La capacità di comprendere i messaggi dei nostri animali domestici è la chiave per una convivenza serena e vantaggiosa per tutte le specie in gioco.
Da molti anni infatti è stato scientificamente sfatato il mito, dalle radici filosofiche, degli animali privi di una vera e propria intelligenza, cosa che comunque poteva intuire chiunque avesse convissuto con un cane o un gatto, ma anche con altri animali meno mainstream, come conigli e pappagalli (su questi ultimi, rimandiamo agli studi di Irene M. Pepperberg, che dimostrano anche come il suo pappagallo Alex avesse interiorizzato il concetto di “zero”).
Gli animali, quindi, comunicano con noi, o almeno ci provano. Qui ci concentriamo sui gatti, sulla scia di uno studio apparso su Science Direct che dimostra che a volte non riusciamo a decodificare i loro messaggi.
Da quando l’essere umano li ha domesticati, entrambe le specie hanno sviluppato delle modalità di comunicazione piuttosto efficaci (posto che il gatto è famoso per fingere di non capire quando gli viene detto qualcosa che preferirebbe ignorare tipo “scendi immediatamente dal tavolo”, a ulteriore riprova che sciocco non è!). Eppure, nonostante la familiarità che si è instaurata, tendiamo ancora a fraintendere alcuni comportamenti felini, soprattutto quando non possiamo vederli e sentirli nello stesso momento.
Lo studio ha coinvolto 630 persone (574 donne, 51 uomini e 5 non binari), che si sono cimentate con la comunicazione unimodale del gatto (quindi hanno dovuto interpretare i messaggi solo ascoltandoli o solo guardandoli) o con quella bimodale, cioè guardandoli e ascoltandoli nello stesso tempo. L’esperimento è stato condotto mostrando dei video e/o facendoli ascoltare ai partecipanti, e non c’è da stupirsi che nel caso della comunicazione bimodale il livello di comprensione è stato migliore: i comportamenti espressi nei video visti e ascoltati hanno avuto il 91,8% di valutazioni corrette, quelli che riportavano solo informazioni visive l’87,3%, mentre ascoltando soltanto miagolii e vocalizzi si è riusciti a valutare correttamente solo il 72,2% dei contenuti.
Quello che è emerso, insomma, è che noi umani non siamo particolarmente abili nel distinguere i vocalizzi felini, ma probabilmente loro non lo sanno, visto che i miagolii sono destinati quasi esclusivamente a noi umani ed è molto raro che il gatto li utilizzi con i suoi conspecifici. Questo conferma uno studio precedente che però, come molti altri, aveva preso in esame soltanto la comunicazione unimodale.
Un’altra questione interessante riguarda il tipo di segnale da interpretare: gli umani sono più abili a distinguere i comportamenti legati alla contentezza (90,1% di risposte corrette) rispetto alla scontentezza (solo il 71% di risposte corrette). I video erano stati infatti divisi in cinque categorie
• Contentezza (stato di felicità)
• Scontentezza (stato di infelicità)
• Richiesta (sia per cibo che per attenzione umana)
• Comportamento predatorio (categoria successivamente eliminata)
• Comportamento agonistico (comportamento associato a minaccia o aggressione)
Dello studio e degli scenari che apre abbiamo parlato con Simona Normando, docente di etologia degli animali domestici del Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’Università di Padova.
Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo
Prima di tutto, una precisazione: il campione dello studio non è rappresentativo della popolazione generale, perché i partecipanti non sono stati selezionati con criteri statistici, ma hanno scelto volontariamente di partecipare (e questo spiega, come fa notare Normando, il pesante squilibrio tra uomini e donne nell’indagine: le donne tendono a rispondere più spesso ai questionari proposti online). I ricercatori hanno chiesto tramite i social network se i proprietari potevano inviare dei video in cui i gatti manifestavano i comportamenti legati alle cinque categorie di cui parlavamo sopra. Sono stati raccolti 63 video e ne sono stati ulteriormente selezionati 30 da mostrare a 10 specialisti del comportamento. “La categoria relativa al comportamento predatorio – precisa Normando – è stata eliminata, perché nella fase della validazione dei video da parte degli esperti questi non erano d’accordo tra loro. Una volta validati, gli altri video sono stati presentati in tre modalità: audio e video, solo video, solo audio, e a questo punto hanno chiesto ai volontari di guardare, ascoltare o guardare e ascoltare nello stesso tempo questi video, assegnandoli alle categorie iniziali, cioè gatto contento, scontento, gatto che sta richiedendo qualcosa o gatto che sta predando. Ai partecipanti è stato anche chiesto di valutare l'intensità del comportamento da 1 a 5, e di valutare la valenza emotiva percepita, positiva o negativa, del gatto, sempre con valori da 1 a 5”.
Erano rimasti 24 video, quindi sei per ognuna delle categorie proposte, due solo visivi, due solo uditivi e due bimodali. Dei 630 partecipanti, 464 erano persone comuni, mentre 166 erano professionisti di vario tipo che lavoravano con gli animali (veterinari, etologi, comportamentisti animali, studenti di veterinaria o di etologia, pet-sitter professionisti, ecc). Questi ultimi hanno avuto risultati migliori. Secondo gli studiosi, i risultati confermano la teoria di Baraud e colleghi: i segnali bimodali sono più efficaci perché non sono ridondanti, ma complementari, e questo limita l’ambiguità dei segnali solo visivi o solo uditivi.
L'età dei partecipanti gioca un ruolo significativo, con individui tra i 25 e i 39 anni che ottengono punteggi migliori rispetto a quelli più anziani. Come potremmo interpretare questo dato, in lieve contrasto con gli studi precedenti, che però avevano degli intervalli di età differenti? “Non è facilissimo da spiegare – dichiara Normando. “Prima di tutto bisognerebbe capire in che contesto socioeconomico si è svolto lo studio, perché per esempio in alcune regioni d'Italia le persone al di sopra di una certa età vivono in un ambiente più rurale e potevano stare in contatto con dei gatti che comunque rimanevano fuori e quindi erano meno osservati. L'altra possibilità è che ci sia una disseminazione di informazioni maggiore per le persone più giovani che fanno uso della tecnologia, che le rende più in grado di recepire e raggiungere queste informazioni. Va anche detto però che non sempre, nella pletora di video e contenuti che ci sono, le informazioni siano corrette, ma certamente nella massa si trovano anche quelle giuste”.
Anche per questo è importante fare una buona divulgazione attraverso i social, se necessario anche attraverso le pillole, che pur non potendo essere esaustive hanno la possibilità di raggiungere più persone. Dallo studio emerge come l’insoddisfazione sia il comportamento più difficile da identificare nel gatto, e il fatto di non riuscire a individuarne i segnali di scontentezza può essere un problema, sia per il gatto che non viene compreso, sia per l’essere umano, che rischia un attacco che non si aspetta, perché il felino gli ha già comunicato il suo disappunto (che lui non ha capito) e il passo successivo spesso è quello di sfoderare gli artigli. “È preoccupante – conferma Normando – che il tipo di comportamento meno riconosciuto è quello di quando il gatto non è a suo agio. Se accarezziamo il gatto guardando la tv, senza guardare lui ma sentendo soltanto le vocalizzazioni, possono sorgere delle incomprensioni che possono avere degli effetti negativi sul benessere dell'animale e anche sulla relazione: per come la percepiamo noi, mentre lo stavamo accarezzando di punto in bianco il gatto ci ha tirato un graffio, mentre in realtà lui aveva precedentemente espresso la sua necessità di interrompere la relazione e noi non siamo stati in grado di interpretare”.
Ma i fraintendimenti non riguardano solo gli attacchi: quando si è trattato di dare un punteggio (positività o negatività) al comportamento di sollecitazione, è stato giudicato solo moderatamente negativo, quindi potenzialmente differibile. Ma un gatto che vive una condizione di bisogno potrebbe invece sentirsi in notevole difficoltà, per esempio quando ha la ciotola dell’acqua vuota, e questo fa capire come sarebbe importante che gli umani di riferimento fossero allenati a comprendere messaggi di questo tipo. Normando spiega che i gatti sono più imperscrutabili rispetto ai cani, e che non è detto che apprezzino le manifestazioni che piacciono a noi, come per esempio gli abbracci. “Per sensibilizzare i proprietari di gatti, ma anche di cani – conclude – e per fargli comprendere che il sistema di comunicazione degli animali è diverso dal nostro, secondo me bisognerebbe favorire la comunicazione e io penso che nella società in cui viviamo sarebbe utile farlo anche nelle scuole, organizzando degli incontri con gli esperti che non siano estemporanei, ma facciano parte di un percorso strutturato su vari argomenti, tra cui anche interpretare gli animali e rispettarli”. Ringrazierebbero non solo i gatti, ma anche tutti gli animali selvatici al centro degli episodi di cronaca recenti.