"Troppi anni di incuria e malinteso ambientalismo da salotto che non ti fanno toccare l'albero nell'alveo ecco che l'alberello ti presenta il conto". Sono state queste le parole con cui il ministro dell’Interno e attuale vicepremier Matteo Salvini aveva concluso, lo scorso 4 novembre, la visita nella zona del Bellunese più colpita dal maltempo. Ambientalismo da salotto che, secondo i suoi colleghi di partito, potrebbe risolversi con un disegno di legge proprio denominato “disposizioni per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti”.
La mente di tale Ddl è stata quella di 15 senatori che, già nel 2015, avevano acceso l’attenzione sul problema con una proposta di legge. Tra loro c’era anche l’attuale sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Giancarlo Giorgietti. In questi anni, e con il cambio di esecutivo, l’allora proposta di legge è divenuta un diegno di legge a firma del senatore Arrigoni (Lega).
Cosa prevede il Ddl 216
Per ovviare al rischio esondazioni quindi, il senatore Arrigoni, ed i suoi precedenti firmatari, propongono di assegnare, per un periodo sperimentale di tre anni i poteri di commissario straordinario in situazione di emergenza al presidente di regione, autorizzandolo di fatto sia all’estrazione di materiale vegetale o tronchi d'albero dal corso d’acqua, sia all’estrazione di ciottoli, ghiaia e sabbia dal letto dei fiumi e dei torrenti fino al ripristino del livello storico dell’alveo.
Il presupposto da cui parte l’odierno disegno di legge numero 216 è che “la causa di tanti disastri sta, purtroppo, nella mancata pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti che provoca un innalzamento degli alvei, dovuto alla cronica deposizione di sedimenti e di trasporto solido, riducendone la sezione, che non riesce più a contenere il volume d’acqua del bacino scolante”.
Il Ddl n.216, composto di soli 5 articoli, è ritornato in auge il 6 novembre quando, alla luce della devastazione provocata dal maltempo in tutta Italia, si sono aggiunti altri 47 firmatari, tutti senatori del gruppo parlamentare Gruppo Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d'Azione.
"Il tema è molto sentito nei nostri corsi di laurea all'università di Padova - ha dichiarato il prof. Vincenzo D’Agostino, presidente del corso di studio in “Riassetto del territorio e tutela del paesaggio” del dipartimento Tesaf - ove si insegna una gestione sostenibile dei corpi idrici".
"Leggo il disegno di legge n. 216 del 4 aprile 2018 e vengo subito attratto dalla sinteticità con cui si affronta un argomento complesso e dibattuto - ha continuato il professore -. Nella proposta normativa si incentivano soggetti pubblici e privati ad accedere ad una procedura semplificata, per manutenzioni straordinarie in via di urgenza, a lavori di pulizia di aree del demanio idrico e marittimo. La cessione di quanto rimosso o estratto, materiali litoidi e vegetali, viene compensato con i costi di trasporto e degli interventi realizzati. Il metodo della compensazione tra il lavoro svolto con finalità idrauliche e il materiale prelevato dall’alveo non è nuovo (dgr. 2025/2011 e art.44 della legge regionale n.27/2003, Regione del Veneto), ma di fatto, per problemi di scala spaziale dell’intervento (bilancio costi-benefici non sempre favorevole) e dei meccanismi di aggiudicazione, solo in pochi casi è utilizzato".
“ Non è con l’urgenza che si fa prevenzione Prof. Ing. Vincenzo D’Agostino
"Salta all’occhio, leggendo la proposta di legge, che in essa si tratti solo ed esclusivamente di situazioni di emergenza e di somma urgenza - continua D'Agostino -. Non è con l’urgenza e la somma urgenza che si fa prevenzione. I lavori di somma urgenza sono di fatto già ‘blindati’ (art. 163 del D.lds 50/2016). Quando si interviene per pubblica incolumità non è necessario nessun parere, nessuno permesso, né paesaggistico, né Siti di Interesse Comunitario della rete Natura 2000 e Zone di Protezione Speciale per l’avifauna, né autorizzazione forestale al taglio e lievo di ceppaie".
"Ritengo che il grosso nodo da sciogliere normativamente - ha concluso l'esperto - sia la manutenzione di torrenti e fiumi, tanto quella ordinaria come quella straordinaria, nelle situazioni in cui la pubblica incolumità non sia conclamata ma i danni alle attività antropiche e agli abitanti possano essere comunque rilevanti. Qui, la manutenzione degli alvei è un po’ ingessata dal punto di vista normativo: tutti i permessi/pareri/autorizzazioni del caso sono richiesti a livello legislativo con un iter che finisce per rallentare quello che dovrebbe essere un passaggio snello all’interno di ogni ente pubblico preposto alla sicurezza idraulica. Basta ancora rileggere l’art. 115 del d.lgs 152/2006 che ci dice che la trasformazione del suolo e soprassuolo prevista nella fascia dei 10 metri dalla sponda dei fiumi può avvenire solo per ragioni di pubblica incolumità. Anche la nuova Legge forestale (d.lgs 34/2018) fornisce una definizione indistinta di “bosco”, non facendo eccezioni per l’alveo e le relative pertinenze. Per le manutenzioni dei fiumi queste leggi rischiano di pesare in modo eccessivo sulla sicurezza idraulica, imponendo ad esempio tagli selettivi e il rilascio di necromassa, criteri che sono assolutamente validi per i boschi ma fuori dall’alveo. E ancora: in ambito di misure ZSC (Zone Speciali di Conservazione ove in un SIC vengono adottate misure di conservazione sito-specifiche) vigono limitazioni ed è richiesta la stesura di progetti speciali di taglio per qualsiasi attività di manutenzione in alveo (per esempio dgr.786/016, Regione del Veneto). In sintesi, il fondamento motivazionale della proposta di legge è importante ma andrebbe declinato in modo da chiarire e ribadire meglio i presupposti tecnici della manutenzione idraulica (magari ‘rinfrescando’ il Regio Decreto 523/1904 - Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie - che ha oramai più di un secolo di vita), passando poi a stabilire livelli di priorità differenziati e identificando un’unità regionale di riferimento/coordinamento che abbia come obiettivo lo snellimento degli iter manutentivi: prima di tutto all’interno della stessa amministrazione pubblica e, a seguire, nelle pratiche concessorie del privato verso le aree idrauliche demaniali".
“ La pulizia dell’alveo attivo dalla vegetazione ‘rigida’ è assolutamente necessaria
Gli esperti quindi focalizzano l'attenzione "sull'assoluta necessità di ripulire l’alveo attivo dalla vegetazione ‘rigida’, cioè piante mature con diametri orientativamente superiori ai 10 cm, specie a monte di sezioni idraulicamente critiche come possono essere ponti, tratti tombinati e di centri abitati".
Cosa fare però nei luoghi montani, dove può capitare che proprio l'ostruzione dell'alveo da parte della vegetazione può comportare gravi problematiche anche per le zone limitrofe?
"In questi casi, così pure l’accumulo eccessivo di sedimenti nei tratti canalizzati dei conoidi alpini - ha concluso il prof. D'Agostino -, è sicuramente foriero di pericoli di avulsione e divagazione dei flussi torrentizi durante eventi alluvionali anche non estremi. Sono tutte, quelle appena menzionate, delle situazioni dove si dovrebbe evidenziare il prevalente interesse idraulico rispetto alle istanze di tipo ambientale. In altre condizioni, prive di elementi esposti direttamente al pericolo alluvionale, la dinamica geomorfologica naturale, la continuità del transito dei sedimenti nei corsi d’acqua, la libera evoluzione della vegetazione può e deve essere utilmente favorita, poiché incoraggia la qualità ecologica del corpo idrico, dell’ambiente in cui viviamo e del paesaggio. In una parola, è questione di scale di priorità che devono essere rese più operative, poiché, visto che anche l’uomo fa parte della natura, si tratta di definire quale parte di natura (e in che misura) si desidera salvaguardare per prima".