppo lentamente perché la rana se ne accorga. La rana continuerà a pensare che va tutto bene perché non coglierà la differenza di temperatura, fino a che la pentola inizierà a bollire e la rana si troverà bollita.

Se non vogliamo fare la fine della povera rana non dobbiamo affidarci esclusivamente ai nostri sensi, dobbiamo allargare lo sguardo e indossare le lenti della scienza, che indaga cause ed effetti dei fenomeni naturali. Vi parlerò allora prima delle cause e poi degli effetti del cambiamento climatico.

Vi anticipo subito che alcuni di questi effetti sono già irreversibili, come lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani. Una volta avviati questi processi non sono arrestabili tirando semplicemente il freno a mano. Questi processi li abbiamo già innescati, sono già irreversibili. Quello che è ancora in nostro potere è provare a contenere la gravità di questi fenomeni e questo dipende da quanto saremo in grado di fare nei prossimi anni in termini di riduzione delle emissioni e quindi di riduzione della temperatura del pianeta.

Ogni decimo di grado al di sopra del limite soglia di 1,5°C di riscaldamento globale stabilito dagli accordi di Parigi nel 2015 porterà ulteriori gravissimi impatti non solo sugli ecosistemi naturali ma anche sulla società e sui sistemi produttivi quali agricoltura, pesca, gestione delle foreste. Starà a noi rendere più o meno gravi, più o meno irreversibili gli effetti del cambiamento climatico che è già in atto.

Cause

Come sapete, la causa del riscaldamento globale sono le emissioni dei gas a effetto serra o gas climalteranti. La CO2, l’anidride carbonica, è il principale, ma non il solo, responsabile dell’effetto serra. È presente in piccolissime percentuali in atmosfera, ma siccome questa molecola è in grado di trattenere il calore della radiazione solare, se noi aumentiamo la concentrazione di CO2 in atmosfera, aumentiamo anche la quantità di calore che questa trattiene. Dobbiamo immaginarci l’anidride carbonica in atmosfera come una sorta di coperta stesa sopra di noi che trattiene il calore che noi emettiamo e che arriva dal sole. Più CO2 immettiamo in atmosfera, più spessa diventa questa coperta e più caldo fa sotto questa coperta.

Pensate che negli ultimi 800.000 anni la concentrazione di CO2 in atmosfera è sempre oscillata tra le 180 e le 280 ppm (parti per milione). Da circa metà del XX secolo abbiamo sforato le 300 ppm e da lì è stata un’ascesa inarrestabile. Intorno al 2016 abbiamo superato le 400 ppm e oggi siamo sopra le a 410 ppm.

Questo perché dalla rivoluzione industriale in avanti abbiamo immesso in atmosfera quantità crescenti di anidride carbonica e altri gas a effetto serra come il metano o gli ossidi di azoto che tuttavia vengono sempre calcolati in termini di anidride carbonica equivalente. L’ultimo anno le nostre attività industriali, il riscaldamento domestico, il sistema dei trasporti, il sistema agricolo e tutte le altre attività produttive della nostra società dei consumi hanno emesso in atmosfera l’equivalente di circa 45 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (anche se le stime variano). Circa i 3/4 delle emissioni totali provengono dal settore dell’energia (36 miliardi di tonnellate di CO2/eq nel 2021), un settore retto dai combustibili fossili, ovvero carbone, petrolio e gas, che dobbiamo quindi ripensare completamente, che dobbiamo decarbonizzare.

Quali sono le conseguenze di tutte queste emissioni che causano il riscaldamento globale? A questo tema è dedicato tutto un altro rapporto dell’IPCC pubblicato a febbraio di quest’anno.

Effetti già provocati

Come vi dicevo più calore in atmosfera, trattenuto dalla CO2, significa più energia in atmosfera. E prima o poi questa energia si scarica a terra, in una forma o nell’altra. Può essere tramite ondate di calore, come quella che ha colpito l’India poche settimane fa, che ha provocato danni all’agricoltura e ad altri sistemi produttivi. Ma può essere anche tramite precipitazioni più abbondanti, quelle che ogni tanto chiamiamo bombe d’acqua, o più correttamente nubifragi, o vere e proprie tempeste tropicali, che provocano ugualmente danni all’agricoltura e ad altri sistemi, ma questa volta tramite alluvioni e allagamenti. Capite bene quindi che siccità estrema e piogge estreme sono due fenomeni apparentemente opposti ma in realtà sono due facce della stessa medaglia, ovvero la maggiore quantità di calore in atmosfera.

Il rapporto dell’IPCC dice chiaramente che ondate di calore, siccità e alluvioni si stanno verificando con frequenza e intensità già aumentate rispetto al passato e il loro impatto si è già fatto sentire, sia sugli ecosistemi naturali, sia sulla società e l’economia.

Il cambiamento climatico ha già ridotto la crescita economica in Africa (per quanto riguarda ad esempio un rallentamento della crescita della produttività agricola) dagli anni ‘60 a oggi e ha già aumentato le disuguaglianze di reddito Paesi Africani e Paesi del nord a climi temperati.

Il cambiamento climatico ha già costretto milioni di persone a migrare dai propri luoghi di origine, in Africa, in Asia e in altre parti del mondo.

Le morti causate dalle alluvioni che ogni anno si abbattono in Uganda, l’Uganda di Vanessa Nakate, dove l’assenza di infrastrutture adeguate fa sì che le strade si trasformino in fiumi di fango, sono già irreversibili.

L’Africa è una delle zone maggiormente colpite dal cambiamento climatico, anche se è responsabile solo del 3% delle emissioni prodotte negli ultimi tre secoli. Il cambiamento climatico non solo non è uguale per tutti, nel senso che colpisce più duramente i Paesi più poveri che non hanno le infrastrutture per difendersi, ma è anche stato prodotto in modo non uguale da tutti, con i Paesi ricchi che hanno più responsabilità dei Paesi poveri: il cambiamento climatico è anche una questione di giustizia sociale, di giustizia climatica.

Il cambiamento climatico colpisce più duramente i Paesi più poveri, ma si fa sentire anche nei Paesi ricchi. Ricorderete l’estate scorse le alluvioni che hanno colpito l’Europa continentale, dove sono morte più di 200 persone, o le piogge record che si sono abbattute l’estate scorsa sulla Liguria.

Un’analisi dell’agenzia ambientale europea mostra che negli ultimi 40 anni, dal 1980 al 2019, gli eventi meteorologici estremi, che il cambiamento climatico ha reso più frequenti e più intensi negli ultimi anni, sono costati 72,5 miliardi di euro all'Italia, 107,4 miliardi di euro alla Germania, 67,5 miliardi di euro alla Francia. La transizione ecologica costerà, avrà bisogno di ingenti investimenti per cambiare il nostro sistema produttivo, ma costerà comunque meno rispetto a quello che pagheremmo in termini ambientali e sanitari per sistemare i danni provocati dal cambiamento climatico.

Ai tropici intere specie stanno scomparendo, mentre più a nord interi biomi si stanno lentamente spostando alla ricerca di temperature più fresche. Potrei parlarvi delle specie animali e vegetali che sono già state duramente colpite, dagli incendi o all’innalzamento del livello del mare.

Vi menzionerò soltanto un roditore australiano, Melomys rubicola, che nel 2016 è stato dichiarato estinto: si tratta della prima estinzione di una specie di mammifero causata dal cambiamento climatico: era endemico di una piccola isola corallina Bramble Cay e la sua estinzione è dovuta alla perdita dell’habitat conseguente all’aumento del livello del mare e a tempeste che hanno colpito lo stretto di Torres.

Potrei parlarvi delle barriere coralline dell’Australia e di moltissime altre isole del mondo che stanno già morendo a causa del riscaldamento degli oceani e delle ondate di calore marine. Con loro stanno scomparendo interi ecosistemi marini e le economie basate sul turismo. La loro perdita è già irreversibile.

Potrei parlarvi della la foresta amazzonica che è drammaticamente vicina a un punto di non ritorno, perché non riesce più a rigenerarsi a causa della crescente siccità. Nel giro di qualche decennio la foresta potrebbe lasciar spazio a macchie di savana che gradualmente la sostituiranno.

E ancora ci sono già e sono destinati ad aumentare i problemi di sicurezza alimentare, dovuti a una diminuzione della produttività agricola in moltissime aree, e i problemi di sicurezza idrica, che tagliano la disponibilità di acqua in aree anche benestanti come la California.

Che fare?

Tornando quindi alla domanda iniziale da cui siamo partiti “Quando il cambiamento climatico diventerà irreversibile?” spero di avervi fatto capire che forse la domanda giusta da porci è semmai “Cosa dobbiamo fare per rendere meno gravi le conseguenze del cambiamento climatico?”

Gli ultimi rapporti IPCC sono stati molto chiari a riguardo: “le mezze misure non sono più un’opzione”. I governi nazionali e le organizzazione sovranazionali stanno lavorando a piani non solo di mitigazione, cioè di riduzione delle emissioni, ma anche di adattamento al cambiamento climatico, proprio perché alcune sue conseguenze ormai non sono più evitabili, sono già irreversibili e noi dovremo adattarci nel modo migliore possibile.

Le centinaia di scienziati che hanno partecipato ai gruppi di lavoro dell’IPCC ritengono che per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C è necessario che il picco delle emissioni globali venga raggiunto prima del 2025. Poi avremmo 5 anni a disposizione per ridurre le emissioni del 43% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2005).

Dovremmo ridurle del 25% per stare al di sotto dei 2°C, che è la soglia massima che ci siamo dati e oltre la quale il sistema di regolazione climatica del pianeta va a gambe all’aria. L’Europa però si è posta un obiettivo ancora più ambizioso, ridurle del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990).

Come capite bene la finestra per l'azione è molto stretta: è il più classico degli "ora o mai più".

Abbiamo tutte le tecnologie e le conoscenze per farlo. Ciò che manca è la volontà politica di compiere un deciso passo in questa direzione.

“Gli impegni presi finora invece di diminuire le emissioni porteranno a un aumento del 14% delle emissioni. I maggiori emettitori non stanno nemmeno mettendo in pratica gli impegni presi per mantenere le loro già inadeguate promesse”. Queste parole che vi riporto le ha pronunciate Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto IPCC e proprio con le sue parole pronunciate vorrei concludere: “finora abbiamo assistito a impegni vuoti che ci consegneranno un mondo invivibile. Stiamo viaggiando ad alta velocità verso un vero disastro climatico: molte città sott’acqua, ondate di calore e tempeste senza precedenti, scarsità di acqua, estinzione di un milione di specie di piante e animali. Non è una fiction o un’esagerazione, è quello la scienza ci dice risulterà dalle attuali politiche energetiche. Arriveremo a raddoppiare il grado e mezzo di riscaldamento globale. Siamo sulla strada di un aumento di 3°C. Certi governi e uomini d’affari dicono una cosa e ne fanno un’altra. Detto in maniera semplice: stanno mentendo. Stanno soffocando il nostro pianeta con i loro interessi e investendo sui combustibili fossili, quando le rinnovabili sono soluzioni più convenienti, generano posti di lavoro e sicurezza energetica. Gli attivisti climatici sono a volte presentati come pericolosi radicali, ma i veri pericolosi radicali sono coloro che stanno aumentando le emissioni. Investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è moralmente e economicamente una follia. Ma non deve andare per forza così. Dobbiamo triplicare la velocità della transizione verso le energie rinnovabili. Questo significa spostare gli investimenti dai combustibili fossili alle rinnovabili, ora. In molti casi le rinnovabili sono la soluzione più economica. Governi, istituzioni finanziarie e grandi corporazioni devono sostenere le economie emergenti in questa transizione”.

Non so a voi ma a me le parole di Guterres non suonano per nulla diverse da quelle più volte ribadite dai giovani attivisti per il clima. Forse è il caso che ascoltiamo un po’ più attentamente cosa hanno da dire questi ragazzi e queste ragazze.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012