Il dato che arriva dall’ultimo Rapporto Globale sulle Crisi Alimentari della FAO ci dice che quasi 282 milioni di persone nel 2023 hanno sofferto la fame ed evidenzia un aumento mondiale di 24 milioni rispetto all'anno precedente. Un incremento che ha due cause principali: la prima più tecnica e cioè che è aumentata la copertura stessa del report, la seconda invece più sociale e riguarda proprio il peggioramento della sicurezza alimentare. Quest’ultimo fattore nel 2024 è stato chiaro e lampante in due zone del mondo: la Striscia di Gaza e il Sudan. Il paese africano sta vivendo la più grande crisi di sfollamento interno al mondo mentre il report FAO dice che, alla fine del 2023, quasi l'80% della popolazione della Striscia di Gaza era sfollata internamente. Un dato quest’ultimo che purtroppo non può che essere peggiorato nei primi cinque mesi del 2024. A fine dello scorso anno erano circa 600mila persone in Palestina ad essere entrate in quella che tecnicamente si chiama Fase 5, cioè l’ultimo stato, più grave, che classifica la gravità della carestia. Significa che era previsto che più di un quarto della popolazione della Striscia di Gaza fosse in questa fase da dicembre 2023 a marzo 2024, con il rischio di carestia che aumenta ogni giorno in cui persiste il conflitto, considerando anche le gravi limitazioni israeliane agli accessi umanitari. Una proiezione che si legge nel report FAO poi dice che da marzo a luglio 2024, oltre la metà della popolazione della Striscia di Gaza, cioè 1,1 milioni di persone, potrebbe essere in “Catastrofe (Fase 5 IPC)”.
Oltre alla Palestina, anche il Sudan sta vivendo una situazione umanitaria grave. Le proiezioni dicono che circa 79.000 persone potrebbero entrare nella fase più critica entro luglio 2024, portando il totale delle persone proiettate in questa fase a quasi 1,3 milioni.
Il Paese da anni sta vivendo un pesante conflitto tra le Forze Armate Sudanese (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) e dall'aprile 2023 ha avuto conseguenze devastanti in tutto il Sudan e nei paesi limitrofi della Repubblica Centrafricana, Ciad, Etiopia e Sud Sudan.
Milioni di persone tra i rifugiati e le comunità ospitanti, soprattutto donne e bambini, stanno vivendo gravi restrizioni di accesso ai beni e ai servizi di base, come cibo, acqua e luoghi in cui ripararsi, con impatti profondi e prolungati sulla loro sicurezza alimentare.
Questo ha portato il Sudan a vivere la più grande crisi alimentare dell'Africa Orientale. Solo nel periodo giugno-settembre dello scorso anno, circa 20,3 milioni di persone hanno sperimentato livelli elevati di insicurezza alimentare acuta. Un dato che è pari al 42 percento della popolazione totale sudanese. Una situazione che si estende poi anche ai Paesi limitrofi. Come riportato da Save the Children nel marzo scorso, sono circa 1.000 le persone che ogni giorno fuggono dal Sudan per entrare nel Sud Sudan. Solamente durante l’aprile scorso le persone che hanno attraversato il confine sono state più di 600.000 e la maggior parte di queste arriva senza nulla, avendo perso la casa e ogni mezzo di sussistenza.
“La maggior parte è arrivata, a piedi o su carri trainati da asini, al valico di frontiera di Joda, nello Stato dell'Alto Nilo - si legge in un comunicato dell’ONG - , dove fino a 200 persone alla volta vengono stipate in camion con solo posti in piedi. Le destinazioni sono due centri di transito sovraffollati nella vicina Renk, un viaggio di due ore su strade sterrate con temperature che raggiungono i 45 gradi mentre il Sud Sudan combatte la peggiore ondata di caldo degli ultimi quattro anni.
Di solito trascorrono circa due settimane nei centri – che ospitano oltre 15.000 persone, anche se sono stati costruiti per non più di 3.000 – dove cibo e acqua scarseggiano, l’assistenza sanitaria è limitata e molti dormono fuori in rifugi di fortuna. Da lì 500 persone alla volta vengono caricate su chiatte per un viaggio di due giorni lungo il Nilo per dirigersi verso altre destinazioni nel Sud Sudan o caricate su camion per un viaggio di 12 ore fino al campo profughi di Maban”.
Le cause dell’attuale situazione le abbiamo già comprese. In primis infatti i conflitti armati sono i principali fattori che hanno colpito 20 diversi Paesi, con quasi 135 milioni di persone in insicurezza alimentare acuta. Come abbiamo visto il Sudan vive una delle situazioni più dure, con 8,6 milioni di persone in più che affrontano alti livelli di insicurezza alimentare acuta rispetto al 2022.
Gli eventi meteorologici estremi poi, sono stati un fattore di deterioramento delle condizioni alimentari in 18 Paesi. Hanno portato oltre 77 milioni di persone ad affrontare alti livelli di insicurezza alimentare acuta, rispetto ai 12 Paesi, e 57 milioni di persone, del 2022. È bene ricordare inoltre che il 2023 era stato l’anno più caldo di sempre (fino al momento della pubblicazione dello studio) e questo ha comportato shock climatici che hanno colpito le popolazioni, con inondazioni, tempeste, siccità, incendi boschivi e focolai di parassiti e malattie.
Ci sono infine gli andamenti strettamente economici, che hanno colpito 21 Paesi diversi ed hanno portato circa 75 milioni di persone ad affrontare alti livelli di insicurezza alimentare acuta. Un’insicurezza dovuta al fatto che questi Stati sono altamente dipendenti dall’import.
Il rapporto della FAO continua poi analizzando tutte le singole situazioni sia a livello globale che locale. Quella su cui vogliamo concentrarci è proprio in Europa e riguarda l’Ucraina.
L’invasione russa ha portato, oltre a morte e distruzione, anche ad un'alta inflazione che ha aggravato le instabilità macroeconomiche e peggiorato i già elevati livelli di insicurezza alimentare acuta e malnutrizione nei paesi/territori in crisi alimentare. ”Prima della guerra, l'agricoltura contribuiva all'11 percento del PIL dell'Ucraina - si legge nel rapporto -, rappresentava oltre il 40 percento delle esportazioni e impiegava il 15 percento della popolazione. Nel 2021, l'Ucraina era tra i primi dieci produttori ed esportatori mondiali di grano e semi oleosi, in particolare girasole”. Numeri che sono per forza di cose calati dopo l’aggressione russa che, tra le altre cose, ha creato anche enormi danni all'infrastruttura agricola e l’abbandono forzato dei terreni coltivabili.
“Le strutture di stoccaggio dei cereali, i sistemi di irrigazione, le aziende agricole e le macchine agricole sono state rubate, danneggiate o distrutte, aggravando i problemi legati alle catene di approvvigionamento e alla logistica delle esportazioni (compresa la mancanza di accesso al mare nei primi mesi della guerra e poi frequenti ritardi nell'elaborazione delle navi) e aumentando i costi di produzione. I terreni coltivabili sono stati contaminati dalle mine. L'attacco di giugno 2023 che ha distrutto la diga di Kakhovka ha avuto ripercussioni sull'agricoltura, la pesca, il commercio e l'industria, con conseguenze sull'economia della regione. I danni all'irrigazione a seguito della rottura della diga hanno causato perdite di raccolto per 377 milioni di dollari”.
Insomma l'effetto della guerra sul settore agricolo dell'Ucraina non è indifferente e potrebbe influenzare drasticamente le prospettive di produzione agricola dell'Ucraina per gli anni a venire. È questa la preoccupazione principale della FAO, che mette in luce come gli agricoltori si stiano adattando al contesto bellico modificando le colture che vengono prodotte. Nelle oblasts occupate infatti, hanno seminato principalmente colture invernali (grano), e quelli nelle aree controllate dal governo si sono orientati verso semi di girasole e colza che hanno costi di produzione inferiori rispetto al grano o ad altri cereali.
Oltre a ciò bisogna considerare sempre che, sia l'Ucraina che i mercati globali, sono stati costretti ad adattarsi alla limitata capacità di esportazione dell'Ucraina anche via mare. In un mondo sempre più instabile quindi, è inevitabile che crescano le persone in crisi alimentare. Molto si può fare per evitare ciò ma la geopolitica attuale è in continua evoluzione ed in continuo fermento con nuovi fronti aperti ed una grande instabilità.