CULTURA
La scienza nascosta nei luoghi di Padova: l'Accademia galileiana di scienze, lettere ed arti
Il 25 novembre 1599, a Padova, nella casa del giovane Federico Cornaro - patrizio veneziano, studente di Diritto e più tardi cardinale e vescovo di Padova -, in Riviera destra Santa Sofia, l’attuale via Morgagni, viene fondata l’Accademia dei Ricovrati, quella che oggi conosciamo come Accademia galileiana di scienze, lettere ed arti. Proviamo a immaginare la scena: tra i ventisei uomini illustri presenti quel giorno d’autunno di fine Cinquecento, tra professori dello Studio di Padova ed eccellenti esponenti della cultura dell’epoca, c’è anche Galileo Galilei (presente in città dal 1592 al 1610, per insegnare all'università: “Consumai li diciotto anni migliori di tutta la mia età”, scriveva nella lettera a Fortunio Liceti), che oggi all'istituzione lascia il ricordo nel nome. È l'inizio di una lunga vita, attraversata da intellettuali, glorie, svolte, trasformazioni. Fino al 1645 la sede resta nella casa del suo fondatore, poi passa in via Vescovado e, nel 1647, in casa Obizzi dove rimane finché, nel 1668, il Senato Veneto concede come “asilo stabile” la Pubblica Libreria: la Sala dei Giganti. È nel 1721 che l’Accademia ottiene una nuova sede e si sposta nella reggia dei Carraresi, nella loggia dietro il Liviano. Anche il nome si trasforma nel corso dei secoli, da Ricovrati ad Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova nel 1779, Accademia patavina nel 1949 e, nel 1998, Accademia galileiana.
“ L'Accademia mette insieme competenze diverse, è sintesi di cultura scientifica e cultura umanistica Antonio Daniele. presidente Accademia galileiana
Al pianterreno trova posto la biblioteca, specializzata in riviste e atti accademici, risultato dello scambio fruttuoso con istituzioni italiane e straniere; l'archivio conserva antichi verbali delle adunanze (Giornale A, B, C) e manoscritti. L'anticamera dei cimieri e la camera dei carri sono decorate dagli affreschi trecenteschi di artisti della bottega dell'Altichiero. Il cuore dell’Accademia, luogo di incontri e convegni, si trova al primo piano, a cui si accede attraverso la scalinata dove si mostrano il busto in gesso di Tito Livio e, sulla parete, altri frammenti (recenti) di scienza con l'esposizione permanente di Bernardo Cesare, docente di Petrologia del dipartimento di Geoscienze dell'ateneo padovano: fotografie di veli di roccia provenienti da varie parti del mondo, un trionfo di colore. Passando per le Sala dei carri e per lo spazio di una antisala, si raggiunge infine la Sala delle adunanze, nota come Sala del Guariento per il magnifico affresco sulla parete ovest che si offre al visitatore svelandosi, in tutta la sua bellezza, in quella che costituiva il lato destro della cappella privata dei principi.
Volti e gesti, fughe, benedizioni e sacrifici si rivelano all'osservatore attento e raccontano episodi biblici dipinti in continua sequenza, tra il 1349 e il 1354, da Guariento di Arpo, artista affermato a Padova e a Venezia. Disposti su due fasce, ognuna sormontata da un fregio con scritte a caratteri gotici, troviamo Noè benedetto dal Signore ("Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra”, Genesi 9,1), il colloquio di Abramo con i tre angeli (“or, avendo Abramo alzati gli occhi, vide tre uomini che gli erano vicini”, Genesi 18,2), la distruzione di Sodoma ("Allora il Signore fece piovere su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco dal cielo, Genesi 19,24), con la moglie di Lot, nipote di Abramo, trasformata in sale per essersi voltata indietro verso la città distrutta. E ancora, possiamo ammirare il sacrificio di Isacco ("Abramo vi eresse un altare... poi stese la mano e prese il coltello per immolare il suo figliolo", Genesi 22,9-10), la scena di Giacobbe e del figlio Giuseppe ("...e mentre passarono quei mercanti, lo trassero dalla cisterna e lo vendettero per venti pezzi d'argento, a quegli Ismailiti", Genesi 37,28), Golia morente, colpito da David, e il giudizio di Salomone, il rapimento di Elia in cielo ("Ecco un cocchio di fuoco e dei cavalli di fuoco... Elia salì al cielo in un turbine", 2 Re 2,11), le storie dei tre compagni di Daniele e la scena di maggior impatto emotivo: Giuditta decapita Oloferne (“lo colpì due volte sul collo e gli troncò la testa”, Giuditta 13,8), un atto violento che non censura la lama e il sangue (con un taglio netto che svela il corpo in un tentativo di definizione anatomica), calato in un ambiente curato nei minimi particolari, tra vesti elaborate e decorazioni preziose. Inoltre, sulla parete est, di fronte al grande affresco appena descritto, due frammenti raccontano la storia di Giuseppe che interpreta i sogni del Faraone e quella di Adamo ed Eva davanti all'Eterno.
Sopra la porta d’entrata della sala trova posto il disegno originale della pianta della città realizzata da Giovanni Valle, il primo cartografo a sfruttare i calcoli trigonometrici per realizzare i propri lavori. Il disegno in china, acquarellato a seppia, concluso nel 1781 e inciso a Roma da Giovanni Volpato nel 1784, è rimasto un punto di riferimento per secoli, data la sua precisione, e fu donato all'Accademia dallo stesso Valle. Infine, l’arredo della sala in stile neoclassico è opera dell'architetto Giuseppe Jappelli, noto per aver realizzato il Caffè Pedrocchi.
La vita dell’Accademia è regolata da uno statuto, approvato con decreto presidenziale, la sua attività è approvata dal Ministero per i Beni e le attività culturali e consiste principalmente nella lettura e discussione di memorie originali e inedite da parte di soci o studiosi in occasione delle pubbliche adunanze e nella promozione di convegni culturali e scientifici, seminari e simposi, in collaborazione con l’università di Padova, e della lectura petrarce con l’Ente nazionale Francesco Petrarca.
L'accademia è composta dai soci effettivi, che non superano il numero di 90, i corrispondenti nazionali (non oltre 110) e i venti stranieri, suddivisi nella classe di scienze matematiche e naturali e in quella di scienze morali, lettere ed arti. La direzione è affidata all’ufficio di presidenza, formato dal presidente, dal vicepresidente, da due segretari, dal bibliotecario, dal conservatore e dall'amministratore. Lo stemma, di cui una copia si trova nella Sala del Guariento, rappresenta l'antro delle Naiadi di Omero (Odissea, libr. XIII, versi 125-137) con il motto tratto da un verso di Boezio: Bipatens animis asylum.
"L'Accademia galileiana è un istituto culturale, è un museo ed è una biblioteca e archivio storico", spiega il presidente Antonio Daniele. "Nel Cinquecento, a Padova, la presenza delle accademie era costitutiva della cultura cittadina: prima dell'Accademia dei Ricovrati, in città erano presenti quella degli Infiammati e quella degli Eterei. C'era un gran fervore di attività e di studi". Oltre ai fondatori Federico Cornaro e Galileo Galilei, tra i membri illustri si ricordano, nel tempo, numerosi intellettuali di spicco: tra questi, solo per citarne alcuni, Carlo de' Dottori, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, l'astronomo Toaldo, lo scrittore e traduttore di Omero Melchiorre Cesarotti, scienziati stranieri come Benjamin Franklin e Antoine-Laurent de Lavoisier. E ancora, letterati come Alessandro Manzoni, Giovanni Pascoli, Diego Valeri, Manara Valgimigli.
Andiamo con ordine e, cercando di attuare una sintesi, seguiamo le tappe fondamentali di una storia che intreccia sapere scientifico e cultura umanistica, tra splendore e battute d'arresto. Il 9 gennaio 1600, con i primi esercizi letterari, l’accademia viene inaugurata ufficialmente. Le attività si fermano nel 1609 e, dopo una fase di silenzio e timidi tentativi di riapertura, nel 1645 Giorgio Cornaro, vescovo di Padova, riesce a rianimarla riformandone le leggi, pubblicate nel 1647, e regolandone gli esercizi letterari. La luce si spegne ancora, nel 1654, ma nel 1668 il capitanio di Padova Vettor Contarini ottiene la protezione sovrana dal Senato veneto, nuove risorse e una sede, inaugura un periodo denso di attività e determina la revisione delle vecchie leggi, ripubblicate nel 1697. Nel 1669 Elena Lucrezia Cornaro Piscopia è la prima donna ammessa nell'Accademia dei Ricovrati e, nove anni dopo, presso lo Studio padovano, è la prima donna laureata al mondo. È dal 1735 che, una volta al mese, “senza pompa di lumi e di sinfonia”, si tengono le adunanze di “letterario esercizio”, con “lezioni di belle lettere e dissertazioni di scienze, conforme il gusto e la professione degli Accademici” e dal 1750, anno in cui si conclude l’esperienza dell’Accademia degli Orditi i cui membri vengono assorbiti da quella dei Ricovrati, si decide di alternare le lezioni, proponendone una letteraria e una scientifica, “in maniera però, che ne’ componenti da recitarsi sempre vi fosse unità e relazione alle materie delle quali si prendesse a trattare” (Accad. Ricovr., Giorn. C, 39, 46-47, 176). Poco dopo le attività si riducono e, nel 1769, nasce l’Accademia di agricoltura. Dieci anni più tardi, con decreto 18 marzo 1779, quest'ultima viene unita a quella dei Ricovrati dal Senato Veneto, dando vita a l’Accademia di scienze, lettere ed arti che, seguendo l’esempio delle maggiori accademie d’Europa, si offre come organo consultore per tutte le scienze, impegnandosi in azioni scientifiche e culturali, in collaborazione con l’università, e rinnovando la classificazione dei suoi membri.
Da questo momento in poi, la vita dell’Accademia procede tra regolari attività e rallentamenti (anche a causa della caduta della Repubblica di Venezia, nel 1797), trasformazioni (tra cui quella in “ateneo” per volontà di Napoleone, nel 1810), nuovi regolamenti e classifiche dei soci. Dal 1779 al 1866 l’Accademia padovana resta l’unico corpo scientifico aperto a studiosi desiderosi di far conoscere le proprie ricerche. Nel 1884 viene nuovamente riformato lo Statuto, simile all'attuale, e inizia la pubblicazione degli Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, in sostituzione dei Nuovi saggi e della Rivista periodica. Gli autori delle memorie vengono resi responsabili dei testi scritti e pubblicati, così viene abolita la carica del Censore, fino a questo momento fondamentale, ricoperta nel 1602 dallo stesso Galileo. Dopo la Grande Guerra, l'attività scientifica si fa vivace e nel 1936 ottiene dal Ministero dell'educazione nazionale alcune modifiche alla Statuto (tra cui la correzione della data di fondazione: da 1559 a 1599 e il numero dei soci), alla luce anche dell'assorbimento dell'Accademia veneto trentino istriana. Nel 1938 le leggi razziali travolgono anche l'Accademia determinando l'esclusione di un socio emerito, quattro effettivi e otto corrispondenti. Il secondo conflitto mondiale pesa moltissimo: vengono limitate le pubblicazioni (nel 1943 si interrompe quella degli Atti e memorie) e cessano gli scambi con altre accademie. I bombardamenti dell'8 febbraio 1944 e del 4 gennaio 1945 danneggiano gravemente la sede. L'Accademia esce dalla guerra stremata: "Solo l'Università, la materna Università, ha spalancato per noi le sue sale migliori: sola promette ospizio e aiuto", afferma il presidente Ferrabino inaugurando l'anno accademico 1946-1947. Il 6 marzo 1949, durante l'adunanza, si decide per un nuovo statuto e un nuovo nome: Accademia patavina di scienze, lettere ed arti. Nascono progetti importanti in collaborazione con l'ateneo padovano, aumentano fama, attività e soci; intanto l'ex reggia carrarese, affreschi del Guariento compresi, viene sottoposta a restauro e viene recuperato il patrimonio librario, in deposito alla biblioteca universitaria dagli inizi del Novecento, per essere sistemato nei nuovi locali acquisiti sotto le sale accademiche e reso accessibile.
Oggi, mentre il mondo accelera, nelle sale del trecentesco palazzo dei Signori di Carrara ci si concede ancora il giusto tempo della riflessione, dello studio, delle letture e delle discussioni di “memorie” condivise in occasione di convegni e adunanze pubbliche per ripercorrere il passato e ragionare sul presente. La litografia di Giovanni Battista Cecchini, effige che costituisce l'antiporta delle Relazioni delle memorie lette nell'I.r. Accademia di scienze lettere ed arti edite nel 1842 per i tipi di Angelo Sicca, stampatore dell'Accademia, chiude questo breve viaggio riportandoci, infine, alle origini e offrendo lo sguardo obliquo fissato nel Ritratto di Galileo Galilei, occhi curiosi e vivaci che non incrociano i nostri perché impegnati altrove.
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