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«Il PIL è la più importante misura statistica della storia umana». Un misura che per anni è stato considerata se non l’unica, la più importante tra gli indicatori della salute di uno Stato. Negli ultimi tempi però la fallacità di questa misura sta emergendo sempre di più. Valutare la qualità della vita attraverso un indicatore prettamente economico che quantifica il Prodotto Interno Lordo di un Paese significa avere una visione per forza di cose ristretta. Anche per ovviare a questa problematicità, nel 2013 in Italia è nato il BES, cioè l’indice di benessere equo e sostenibile. La vera nascita sarebbe nel 2010, ma la prima pubblicazione da parte dell’Istat è arrivata solamente tre anni dopo.
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Nei giorni scorsi è uscita l’ottava edizione del Bes, nella quale sono stati introdotti 33 nuovi indicatori, che sono andati ad integrare otto dei dodici domini del Bes, per un insieme complessivo di 152 indicatori. Ragionare per numeri in questo caso può far scendere l’attenzione quindi proseguiamo per piccoli passi. I 12 domini presi in considerazione sono: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi.
12 domini che non servono solamente a fini statistici. Dal 2016 infatti, il Bes è entrato a far parte del processo di programmazione economica. Significa che un set ridotto di questi indicatori è inserito come allegato del Documento di economia e finanza, al fine di analizzare l’andamento recente e una valutare l’impatto delle politiche proposte.
“Questo Rapporto presenta un quadro complesso ricco e al tempo stesso contraddittorio - ha scritto Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat - . Mostra un Paese in grandi difficoltà, che tuttavia mantiene in vita riserve di speranza. L’impegno delle istituzioni e le risorse straordinarie rese disponibili dal programma #NextGenerationEU rappresentano una occasione senza precedenti per intervenire in modo sostanziale, e non puramente emergenziale, per la guarigione e la ripresa”.
In termini concreti però, vediamo come la pandemia ha mutato anche l’andamento del Bes in tutti i suoi 12 domini.
Salute
Il primo dato è forse quello più eclatante. In termini di salute in un solo anno sono stati cancellati i progressi realizzati negli ultimi dieci. Nel decennio appena finito infatti la speranza di vita alla nascita ha mostrato miglioramenti progressivi, accompagnati da dati positivi per la speranza di vita senza limitazioni a 65 anni, sul fronte della mortalità per tumore, della mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso degli anziani, della mortalità infantile e della sedentarietà.
Un miglioramento che è stato più favorevole agli uomini, che hanno così recuperato, anche se parzialmente, lo svantaggio rispetto alle donne, che in dieci anni hanno guadagnato un solo anno nell’aspettativa di vita alla nascita, contro i due in più acquisiti dagli uomini.
A livello territoriale, si osserva una certa eterogeneità: ad esempio, nel Lazio sono quasi tre gli anni in più conquistati dagli uomini e circa due dalle donne mentre all’estremo opposto si collocano Basilicata e Calabria, dove i progressi si misurano in poco più di un anno per gli uomini e solo sei mesi per le donne.
In generale nel Nord Italia la speranza di vita passa da 82,1 anni nel 2010 a 83,6 nel 2019, per scendere nuovamente a 82 anni nel 2020. Nel Centro passa da 81,9 nel 2010 a 83,1 anni nel 2020 e nel Mezzogiorno da 81,1 a 82,2 anni, con perdite meno consistenti nell’ultimo anno (rispettivamente -0,5 e -0,3 anni). “È un arretramento - riporta una nota del Bes - non ancora concluso, e che richiederà tempo per essere pienamente recuperato”.
Un quadro quindi, quello dell’aspettativa di vita che è stato duramente colpito dal Covid-19. Di fatto la pandemia ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita maturati nel decennio.
Sempre di salute poi, si parla anche quando si cerca di analizzare la disponibilità delle strutture sanitarie. Il Rapporto Bes mette in evidenza come tra il 2010 e il 2018, l’offerta ospedaliera sia andata modificandosi, con una riduzione delle strutture e dei posti letto. In particolare, il numero di questi ultimi è diminuito in media dell’1,8% l’anno, fino ad arrivare, nel 2018, a una dotazione di 3,49 posti letto – ordinari e in day hospital – ogni 1.000 abitanti. Un dato che probabilmente nel 2020 muterà, ma i motivi sono facilmente riscontrabili.
Un altro dato mutato, anche se di poco è l’indice di salute mentale. Nel 2020 il valore di disagio psicologico, che viene calcolato dalla sintesi dei punteggi totalizzati da individui di oltre 14 anni in cinque quesiti riguardanti quattro dimensioni della salute mentale come ansia, depressione, perdita di controllo comportamentale o emozionale e benessere psicologico, si è attestato a 68,8. Rispetto al 2019 è sì un dato lievemente più alto, ma se analizzato nel dettaglio fa emergere come ci siano tendenze differenti in sottogruppi di popolazione. Peggiora infatti la situazione delle persone di 75 anni e più di entrambi i generi e delle persone sole nella fascia di età 55-64, soprattutto al Nord. L’indice di salute mentale peggiora anche tra le giovani donne di 20-24 anni e in alcune regioni come Lombardia, Piemonte e Campania che, insieme al Molise, presentano i valori più bassi.
Quando si parla di salute non può non essere preso in considerazione il tasso di mortalità. Sappiamo che il 2020 è stato un anno tragico, con un eccesso di mortalità anche piuttosto elevato in alcune zone e fasce d‘età. Il dato standardizzato per quanto riguarda il 2020 non è inserito nel Rapporto Bes, ma l’impatto della pandemia purtroppo è ben noto.
Un dato collegato alla pandemia ed interessante che emerge dal Rapporto Bes è invece quello riferito alle comorbidità. Nel 2020 infatti il 48,8% della popolazione di 75 anni e più è multicronica, cioè soffre di tre o più patologie croniche, o ha gravi limitazioni nel compiere le attività che le persone abitualmente svolgono. Tale quota è più elevata tra chi vive nel Mezzogiorno (56,9% rispetto a 44,6% nel Nord e a 47% nel Centro), tra le donne (55% contro 39,7% degli uomini) e raggiunge il 60,7% tra le persone di 85 anni e più (rispetto a 39,3% delle persone di 75-79 anni). Un dato che sappiamo essere molto importante anche alla luce dell’eccesso di morti con Covid-19.
Per concludere il focus sulla salute è bene tenere a mente anche quei parametri utili alla prevenzione di eventuali patologie. Ad esempio, i fumatori nel 2020 sono il 18,9% della popolazione di 14 anni e più, cioè un quota stabile rispetto all’anno precedente. Ciò che è aumentato invece è il consumo di alcol a rischio, che ha riguardato il 16,8% della popolazione della stessa fascia di età. Oltre al consumo di alcol sono aumentate anche le persone con eccesso di peso. In tutta Italia sono il 45,5% delle persone di 18 anni e più, nonostante sia calata la percentuale di persone over 14 anni sedentarie. nel 2020 è stata del 33,8%.
Istruzione
Il tema della povertà educativa e dell’abbandono scolastico è cruciale anche e soprattutto in un momento ed in un anno in cui proprio le generazioni più giovani hanno di fatto vista bloccata la loro vita sociale ed impoverita, tra didattica a distanza e sporadici ritorni a scuola, la loro istruzione. Tutto questo consapevoli che anche il divario con l’Europa sull’istruzione sta continuando ad ampliarsi. Nel secondo trimestre del 2020 infatti, la quota di persone che in Italia tra i 25 ed i 64 anni che ha almeno il diploma di scuola superiore è il 62,6%, ben 16 punti percentuali sotto la media europea.
Tra i giovani di 30-34 anni poi, il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27. Dati a cui bisogna aggiungere l’analisi sulla fascia d’età immediatamente precedente. Tra i giovani under 30 (con più di 15 anni), nel secondo trimestre 2020 il 23,9% è un NEET, cioè non studia e non lavora. Questa percentuale nell’ultimo anno è tornata a crescere dopo alcuni anni di diminuzioni (21,2% nel secondo trimestre 2019). Inevitabilmente su questo dato ha inciso, specie nelle regioni del Centro-nord, il brusco stop dovuto alla pandemia. Anche in questo caso però, in Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa, accrescendo ulteriormente la distanza (+6 punti percentuali nel secondo trimestre del 2010, +10 punti nel 2020).
La mancanza di stimoli non dev’essere vista solamente dal punto di vista scolastico. A mancare, ai ragazzi, sono stati anche stimoli esterni. Il lockdown dei mesi di marzo e aprile 2020 ha ridotto la possibilità per i ragazzi di partecipare ad attività di apprendimento diverse dalla formazione scolastica e universitaria, con una partecipazione media che è scesa al 7,2% degli individui. Il calo è particolarmente evidente al Nord (dal 10,5% del secondo trimestre 2019 al 7,9% dello stesso periodo nel 2020) e al Centro (dal 9,6% all’8,2%). L’Italia in questo caso sembra avere un destino comune con altri Paesi europei. In Danimarca, ad esempio, si è passati dal 25,8% nel secondo trimestre 2019 al 14,6% nel secondo trimestre 2020, in Francia dal 20,7% al 7,8%, in Svezia dal 35% al 26,5% (ma conosciamo la storia di come la Svezia ha affrontato la prima parte della pandemia), in Estonia dal 21,7% al 12,9%, in Slovenia dal 12,4% al 5,6% ed in Austria dal 16% al 9,5%.
Di quasi 5 punti percentuali infine ( dal 35,1 del 2019 al 30,8 del 2020) è scesa anche la quota di persone che si sono dedicate ad almeno due attività culturali fuori casa. Un dato inevitabile visto che stiamo parlando di uno dei settori più colpiti dalle restrizioni e che meritano un’attenzione particolare.
Cruciale, come avevamo già avuto modo di analizzare, è anche il tema dell’abbandono scolastico.
Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). Nel secondo trimestre 2020, in Italia, i giovani che sono usciti prematuramente dal sistema di istruzione e formazione, cioè dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore), sono stati il 13,5% tra 18 e 24 anni. Questo valore è si in calo rispetto al 2010, ma di fatto è rimasto stabile dal 217 in poi.
In tutti questi dati sconfortanti c’è un piccolo raggio di sole. Stiamo parlando della lettura dei libri che, diversamente dalle attività culturali fuori casa, ha visto una netta ripresa (39,2%) rispetto al trend decrescente registrato fino al 2019 (dal 44,4% del 2010 al 38% nel 2019).
L’editoria infatti, come già analizzato da Valentina Berengo sulle pagine de Il Bo Live, è stato uno dei settori che nel 2020 ha visto incrementare, seppur di pochi punti percentuali, la sua portata. Il 2020 infatti, secondo il rapporto annuale dell’AIE (Associazione Italiana Editori), si è chiuso con un 2,4% di crescita. In termini concreti significa che è aumentato il numero di persone che hanno letto almeno 4 libri nell’ultimo anno. Cresce il mercato dell’editoria ma cala la fruizione delle biblioteche. Un dato che è facilmente giustificabile con le difficoltà dovute alla pandemia, che ha fatto si che nel 2020, il 12,8% della popolazione di 3 anni e più ha dichiarato di essere stata in biblioteca almeno una volta nell’ultimo anno. Una percentuale più bassa di 2,5 punti rispetto al 2019.
Lavoro
Il lavoro è un altro tema cruciale. La pandemia ha colpito duramente l’intero mercato del lavoro affossando anche intere categorie merceologiche che di fatto, da un anno a questa parte, si sono ritrovate in forte difficoltà. Dal Rapporto Bes emerge che in dieci anni i divari con l’Europa per i tassi di occupazione si sono ulteriormente allargati e sono particolarmente evidenti per le donne.
Nel 2010, il tasso di occupazione delle donne di 20-64 anni in Italia era di 11,5 punti più basso rispetto alla media europea, e nel 2020 il distacco arriva a circa 14 punti in meno. A questo bisogna aggiungere l’alta percentuale di lavoratori che si percepiscono come fortemente vulnerabili. Un dato che è aumentato di 400mila unità rispetto al 2019 (7,8%). In tutto, ad oggi, nonostante il blocco dei licenziamenti, sono quasi 1 milione e 800mila gli occupati che temono fortemente di perdere il lavoro senza avere la possibilità di sostituirlo. Questo è ciò che emerge anche dall’ultimo rapporto Censis in cui si nota come la divisione fondamentale ora sia lavorativa, tra garantiti e non garantiti. I garantiti assoluti sono i 3,2 milioni di dipendenti pubblici ed i 16 milioni di pensionati, mentre il resto dei cittadini sta vivendo una situazione di incertezza.
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Benessere economico
Sappiamo che il nostro Paese è da sempre caratterizzato da un’elevata propensione al risparmio. Questa spesso è stata una “salvezza” per il nostro sistema, ma, secondo il Rapporto Bes 2020, la crisi economica che ha contraddistinto una lunga fase dello scorso decennio ha mostrato i limiti di questo modello, accentuando le disuguaglianze e le profonde differenze territoriali. Di fatto, il Rapporto Bes conferma ciò che avevamo già visto nel Rapporto Caritas 2020.
È in corso una “normalizzazione” della povertà in cui la stima preliminare per il 2020 identifica oltre 5,6 milioni di individui in condizione di povertà assoluta in Italia, con un’incidenza media pari al 9,4%. Un aumento significativo rispetto al 7,7% del 2019 che attesta questi valori tra i più alto dal 2005. La povertà cresce soprattutto al Nord, area particolarmente colpita dalla pandemia, dove la percentuale di poveri assoluti passa dal 6,8% al 9,4% degli individui; più contenuta, invece, la crescita al Centro (dal 5,6% al 6,7% degli individui) e nel Mezzogiorno (dal 10,1% all'11,1%). Colpisce, inoltre, prevalentemente le famiglie con bambini e ragazzi: l’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale di oltre due punti percentuali (da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005) per un totale di 1 milione e 346mila bambini e ragazzi poveri, 209mila in più rispetto all’anno precedente.
Politica e istituzioni
L’anno della pandemia, nonostante le restrizioni e le problematiche conseguenti, sembra aver comunque rafforzato la fiducia degli italiani nei confronti delle istituzioni. Il miglioramento era in atto dal 2018 ma lo scorso anno il 45,8% dei cittadini dai 14 anni in su ha accordato la sufficienza al Sistema giudiziario (35,6% nel 2017), il 39,6% al Parlamento nazionale (22,2% nel 2017) e il 20,5% ai Partiti politici (10,9% nel 2017). Sentimenti di fiducia più elevati infine continuano a essere espressi nei confronti delle Forze dell’ordine (79,4% di giudizi sufficienti) e dei Vigili del fuoco (92,2% di giudizi sufficienti).
Nonostante la burocrazia sia uno dei problemi endemici italiani, il 2020 ha permesso di accelerare alcune digitalizzazioni necessarie, dallo smartworking al processo giudiziario telematico. Nel terzo trimestre del 2020 infatti, il Ministero della Giustizia stima che i procedimenti civili pendenti in Area SICID siano in crescita dell’1,3%, con l’inevitabile aumento del volume dell’arretrato civile “patologico” (procedimenti ultra triennali), che invece negli ultimi dieci anni aveva marcato una diminuzione costante. Un piccolo passo in un contesto che necessiterebbe però delle grandi falcate.
Sempre in tema di giustizia bisogna anche considerare la situazione carceraria italiana. A fine dicembre 2019, l’indice di affollamento nelle carceri italiane aveva raggiunto livelli molto alti, con 119,9 detenuti ogni 100 posti disponibili. Nel 2020, anche gli istituti di pena hanno inevitabilmente subito l’impatto della pandemia, e le risposte, dice il Rapporto, "non sono state prive di controversie". Il Decreto “Cura Italia” del marzo 2020 ha disposto misure per contenere il contagio e ridurre l’affollamento, consentendo a una quota consistente di detenuti di scontare l’ultima parte della pena in detenzione domiciliare. A fine dicembre 2020 l’indice di affollamento è crollato a 105,5 posti occupati ogni 100. La situazione continua a essere più grave, nel complesso, al Nord (114,4 detenuti ogni 100 posti) rispetto al Centro (106,2) e al Mezzogiorno (98,2).
Sicurezza
In tema di sicurezza è ormai assodato che il trend dei reati è in forte riduzione. In particolare quelli predatori nel 2020 sono calati, ma questo può essere dovuto anche alle limitazioni agli spostamenti imposte dall’emergenza sanitaria. Nel primo semestre 2020 è diminuito sia il numero dei furti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-51,9% dei furti con destrezza e -39,3% di quelli in abitazione) che quello delle rapine (-29,3%). Al contrario, i delitti informatici hanno registrato un aumento (+24%) così come, in misura più contenuta, le truffe e le frodi informatiche (+1,9%).
Quando si parla di sicurezza però è d’obbligo fare un focus sui femminicidi.
Durante i primi sei mesi del 2020 infatti gli omicidi hanno registrato un calo del 18,6% rispetto allo stesso periodo del 2019 (131 contro 161). Tuttavia questa diminuzione ha riguardato solo le vittime di sesso maschile, in calo del 31,4%, mentre le vittime di sesso femminile hanno registrato un lieve aumento (+5,4%).
Come avevamo già avuto modo di analizzare, il 2020 è stato un annus horriblis anche per quanto riguarda i femminicidi, il peggiore in termini di percentuali dal 2000. Nel periodo gennaio-ottobre 2020 sono stati 91 i femminicidi, 81 dei quali sono stati commessi nell’ambito del contesto familiare, cioè l’89% del totale, un dato increscita rispetto al 2019, quando era dell’88,3%. Se ancora non fosse chiaro il motivo per cui spesso ci si focalizza su questi dati, basta leggere la percentuale di uomini che nel 2019 sono stati uccisi da una persona conosciuta: 35,7% (e solamente il 5,4% da un partner o ex partner).
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Benessere soggettivo
Il 2020 è stato un anno che, per forza di cose, ha influito su molti parametri. Dal Rapporto Bes emerge che meno della metà della popolazione (44,5%) esprime un voto tra 8 e 10 sulla soddisfazione della propria vita. A questo poi bisogna aggiungere che le prospettive future sono state di fatto sospese a causa della situazione determinata dalla pandemia. Sono solo il 28,9% le persone che prevedono un miglioramento della propria situazione nei prossimi cinque anni, una percentuale in calo rispetto al 2019, quando era del 30,1%.
Contemporaneamente, dice il Rapporto, aumenta al Nord e al Centro, dopo anni di riduzione, la quota di quanti ritengono che la propria situazione peggiorerà nei prossimi cinque anni (13,3% al Nord, un punto percentuale in più rispetto al 2019, 14% al Centro, +1,5 punti percentuali).
Paesaggio e patrimonio culturale
Per quanto riguarda l’indice sul paesaggio e sul patrimonio culturale italiano, il Rapporto Bes è molto chiaro: “la spesa pubblica per cultura e paesaggio resta tra le più basse d’Europa in rapporto al Pil (0,4% nel 2018). In lieve aumento la spesa dei Comuni per la cultura (19,4 euro pro capite contro 18,8 dell’anno precedente) anche se cresce il divario Nord-Sud”.
Un dato che, se relazionato alla preoccupazione per il deterioramento del paesaggio (12,5%), e al costante calo della considerazione sociale per il valore del paesaggio e all’attenzione per la sua tutela, fa capire che per quanto riguarda il territorio italiano è necessaria una campagna di sensibilizzazione. Questo anche alla luce dell’allarme lanciato dall’Ispra che nel suo ultimo Rapporto su consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici ha messo in luce come ogni giorno in Italia vengano consumati 16 nuovi ettari di suolo.
Ambiente
Territorio ed ambiente non possono che essere due temi che scorrono paralleli. Mentre la consapevolezza del territorio abbiamo visto non essere al centro delle attenzioni degli italiani, la crisi climatica ci sta lentamente entrando. Secondo il Rapporto Bes tale preoccupazione cresce in modo costante, dal 58,7% del 2014 fino a oltre il 70% negli ultimi due anni. La sensibilizzazione su questo argomento è alta presso i cittadini di tutte le età, giovani compresi.
Preoccupazione che è stata accresciuta anche dagli eventi estremi che sono in aumento nel nostro Paese. L’intensità dei giorni di caldo negli ultimi dieci anni risulta sempre maggiore rispetto alla mediana del periodo di riferimento 1981-2010. A ciò poi si aggiunge l’aumento di periodi prolungati con scarsità di pioggia che in alcuni anni hanno causato una forte riduzione delle risorse idriche disponibili. Negli ultimi due anni poi, i giorni consecutivi senza pioggia sono risultati superiori alla mediana climatologica (1981-2010) per la gran parte delle regioni, soprattutto nel Nord e nel Centro Italia.
Un tema, quello dell’aumento delle temperature, che avevamo già precedentemente analizzato. Grazie ai dati del programma Copernicus, l’European Data Journalism Network ha elaborato una mappa che compara la temperatura media degli anni sessanta con quella attuale. Il risultato è che in molte zone d’Italia, la fatidica soglia dei +2 gradi è già stata superata.
Innovazione, ricerca e creatività
Tra Dad e smartworking gli italiani nel 2020 hanno dovuto far fronte anche alle problematiche tecnologiche. La diffusione dell’ICT tra le famiglie e gli individui si è accresciuta significativamente nel 2020, portando al 69,2% la quota di utenti regolari di Internet (era 43,9% nel 2010). Ancora un terzo delle famiglie italiane però non dispone di computer e accesso a Internet da casa.
Le differenze che emergono dal Rapporto Bes sono molto accentuate guardando il titolo di studio: dal 7,2% delle famiglie in cui almeno un componente è laureato si passa al 68,3% di quelle in cui in cui il titolo più elevato è la licenza media. Non dispongono di connessione a Internet e pc il 12,6% delle famiglie in cui è presente almeno un minore e il 70% delle famiglie composte da soli anziani. Aumenta lo svantaggio delle famiglie del Mezzogiorno: nel 2020 il gap rispetto alle famiglie del Nord è di 10 punti percentuali, 3 in più rispetto al 2010.
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Qualità dei servizi
L’ultimo indice del Rapporto Bes dell’Istat è quello che analizza la qualità dei servizi in Italia. Sappiamo che i servizi sanitari, intesi come numero di posti letto, hanno visto una riduzione dal 2010 al 2018 da 3,51 per 10mila abitanti a 3,04. La pandemia ha rivoluzionato anche questi dati ma è importante conoscere lo stato pre-pandemico per valutare qual era la base di partenza.
Nel 2019 erano circa 241mila i medici (tra specialisti e di base) e i pediatri di libera scelta che svolgevano la loro attività nel sistema sanitario italiano pubblico e privato. Con quattro medici ogni 1.000 residenti, il nostro Paese si collocava ai primi posti in Europa. I medici però sono mediamente più “anziani” rispetto ai colleghi di altri Paesi europei (un medico su due ha più di 55 anni). La situazione del personale infermieristico invece non era altrettanto favorevole, infatti l’Italia era agli ultimi posti in Europa per dotazione di infermieri, circa 6 ogni 1.000 residenti.
La necessità di personale medico e sanitario in generale è scoppiata prepotentemente già a marzo 2020. Tutto il comparto da più di un anno è sotto stress, e la campagna vaccinale, da questo punto di vista, non farà che aggiungere ulteriore mole di lavoro. Ciò che nel 2020 è calato invece è il numero delle “normali” visite mediche o di screening. Un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato, negli ultimi 12 mesi, a prestazioni sanitarie per difficoltà di accesso, pur avendone bisogno. Il forte aumento (6,3% nel 2019) è certamente straordinario: oltre il 50% di chi rinuncia riferisce infatti motivazioni legate alla pandemia da Covid-19.
Il Rapporto Bes quindi ha messo in luce una situazione indubbiamente complessa. Le evidenze, analizzando i singoli indici, erano ben note ma la situazione di straordinarietà dovuta alla pandemia in diversi casi può essere ritenuta una concausa. Il Paese però, come l’intero Mondo, prima o poi tornerà ad una sorta di normalità ed uscirà dall’emergenza pandemica. È proprio in quel momento che la ripartenza dev’essere realizzata con una strategia ed una pianificazione utile a ridurre le problematicità che anche questo Rapporto dell’Istat ha aiutato a conoscere.