SOCIETÀ
La responsabilità della scienza (e di noi tutti) contro la crisi ambientale
La crisi ambientale connota il nostro tempo e incornicia le nostre esistenze, influendo – che noi lo vogliamo o meno – sulle nostre scelte private e sulla nostra vita pubblica. Uno degli elementi chiave del dibattito sulla crisi ambientale è l’individuazione delle responsabilità personali e collettive. Per ridurre quanto possibile l’eventualità che si realizzino i più cupi tra gli scenari sviluppati in questi anni, è necessario agire ad ogni livello: ci è richiesto un inusitato sforzo di cooperazione, dalla cui riuscita dipende certamente il benessere, e forse anche la stessa sopravvivenza, delle società umane.
È evidente che, nell’attuazione di questo impegno, gli scienziati abbiano un ruolo primario. In un non lontano passato, si credeva che la ricerca scientifica dovesse mantenersi separata dalle cose del mondo, così da poter preservare la propria libertà di ricerca e la propria capacità di descrivere la realtà in modo oggettivo. Oggi, quel paradigma si dimostra fallace, ed è chiaro che la scienza, in quanto attività umana, interagisce con il resto della società, influenzandola e facendosi influenzare. Questa commistione assume un significato particolare nel caso delle scienze che si occupano di studiare e monitorare gli aspetti climatici ed ecologici dell’attuale crisi ambientale: sembra evidente che una mera descrizione dei fatti non sia sufficiente, e che i ricercatori debbano “sporcarsi le mani”, interagendo con la società e assumendo un ruolo sociale rilevante.
Di questi temi abbiamo parlato con Serena Giacomin, meteorologa e climatologa, nonché presidente dell’Italian Climate Network, che sarà presente il prossimo 15 ottobre al CICAP Fest con un intervento dal titolo “Emergenza clima: tra scienza e responsabilità”.
Serena Giacomin, come ritiene che debba declinarsi l’impegno sociale e politico degli scienziati, di fronte all’emergenza climatica?
La scienza svolge da sempre un ruolo determinante tanto dal punto di vista sociale, quanto da quello economico. È importante, in primo luogo, che questa centralità venga riscoperta e valorizzata, riconoscendo nella ricerca scientifica uno strumento di grande valore per comprendere in che direzione orientare i nostri sforzi, e come migliorare la nostra società.
Il ruolo del singolo scienziato si può declinare in modi diversi. La comunicazione è una delle modalità possibili, ma non l’unica. Certo, è importante che tutti coloro che si dedicano alla ricerca abbiano una chiara consapevolezza dell’importanza di saper comunicare i risultati e le modalità del proprio lavoro. Anche qualora lo scienziato non volesse dedicarsi direttamente alla comunicazione, sarebbe importante che fosse sensibile alle necessità di quest’ultima, così da renderla più efficace.
Il mondo in cui viviamo è caratterizzato da confini sfumati, poco definiti: tra fatti e valori, tra scienza e politica, ad esempio, non vi è più una divisione netta. Come fare e comunicare la scienza di fronte a problemi caratterizzati da complessità e incertezza?
Prendere atto di questa indefinitezza è un primo passo. Bisogna, poi, iniziare a coltivare una “cultura dell’incertezza”: certo, comunicare l’incertezza e la complessità non è semplice, ma rinunciare a farlo non è un’opzione praticabile. Avremmo troppo da perdere.
D’altra parte, riconoscere il ruolo politico della scienza significa tornare a considerare i dati che essa mette a disposizione come uno strumento trasversalmente utile, non riducendolo a bandiera di una sola parte politica.
Per quanto riguarda il modo in cui questi dati vengono veicolati, invece, è in atto oggi una riflessione sulla narrazione da privilegiare: a fronteggiarsi sono una prospettiva emergenziale e disfattista da un lato, e un approccio fattuale ma positivo dall’altro. Per quale delle due modalità propende?
Credo che oggi sia fondamentale cambiare la narrazione sulla crisi climatica. Dobbiamo provare ad interpretare i dati della ricerca scientifica come uno strumento per l’agire. Questo significa andare al di là del sensazionalismo e superare anche la mera consapevolezza, che è necessaria ma non sufficiente.
Certo, non si può rinunciare a divulgare e spiegare i dati sempre più preoccupanti sul progredire della crisi ambientale. Tuttavia, è importante che, nel fornire queste informazioni, si riportino anche notizie positive, esempi virtuosi, possibilità d’azione. L’obiettivo di questo tipo di comunicazione è scongiurare l’inattivismo, una passività dettata dalla paura e dal senso di impotenza che potrebbe rivelarsi persino più dannosa del negazionismo climatico. Per combattere questo senso di impotenza è necessario proporre una narrazione propositiva, che ci spinga al cambiamento e mostri che un altro mondo è possibile.