SOCIETÀ

Sanremo: una certezza poco musicale

Arriva febbraio e siamo alle solite: comincia il Festival di Sanremo, con tutta la risonanza e le polemiche che ogni anno si porta dietro. Sanremo è come il Natale per alcuni: vorresti ignorarlo, ma alla fine non ci riesci mai: accendi la tv e parlano di Sanremo, dai uno sguardo ai social e ci trovi i meme impietosi sulla Vanoni, dai uno sguardo al giornale al bar e c’è Sanremo in prima pagina, origli la conversazione della biondina sull’autobus e scopri che parla dell’abito di Virginia Raffaele. Insomma, non potendo denunciare Sanremo per stalking conviene rassegnarsi, pensando che è come un’influenza: dopo una settimana passa.

Ma cos’è, al giorno d’oggi, Sanremo? Lo abbiamo chiesto a un musicologo e a un sociologo e li abbiamo trovati concordi su un punto: la musica c’entra poco o niente. Intanto secondo Sergio Durante, professore ordinario di musicologia all’università di Padova, chiamarlo festival della canzone italiana è impreciso: “La definizione funziona forse storicamente, ma non dobbiamo dimenticare che è un concorso, e come concorso è ridicolo: abbiamo capito tutti che si tratta di una farsa che avrebbe fatto piacere a qualche barone universitario di vecchio stampo perché all’inizio si sa già chi vince. In realtà per chiamare le cose con il loro nome dovremmo definirlo festival della discografia italiana. Sotto questa luce si comprenderebbe meglio l’intera manifestazione: è un fenomeno industriale che va studiato da un punto di vista storico ed economico, e come tale funziona”.

L’industria discografica, infatti, è sempre più vicina al mondo televisivo: “L’industria è proprio ciò che regge l’intero baraccone – continua Durante – e l’aspetto musicale rischia di passare in secondo piano: questo mondo si muove soprattutto attorno all’immagine precostituita dei cantanti e i talent ne sono la dimostrazione, perché procedono a una sorta di preselezione dei futuri divi che possono essere lanciati anche televisivamente e che vengono poi affidati alle industrie discografiche, che nelle giurie dei talent sono rappresentati da personaggi molto competenti nel loro settore.”

Sanremo dovrebbe essere definito il festival della discografia italiana Sergio Durante

E infatti su 24 artisti quattro hanno partecipato al talent show Amici di Maria De Filippi: Einar (finalista della 17esima edizione), Federica Carta (finalista della 16esima edizione), Irama (vincitore della 17esima edizione), Briga (finalista della 14esima edizione).

E un background televisivo sembra sia bene averlo, perché capita fin troppo spesso che i vincitori di Sanremo spariscano dalle scene e che, viceversa, le canzoni snobbate abbiano successo in termini di vendite: clamoroso è il caso di Vasco Rossi, che con Vita spericolata, portata a Sanremo nel 1983, si era piazzato al penultimo posto (nello stesso anno Amedeo Minghi con 1950 non era neppure entrato in classifica). E poi ci sono le meteore: Povia, che ha vinto nel 2006 con Vorrei avere il becco e che ora è più conosciuto per le idee politiche espresse sui social che per la musica, Francesca Alotta che ha vinto l’edizione del 1992 assieme ad Aleandro Baldi con Non amarmi, che è uno dei pezzi più conosciuti dagli habitué del karaoke e i Jalisse, il duo composto da marito e moglie che vinse nel 1997 con Fiumi di parole e che si rifà vivo più o meno ogni sei anni, ultimamente proprio ai talent.

Eppure Sanremo non può essere liquidato semplicemente come un fastidio necessario. Ne è convinto anche Claudio Riva, sociologo dei media e presidente della triennale in scienze sociologiche: “Sanremo è un grande show, ormai non solo televisivo, costruito come sono costruiti tutti i grandi show del mondo. Il dispiego di competenze e tecnologie in Italia non ha eguali: ho letto di dodici telecamere, di cui otto controllate in remoto, una Spidercam, già in uso sui campi di calcio, che permette di avere inquadrature particolari e suggestive, prevalentemente dall’alto; un software per il montaggio in diretta delle esibizioni combinandole con luci e stacchi delle inquadrature. Lo sponsor unico del festival, Tim, per la prima volta accenderà a Sanremo la rete 5G e offrirà innovative esperienze di virtual reality. Poi magari accade, come nella prima serata, che l’audio vada in tilt e che l’idea del trampolino non convinca, ma poco importa. Ci sono 1443 giornalisti accreditati; a fronte di un esborso che sta tra i 17 e 18 milioni, la raccolta pubblicitaria viaggia oltre i 31 milioni di euro e comprende non solo Rai 1 ma anche la radio e Rai Play, dove è possibile vedere in streaming la kermesse. L’aumento del fatturato stimato a oggi è quasi del 10%, il doppio di quello inizialmente preventivato. Sanremo, insomma, è il Superbowl della tv italiana, come dichiarato da Antonio Marano, amministratore delegato di Rai Pubblicità. L’audience della prima serata, per quanto in calo rispetto allo scorso anno (martedì lo share è stato del 50% con un pubblico complessivo sintonizzato su Rai 1 di oltre 10 milioni di persone) si distacca nettamente dalla tendenza generale, che vede una continua fuga del pubblico dalla tv generalista”.

Le critiche sono inevitabili, anche solo per l’imbarazzo di Bisio di fronte agli inconvenienti tecnici (un comico dovrebbe essere in grado di improvvisare qualcosa di meglio di un: “Ehi, ma cosa succede?”, persino Briga e la Vanoni, sul palco in quel momento, hanno fatto di meglio, e non è il loro mestiere), ma Sanremo è un po’ come quelle elezioni in cui nessuno ammette di aver votato il vincitore: tutti lo guardano, ma pochi lo ammettono. Quei pochi, però, fanno un bel po’ di rumore, come conferma Riva: “È un evento nazional popolare, come piace definirlo, perché sa coinvolgere un pubblico trasversale dal punto di vista socioeconomico e culturale e sembra in grado di comunicare anche ai più giovani. Lo vediamo non tanto dallo sforzo di invitare cantanti più in linea con i gusti degli under 30, ma dallo spazio che il Festival ricopre nei social: è impressionante il numero di post e tweet che circola anche solo dalle prime ore. La vera modernità di Sanremo forse è questa, e riguarda il trionfo ormai definitivo del commento live via social: Sanremo è sempre più un evento transmediale, che spazia dalla tv alla radio al web e ai social. Su Twitter, Facebook e Instagram tanti sono stati i live, i post, i commenti competenti o ironici su ogni momento dello show. Ogni cantante, gruppo, canzone, ospite, presentazione, vestito, acconciatura e via dicendo è stato in qualche modo fatto oggetto di attenzione”.

Del resto i social non fanno altro che amplificare un interesse che da 69 anni non è mai mancato, anche perché, un po' alla volta, Sanremo si è graniticamente cementificato come una rassicurante certezza che pochi riescono a snobbare veramente: “Il Festival – conclude Riva – offre un po’ di quella spensieratezza che si fatica a trovare nella quotidianità. Non è il paese delle élite, quello che sta sul palco. Quelli che faticano a comprenderne il senso sono coloro che si sporcano poco le mani con la gente comune, che non sanno come trattare quel tipo di cultura che vive di sentimenti duraturi nella loro semplicità: l’amore perduto, l’invecchiare in coppia o i legami familiari, tanto per citare alcune cose che si sono sentite quest’anno. In questo, Sanremo è la costante rassicuratoria rispetto al dramma della cronaca, delle morti in mare e dell’incertezza economica. Le novità sono solo millantate, o sono tali solo per il grande pubblico, che magari non ha ancora mai sentito nominare gli Zen Circus.”

Che si parli di Nutella o di Sanremo, cercheremo sempre le rassicurazioni delle nostre abitudini: può esserci la recessione, possono fallire le banche, possono persino sciogliersi i ghiacciai, ma, parafrasando Rossella O'Hara, ci penseremo domani: intanto Sanremo è sempre Sanremo.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012