Sessant’anni fa morì uno straordinario scrittore americano, Dashiell Hammett: alto e bello, curvo e tisico, povero marito e padre, poi spendaccione e talora insolvente debitore, investigatore privato davvero prima di cantarne le gesta, ambivalente infedele sfacciato puttaniere e fedele timido idealista, ambivalente sobrio gentile silenzioso o ubriaco villano aggressivo, soldato nelle due guerre, incarcerato per le sue idee sui diritti civili, un poco marxista e probabilmente comunista, autore di radi immarcescibili romanzi che hanno cambiato aspetti rilevanti della storia della letteratura (e del cinema), se non altro perché molti hanno iniziato a scrivere (o pensare) diversamente dopo averli letti. Se ne parla sempre meno in Europa, l’anniversario è passato quasi sotto silenzio, eppure le sue opere continuano a essere tradotte e pubblicate in tutto il mondo, rassegne cinematografiche e nuovi film vi fanno riferimento, il valore alto del suo contributo morale e intellettuale (più che i singoli testi) si è profondamente incistato in tanti movimenti culturali contemporanei. Incuriositevi, se potete.
Dashiell Samuel Dash Hammett era nato in una fattoria prossima alla east coast, in Maryland, contea di Saint Mary’s, il 27 maggio 1894, famiglia modesta e onesta, Hammett agricoltori, De Chiell (Dashiell) marinai, i gruppi d’origine si trovavano in America da oltre un secolo. Aveva una sorella maggiore e un fratello minore, tutti battezzati, si trasferirono presto a Baltimora dove studiò e crebbe leggendo molto (non smise mai). Lasciò 17enne il politecnico, iniziò a lavorare, a casa avevano bisogno di soldi; per un decennio conobbe la vita, da sveglio intelligente ragazzo, carino e rosso di capelli, e svolse vari lavori, da ultimo e più a lungo dipendente girovago dell’importante agenzia investigativa Pinkerton (ventuno dollari settimanali all’inizio). Ne derivarono varie ferite, anche se i precoci guai sanitari emersero da una malattia ereditaria, la tubercolosi polmonare, con relative frequenti emorragie, che lo costrinsero spesso a ricoverarsi, ormai prevalentemente sulla west coast.
Nel giugno 1918 si arruolò nel Corpo delle Ambulanze (Motor Ambulance Corps) dell’Esercito americano, partecipò così alla prima guerra mondiale e fu spesso malato, sergente; in ospedale a Tacoma conobbe la futura moglie, infermiera, più giovane di tre anni. Il magrissimo miope Hammett ottenne il congedo militare e una misera pensione da parziale invalido cronico nel maggio 1919, a soli 25 anni; aveva già troppo bevuto, fumato, scommesso e giocato, si sentiva rotto a ogni esperienza, forse già vecchio; comunque uscì convinto di poter vivere ancora solo per poco tempo. A luglio 1921 si sposò in chiesa, poco dopo aver saputo che Josephine Jose Annis Dolan era incinta, non la vedeva da mesi (lui sempre in vari altri sanatori), tentò di cambiare definitivamente l’esistenza residua.
La seconda vita di Hammett non è meno avventurosa della prima (pur accennate per sommi capi). In primo luogo fu un marito attento e un padre affettuoso, capendo via via di non essere proprio vocato per parte di quelli che sono pure ruoli materiali e obblighi reciproci. In secondo luogo, si appassionò alla vita culturale e politica, senza mai divenire un militante o un rivoluzionario; potremmo dire che maturò una scelta di campo: avere un onore personale accanto a fieri coerenti ostinati principi. Nel professionale lavoro investigativo aveva visto di tutto: la difesa violenta di ogni proprietà privata, corruzione e illegalità, autoritarismo e burocrazie, sfruttamenti e cattiverie, troppe armi e troppo sangue (anche per lui). A dicembre 1921 chiuse definitivamente con la Pinkerton, si trasferì a San Francisco con la famiglia e s’iscrisse a un corso di formazione. Divenne scrittore: pulp fiction. Nel successivo decennio lasciò un segno indelebile nella letteratura americana, e non solo.
Prima del 1922 Hammett aveva scritto soltanto alcune poesie. Non era credente. Ora doveva soprattutto sbarcare il lunario. In otto anni realizzò quasi l’intera produzione editoriale di tutta la sua vita, complessivamente poi ricostruita in circa 80 racconti (cui si dedicò in esclusiva all’inizio) e 5 romanzi. Per i primi anni fu costretto a periodi di isolamento per sanguinamenti e per non infettare amici e parenti (pur amando cucinare), buttava giù anche concisi testi per inserzioni e slogan pubblicitari in modo di integrare un poco le entrate familiari (nel maggio 1926 era nata la seconda figlia). Nella narrazione letteraria pensò di trasformare in parole molto di ciò che aveva vissuto o visto vivere, con metodica dedizione cronachistica e maniacale artigianale perfezionismo, riutilizzando materiale vario nelle stesure e cercando di non ripetersi mai per ambienti e situazioni.
Hammett era assorbito dalla scrittura in modo totalizzante, trascorreva intere giornate a documentarsi alla grande Biblioteca cittadina, guadagnava un tanto a battute prodotte ed edite, in breve divenne caposcuola di un nuovo genere di letteratura poliziesca su riviste e periodici di racconti: un linguaggio semplice, chiaro, plausibile per parlare di crimini. Fu una clamorosa efficace ingegnosa scelta stilistica, non una registrazione fedele della realtà (che sapeva oscura e plurivalente). Ebbe notevole successo, successivamente e ancor più coi romanzi. Scrisse anche altro, richiestissimo free-lance. Nel gennaio 1931 si trasferì single di nuovo sulla east coast, a New York (arrivandovi famoso e richiesto), si separò definitivamente dalla moglie e, mentre a Londra in anteprima stava per uscire il quarto romanzo, firmò il contratto con la Warner Brothers per un film giallo con William Powell. Non aveva più debiti, inviava soldi alla famiglia (continuò sempre). La terza vita è adesso.
Molti ricordano la frase che utilizza Chandler, nell’intelligente saggio critico sulla semplice arte del delitto, per spiegare la rivoluzione promossa dal suo più giovane collega; per decenni ci si è ricamato sopra, efficace senza dubbio; suona più o meno così: “Hammett ha restituito il delitto alla gente che lo commette per un motivo, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori; e con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali”. Senza Hammett non ci sarebbe forse stata la cinematografia noir negli anni Trenta e Quaranta e sarebbe stato pure diverso lo stesso genere letterario noir, sorto poi diacronicamente un po’ in tutte le letterature nazionali a partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Nelle storie gli studiosi la definiscono come hard-boiled ed è corretto, incentrata su uomini (e donne) veri, duri, “sodi”. Il vero e proprio noir viene dopo, a quel tempo la maggior parte degli scrittori scrivevano quel tipo di romanzi che in Italia cominciammo dopo il 1929 a chiamare gialli, fornendo agli appassionati intriganti enigmi e improbabili cadaveri (letture talora magnifiche peraltro).
I celeberrimi romanzi 1929-1933 di Hammett sono: Red Harvest, The Dain Curse, The Maltese Falcon, The Glass Key, The Thin Man. Lo rendono ricco e famoso, avviano il suo rapporto di interesse-ripulsa per Hollywood, non tornerà mai molto volentieri sulla west coast. Lui inizia a far politica attiva, riprende troppo spesso a ubriacarsi, ha svariate relazioni sessuali anche prezzolate, mantiene comunque da novembre 1930 alla morte un intenso rapporto di speciale amore e permanente complice amicizia con la 25enne minuta ebrea rossa (all’inizio di capelli) Lillian Lilly Lily Lilishka Hellman (all’inizio signora Kober). La coppia vive alla grande, con autista e cuoco. Lui spende e sperpera, la aiuta nella scrittura teatrale, si lascia sempre andare a vari eccessi per generosità e vizi (con periodi di astinenza per crisi sanitarie), si trova talora al verde nonostante rilevanti diritti d’autore (non solo editoriali). Scrive poca e rara fiction (anche per un crescente fastidio verso le parole buttate là), tirato per i capelli e per il portafoglio, ma ha regolare corrispondenza con l’ex moglie e le figlie e, soprattutto, interviene con pronunciamenti e discorsi su questioni politiche e sociali: è una nota affascinante personalità intellettuale americana, militante a sinistra. Mostra figura elegante, capelli bianchi, baffi curati: l’icona che molti hanno imparato a conoscere in tante immagini, foto, film.
Spinto dal pericolo dell’invadente fascismo in Europa e infastidito dall’anticomunismo imperante in patria, Hammett sceglie la strada dell’impegno politico diretto, individualmente meditato e sofferto, certo non ostile al New Deal di Roosevelt: s’impegna nelle associazioni degli scrittori e degli sceneggiatori contro lo strapotere dei produttori, firma petizioni contro Franco e per cento altre buone cause, manifesta contro il nazismo, diventa presidente del Comitato per i diritti elettorali, fa proselitismo sociale e civile insieme ad altri intellettuali legati al partito comunista. Hellman non segue esattamente la stessa strada: lei va spesso anche in Europa per convegni e manifestazioni, è liberal radical leftist, non comunista né marxista come si sente Hammett. La reciproca indipendenza sessuale e sociale fa comunque bene al loro duraturo rapporto. Lillian è una calamita di relazioni culturali, diviene una famosa drammaturga, avrà molte altre storie, prova a difendere sempre il carissimo Dashiell da tutti e da sé stesso, gestisce bene i conti (di entrambi) e lo copre economicamente. Hammett e Hellman, come tanti intellettuali del cinema e della letteratura, vengono presto messi alla dura prova dal maccartismo istituzionalizzato.
Hammett (schedato Fbi sicuramente già dal 1934) è personalità sinceramente impegnata, nel 1941 tenta di arruolarsi per combattere da americano la guerra contro il nazismo, ci riesce nel settembre 1942, di nuovo volontario, prima soldato, poi caporale, abbastanza malato ma di stazza a Fort Mammouth, nelle isole Aleutine, in Alaska, diventando giornalista e sergente. La vita militare gli impone un ordinato binario quotidiano: lontano dal fuoco cruento rispetta le regole, legge, gioca, spiega, scrive articoli. Quando finisce si sente solamente stanco e vecchio, nel 1945 torna a Manhattan con un enfisema. Lillian c’è sempre, ci sono una governante, tanti libri e alcuni amici, pure animali; frequenta in vario modo di più le figlie, diventa nonno (via via di 4 nipotine); si chiude sempre più. Tiene corsi di composizione di romanzi gialli, accetta incarichi di consulente artistico e di sceneggiatore, dichiara di aver smesso di scrivere fiction perché sentiva di ripetersi e non riesce più a ricominciare. A fine 1948 cessa completamente di bere alcolici. Però, viene considerato “il più pericoloso influente comunista americano”, la commissione d’indagine sulle attività antiamericane presieduta dal senatore McCarthy lo interroga; probabilmente lui non conosce i sottoscrittori dei fondi delle associazioni di cui fa parte, ma Hammett odia l’ipocrisia, non vuole citare nessuno semplicemente perché non capisce e non riconosce l’accusa; si rifiuta di rispondere. Andrà sei mesi in prigione per questo, nella nerissima “caccia alle streghe” del 1951. Nel 1953 viene punito con il ritiro dei suoi sovversivissimi libri dalle biblioteche; altro interrogatorio poco tempo dopo, sostiene solo di non considerare sporca la parola “comunista”. Hellman escogita con gli avvocati per sé un utile stratagemma (rispondere appunto su di sé, non su altri) ed evita procedimenti. Gli rimane sempre vicina, anche nel successivo decennio di isolamento e malattia, fino alla morte di Hammett il 10 gennaio 1961 per cancro ai polmoni.
Qui di seguito, una piccola traccia bibliografica sullo scrittore:
- Dashiell Hammett, Romanzi e racconti, Meridiani Mondadori 2004, traduzioni varie (soprattutto Sergio Altieri e Attilio Veraldi), a cura di Franco Minganti (i singoli romanzi e svariate raccolte hanno innumerevoli traduttori, curatori ed editori anche in italiano)
- Dashiell Hammett, L’istinto della caccia, introduzione (mitica) di Lillian Hellman (“Un amico, un certo Hammett”), Mondadori 1967 (è stato poi riedito anche da Feltrinelli più recentemente)
- Dashiell Hammett, Mi rifiuto di rispondere, Archinto 2010 (trad. Marina Premoli), prefazione di Gianrico Carofiglio
- Valerio Calzolaio, “Il compagno Dashiell Hammett”, in Critica Marxista 2001, numero 2-3, pag. 101-108
- Danilo Gallo, Il mistero Dashiell Hammett, Edizioni e/o 2005
- Richard Layman, Shadow Man, vita di Dashiell Hammett, orig. 1981, Sartorio 2006 (trad. Massimo Gezzi)
- Diane Johnson, The Life of Dashiell Hammett, Picador 1985 (orig. 1983)