SOCIETÀ

Recovery fund: l'ambizioso piano per salvare l'Europa

La proposta che arriva da Bruxelles è allettante e innovativa: un fondo da 750 miliardi di euro per dare ossigeno alle economie dei paesi dell’Unione Europea, colpite nel profondo dall’emergenza Covid-19. A porre le basi per questo risultato erano stati nei giorni scorsi Merkel e Macron, i due pesi massimi dell’Unione, che hanno avuto la capacità politica di costruire un accordo di cerniera tra le due anime dell’Unione: quella più bisognosa e fragile (economicamente) degli stati del Sud e quella più intransigente e meno incline all’assistenzialismo del Nord (i paesi cosiddetti “frugali”, con la Germania, appunto, a fare da capofila).

Il nodo principale da sciogliere era l’idea stessa di condivisione dei costi della crisi: chi ha pagato il prezzo più altro dovrà essere aiutato da chi ha sofferto meno? La “cerniera” era stata chiusa con la proposta di creazione di un fondo europeo da 500 miliardi di euro, finanziato da emissioni di debito comune, vale a dire bond europei garantiti dal bilancio stesso dell’Ue: il principio per cui Italia, Spagna, Portogallo e la stessa Francia si erano battute fin dall’inizio.

La Germania, dopo un’iniziale resistenza, ha accettato. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (anche lei tedesca), ha fatto di più: ha aggiunto ulteriori 250 miliardi di euro, che gli Stati però dovranno restituire. Sussidi i primi, prestiti i secondi. Un piano ambizioso e mai tentato prima in Europa. E dal momento che i contributi al bilancio di ciascuno stato sono versati in proporzione al Pil (a differenza della distribuzione del Recovery fund, che sarà calcolato sulla base delle necessità economiche) sarà possibile che stati in difficoltà come l’Italia ricevano più di quanto dovranno versare. Proprio all’Italia è stimato che andrà la porzione più consistente del pacchetto: 172 miliardi di euro (circa 82 in sussidi, 90 da restituire).

All’Italia è stimato che andrà la porzione più consistente del pacchetto: 172 miliardi di euro

La partita è appena cominciata

Attenzione però: il piano von der Leyen (chiamato “Next Generation EU” proprio perché dovrebbe rappresentare un cambio di passo nella ragion d’essere dell’Unione e nella sua essenza politica) è soltanto un buon inizio di partita, non il risultato finale. Per raggiungerlo ci vorranno negoziati serrati, il che vuol dire mediazioni, aggiustamenti, asticelle che si abbassano. L’accordo alla fine arriverà e gli scettici non dovrebbero riuscire a incrinare la cerniera franco-tedesca, ma di certo potranno limare quantità, colmare differenze, ridisegnare tempi e modi di erogazione e di restituzione del denaro, imporre controlli e verifiche. 

Un lavoro che sarà lungo e tortuoso, nonostante i molto appelli a fare prima possibile. Il prossimo appuntamento è fissato per il 18-19 giugno, quando il Consiglio Europeo (composto dai leader degli stati membri) discuterà del Recovery fund. L’Italia e altri sperano di arrivare all’appuntamento con in tasca già un accordo di compromesso, ma al momento sembra improbabile: le posizioni di Olanda, Svezia, Danimarca e Austria sono ancora molto distanti, nonostante la “virata” tedesca. Anche l’Ungheria alza le barricate, con Viktor Orban che definisce il Recovery fund «assurdo e perverso». Mentre in Olanda il settimanale Elsevier weekblandin un editoriale che ha scatenato polemiche, sostiene che «i fondi del Recovery Fund serviranno a pagare le vacanze agli italiani e ai Paesi del Sud, mentre quelli del Nord Europa lavoreranno per loro». Distanze al momento incolmabili. Già si parla di un ulteriore Consiglio Europeo per luglio. Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo, ha detto di puntare comunque a un accordo «prima della pausa estiva». Mentre Angela Merkel ha ammesso che «le trattative saranno difficili». Il presidente francese Macron l’ha definito «un giorno cruciale per l’Europa: dovremo tutti muoverci rapidamente e trovare un accordo ambizioso». Ma non sarà cosa rapida.

 

Un piano per la “Next Generation”

Resta il passo politico, indiscutibile sulla carta. «Il piano Next Generation EU trasforma l'immensa sfida che stiamo affrontando in un'opportunità», ha dichiarato la presidente von der Leyen. «Non solo sostenendo il rilancio economico, ma anche investendo nel nostro futuro: il Green Deal europeo e la digitalizzazione favoriranno l'occupazione e la crescita, il resilienza delle nostre società e salute del nostro ambiente. Questo è il momento dell'Europa». Rilanciare l’economia non per tornare alla situazione pre-crisi, ma per “rimbalzare in avanti”. Il programma si basa su tre pilastri: sostegno agli Stati membri con investimenti e riforme, incentivo agli investimenti privati, affrontare le lezioni della crisi. All’interno di quest’ultimo capitolo ci sono novità interessanti: come il programma sanitario “EU4Health”, 9,4 miliardi di euro da spendere per rafforzare la sicurezza sanitaria e prepararsi ad affrontare per future crisi. Oltre ai 94,4 miliardi per finanziare la ricerca in campo medico e la transizione verso un’economia digitale e verde.

La “grande scommessa” di von der Leyen

L’edizione europea del portale Politico la definisce “big gamble”, una grande scommessa. «Proponendo un Recovery fund da 750 miliardi di euro, utilizzando denaro preso in prestito per essere rimborsato in 30 anni, la presidente della Commissione europea scommette che le capitali nazionali metteranno da parte eventuali dubbi e divisioni. Gli scettici verso il piano - in particolare i leader di Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia - sostengono che von der Leyen è la benvenuta a scommettere sulla sua presidenza come vuole, ma senza usare i soldi dei loro contribuenti. Accese trattative ora si prospettano». Un diplomatico olandese ha commentato: «Per l’approvazione di questo piano serve l’unanimità degli stati membri. Le posizioni sono distanti, quindi i negoziati richiederanno tempo. Ma è difficile immaginare che questa proposta sarà lo stato finale di quei negoziati».

I titoli a lunga scadenza (30 anni) saranno comunque rimborsati non dai singoli Stati membri, ma direttamente dalla Commissione Europea. Per rendere appetibili sui mercati questi bond europei, verrà utilizzato come garanzia il bilancio 2021-2027 dell’Unione (motivo per cui è probabile che l’effettiva liquidità possa arrivare all’inizio del prossimo anno). Ma anche il bilancio della Commissione Europea, pur solido, come spiega un’analisi dell’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazionale), è ritenuto “non congruo” rispetto a un’emissione, e al pagamento, di titoli di questa portata. «Si prevede perciò che per il periodo 2021-2027 il bilancio possa aumentare significativamente attraverso nuove risorse proprie dell’Unione che dovrebbero includere la “plastic tax”, la tassazione dei giganti del web e la riforma (ed estensione ad altri settori) dello European Trading Scheme (il meccanismo di allocazione, a pagamento, dei permessi di inquinamento per le grandi aziende)». L’alternativa sarebbe aumentare il contributo dei singoli stati: ipotesi non percorribile.

La mossa delle nuove tassazioni (coraggiosa) porterà tuttavia alla gestione di non pochi problemi di carattere commerciale ai singoli stati. «Quando l’anno scorso Emmanuel Macron ha annunciato la digital tax in Francia si è ritrovato a dover gestire le minacce di Donald Trump di dazi americani sull’industria francese dell’auto», ricorda l’Huffington Post. E di certo anche i giganti del web storceranno il naso di fronte all’ipotesi di metter mano al portafogli. Per non parlare della carbon-tax e dei paesi che più di altri ancora dipendono dal carbone (come la Polonia o la stessa Germania). Insomma, trovare un equilibrio non sarà semplice.

Il cambio di passo di Angela Merkel

Ora comincia la fase delle trattative, dei distinguo. Ciascun capo di governo tenterà di tirare il più possibile la coperta dalla sua parte (ed esibire così pubblicamente la sua “vittoria”: mai tralasciare una campagna elettorale), ma senza arrivare a uno strappo che sarebbe dolorosissimo per tutti. La “giravolta” di Angela Merkel sia di esempio: mandare a picco economie comunque trainanti (come l’Italia, come la Francia) non conviene a nessuno. Basti pensare che la Germania ha dato il via libera all’emissione comune di bond prima ancora di stabilire le regole, prima di chiarire a chi verranno dati quei soldi e come saranno spesi. E’ un passaggio chiave che allontana il sogno di “disunione” dei sovranisti. Ancora l’Ispi legge in questa svolta tedesca non un segno di debolezza, ma di forza della Cancelliera, anche in previsione del semestre di presidenza tedesca del Consiglio Ue: «Non è un cambiamento da poco e non è escluso che la sentenza della Corte costituzionale tedesca (che indirettamente mette limiti a quanto può fare la Bce) non abbia contribuito alla giravolta della Merkel. Aver cambiato idea è un segnale di forza della Merkel, che riprende l’iniziativa in Europa e cerca di smarcarsi dagli altri paesi “frugali” del Nord, a partire da Austria e Paesi Bassi».

Mandare a picco economie comunque trainanti (come l’Italia, come la Francia) non conviene a nessuno

«Finalmente l’Europa cambia secolo», esulta su Huffington Post l’economista Alberto Quadrio Curzio, presidente emerito dell’Accademia dei Lincei, che indica Macron, Merkel e von der Leyen come “i tre veri innovatori”. «Si dice che l’Europa è sempre troppo lenta. Forse, ma se facciamo il confronto nella pandemia tra il solidarismo civile europeo e quello di altri grandi Paesi, democratici e non, credo che tutti possiamo ammirare la nostra eurodemocrazia che colpita dal Covid-19 non ha abbandonato i suoi cittadini al loro destino individuale, ma li ha considerati parte di due comunità: quella del loro paese e quella europea».

Una nuova idea di Europa

Ovviamente la materia è opinabile. I più critici diranno che in fondo 750 miliardi non sono granché vista la portata degli effetti della pandemia, che gli Stati Uniti ne hanno messi 3000 sul piatto così come nulla fosse. Diranno che ci vorranno mesi prima che questo denaro prenda forma concreta, che poi bisognerà vedere come spenderlo, la partita delle suddivisioni, delle rendicontazioni. Ma è altrettanto evidente che l’Europa sta tentando, magari con fatica, di diventare altro, di costruire altro, con l’obiettivo di crescere, più solida e credibile. Un’idea d’Europa (realmente coesa, unitaria, comunitaria) che gli egoismi di alcuni paesi, e di alcuni estremismi, hanno più volte rischiato di far naufragare. E’ la proposta di chi si ostina a credere che non si tratta soltanto di denaro, che la partita non si vince sul piano della quantità, ma della strategia, del cambio di passo, della “visione” dell’Unione Europea e del ruolo (economico, culturale) che dovrebbe recitare di qui a qualche anno. Lo stesso Quadrio Curzio, intervistato da Formiche.net, tocca infine un altro tema centrale e cruciale, quello del “dumping sociale”, l’insieme di pratiche che permettono lo sviluppo di una concorrenza sleale, riducendo illegalmente i costi operativi e legati alla manodopera, spesso in violazione dei diritti dei lavoratori. «Non dobbiamo dimenticare il grande problema della competitività. Perché oggi l’Europa sconta problemi di dumping sociale e ambientale rispetto a tanti Paesi extra-Ue. E questo sistema deve cessare».

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012